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SVUOTARE DEL POTERE IL DIVINO. PER "ABITARLO" E CONDIVIDERLO. XV INCONTRO NAZIONALE DELLE DONNE CDB

Tratto da: Adista Notizie n° 49 del 01/07/2006

33464. GENOVA–ADISTA. (dalla corrispondente) Più di 120 donne, provenienti da diverse regioni d'Italia, si sono incontrate a Genova, dal 2 al 4 giugno 2006, per il XV Incontro nazionale dei "Gruppi-donne delle Comunità cristiane di base" (organizzato in collaborazione con i gruppi "Il cerchio della luna piena", "Donne in cerchio" e "Thea – teologia al femminile"), sul tema "Il divino: abitare il vuoto – segni, gesti e parole della vita quotidiana". La ricerca sul tema del divino ("come liberarlo, come dirlo, come condividerlo"), è ormai da qualche anno terreno privilegiato della riflessione dei Gruppi donne, e tema già al centro di altri appuntamenti ("Al di là di Dio padre" - Monteortone 2001; "In un corpo sessuato" - Frascati (Roma) 2002; il II° Sinodo europeo delle donne - Barcellona 2003; "Quel divino fra noi leggero" - Trento 2004).

L'Incontro di Genova è stato introdotto da un momento esperienziale preparato dal gruppo "Thea – teologia al femminile" di Trento sul significato del sacrificio: il sacrifico umano come deviazione forzata, voluta dalle religioni patriarcali, concepita in contesti rituali violenti, come i contesti di guerra in cui i soldati sono spesso paragonati ad eroi e vittime sacrificali. Ma anche il sacrificio come una prova richiesta da un Dio padrone, come prova di durezza e di forza fisica, che le donne intendono "smascherare" e superare attraverso la condivisione, la partecipazione del corpo nella relazione con le altre, alla scoperta di un divino che, prescindendo dal simbolismo doloroso, diviene invece allegria e partecipazione, contaminazione ed accettazione delle diversità. Sono seguiti due laboratori dedicati al corpo e alle sue modalità espressive: nel primo, "il mistero della creta", coordinato da Luisella Veroli, è stata posta attenzione alla manualità, con la rappresentazione, nei lavori di creta, di un parte del proprio corpo; nel secondo, "lo spazio della biodanza", coordinato da Elizabeth Green, le partecipanti si sono sentite libere di danzare a suon di musica secondo i ritmi diversi, sperimentando una sensazione di relazione diretta e sincera col proprio corpo.

La mattina del sabato è stato invece dedicato alla parola. Anna Maria Panepucci (psicoterapeuta) con la relazione "a favore dell'insaturo", ha svolto delle considerazioni sul rapporto tra il vuoto e il pieno: in riferimento allo stato fusionale che gli esseri umani vivono dentro l'utero materno: il vuoto è collegato quindi alla separazione dalla madre ed è contesto drammatico e segno del distacco. Ma se il distacco è reso meno doloroso dal senso di protezione che viene dai grandi miti e dalla figurazione di un divino paterno o materno, dall'altro il passo verso il "vuoto", per diventare adulti fuori dalle sicurezze dell'utero materno, prendendo coscienza della perdita, è necessario perché trasforma l'essere umano in senso evolutivo.

Chiara Zamboni, nella sua relazione intitolata "Il desiderio d'assoluto", ha valorizzato il desiderio interiore di silenzio che risuona attraverso la meditazione della sacra scrittura, un ritornare presso di sé che permette di non esporre un giudizio, di posticipare l'atto, privilegiando il silenzio e il distacco. Il silenzio e il "vuoto" sono condizioni indispensabili ad una dinamica di trasformazione. Riferendosi ai Vangeli, la Zamboni ha affermato l'importanza della dimensione in cui si trovano i discepoli di Giovanni Battista, quella dell'attesa nella forma dell'ascesi, mentre i discepoli di Gesù sono nella forma della condivisione e partecipazione. I due gruppi rappresentano la presenza su due piani, quello verso il futuro e quello del presente nel "regno dei cieli", ma non vi è contraddizione tra i due piani, l'uno permette l'esistere dell'altro.

Richiamandosi a Simone Weil (Riflessione sull'utilità degli studi scolastici per l'amore di Dio), Chiara Zamboni evidenzia che gli studi sono una forma di preghiera: là dove il desiderio della luce produce la luce, la preghiera è esercizio d'attenzione al "vuoto" che apre inevitabilmente al divino. Ed ancora che la grazia e il desiderio sono come due polarità in circolarità che occorre sperimentare per addivenire a dei risultati, uscendo da sé, superando le frustrazioni di tempi e luoghi di lavoro frustranti, defatiganti per raggiungere uno stato di liberazione che non esclude l'attenzione.

Il convegno è proseguito nel pomeriggio con altri tre laboratori. Il primo, intitolato "Vassilissa la bella: dalla mancanza all'agio dello stare al mondo" e coordinato da Francesca Lisi, ha tratto spunto dalla fiaba russa di Afanasiev per analizzarne simboli e archetipi. Il secondo, coordinato da Karola Stobaus, ha sviluppato un Bibliodramma sul tema "Il nudo… l'abisso… il vuoto… il nulla". Il terzo gruppo coordinato dalle "Donne in cerchio" aveva come titolo "Corpi di donna/corpi divini. Vivere Dio fisicamente": sedute in cerchio davanti ad una tavola imbandita, multicolorata e ricca di frutti e di simboli, ciascuna ha ascoltato le altre, manifestando certezze e dubbi.

La mattina successiva, Elizabeth Green, ha presentato una relazione provocatoriamente intitolata "Vuote a perdere?". La teologa ha analizzato il senso di vuoto che accompagna l'esistenza delle persone e circonda il mondo in cui vivono, sottolineando gli aspetti negativi di questa condizione, ma rivalutando anche le potenzialità di un "vuoto" inteso come silenzio, meditazione, riscoperta e migliore comprensione di sé. Una duplice valenza che è presente anche nella dimensione religiosa: con un efficace parallelo, la Green ha paragonato il cristianesimo ad una "impalcatura dell'edificio spirituale, nel senso che è costruita intorno ad un edificio… che non c'è". Nell'opera di decostruzione della religione patriarcale si scopre appunto, cercandolo, che questo edificio non c'è, e che al suo posto c'è un vuoto. Le Chiese esercitano il monopolio dell'immagine (impalcatura), ma non mostrano particolare interesse ad "abitare" il divino. Così l'istituzione si limita a difendere le impalcature, l'esteriorità, incurante dello spazio vuoto che lascia. Anche in questo caso, il "vuoto" ha però un significato positivo: una rilettura della seconda lettera ai Filippesi di Paolo mostra infatti come sia necessario svestirsi dell'esteriorità, del potere, come sia necessario "svuotare" dall'interno - come Dio stesso ha fatto rinunciando alla pienezza divina per farsi uomo - queste caratteristiche del modello patriarcale. Fare il vuoto rappresenta quindi la premessa indispensabile per iniziare qualsiasi percorso spirituale: "chi perde la sua vita la ritroverà": questa – sostiene la Green - è la condizione di svuotamento indispensabile, il rischio che tutti siamo chiamati a correre e che il "giovane ricco", che si era rivolto a Gesù per avere da lui l'indicazione su ciò che gli restava da fare per ottenere la vita eterna, non riesce ad accettare.

A conclusione dell'incontro, un intenso momento di condivisione organizzato dalle donne della Comunità di San Paolo di Roma intitolato: "Là dove la profondità è maggiore". Come nella recitazione delle donne di Oregina del sabato sera, così anche in questo momento finale sono state ricordate le donne che hanno accompagnato Gesù e che hanno vissuto la sua mancanza, la tomba vuota, come inizio della nuova vita, trasmettendone un messaggio positivo: dal vuoto, dalla mancanza, parte quindi la speranza che per i gruppi-donne è prima di tutto vita di relazione, solidarietà ed impegno di ricerca e confronto tra le diversità che caratterizzano il momento politico, sociale e culturale.

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