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DONNE IMMIGRATE SFRUTTATE DAL RACKET E IGNORATE DALLE QUESTURE. LE ORSOLINE DI CASERTA SCRIVONO A NAPOLITANO E AI MINISTRI

Tratto da: Adista Notizie n° 67 del 30/09/2006

33551. CASERTA-ADISTA. Le Questure non rilasciano più il permesso di soggiorno alle donne migranti che tentano di uscire dalla schiavitù della prostituzione nonostante la legge lo preveda espressamente. La denuncia arriva da Casa Rut, una comunità religiosa di suore orsoline che da dieci anni lavora a Caserta con le donne straniere in difficoltà, la maggior parte delle quali vittime della tratta.

Il Testo unico sull'immigrazione, all'articolo 18, prevede infatti che il questore rilasci "uno speciale permesso di soggiorno" della durata di sei mesi, rinnovabile per un anno, allo straniero che cerca di liberarsi da "situazioni di violenza o di grave sfruttamento", o che denuncia i suoi sfruttatori, per consentirgli "di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale". Ma questa norma, spiegano le suore di Casa Rut, è applicata con totale discrezionalità dalle Questure italiane che, di fatto, l'hanno cancellata: il permesso di soggiorno viene rilasciato solo - e non sempre - alle donne che denunciano il loro sfruttatore in maniera assolutamente circostanziata, mentre a tutte le altre che hanno semplicemente avviato un percorso di emancipazione senza sporgere denuncia (anche perché, molto spesso, non hanno gli elementi per fornire nomi e cognomi dell'organizzazione e delle persone che le sfruttano) il permesso non viene concesso e tutto il lavoro viene messo a rischio.

Le suore di Caserta, sostenute dal vescovo della diocesi mons. Raffaele Nogaro, hanno preso carta e penna e hanno scritto al presidente della Repubblica Napolitano e ai ministri Amato (dell'Interno), Pollastrini (delle Pari opportunità), Ferrero (della Solidarietà sociale) e Turco (della Sanità) - oltre che al Prefetto e al Questore di Caserta - per chiedere di fare chiarezza e di dare alle Questure e alle Procure direttive chiare e univoche per l'applicazione di un articolo di legge che, "nel suo concepimento, riconosceva la condizione di 'vittima' e che pertanto, nella sua attuazione, s'impegnava ad offrire percorsi di assistenza e di integrazione sociale a tali persone". Un articolo che "oggi non c'è la volontà di applicare nella sua completezza originaria, suscitando in noi scoraggiamento, indignazione e una 'rabbia' evangelica, perché ancora una volta, anche se nella 'legalità', si offende e si tradisce la dignità della persona".

La nuova Legge sull'immigrazione, la Bossi-Fini che ha aggiornato la Turco-Napolitano, scrivono le suore, "formalmente non ha apportato nessuna modifica a tale articolo, ma nei fatti esso è stato applicato con lo stesso spirito restrittivo e contro la persona che la legge, nella sua interezza, manifesta. Lentamente l'ex art. 18 è stato così privato della sua potenzialità di liberazione e di forte valenza sociale, diventando quasi esclusivamente uno strumento in balia della discrezionalità delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria, utilizzato in maniera restrittiva e univoca per la sicurezza e l'ordine pubblico": il "permesso di soggiorno speciale" viene cioè concesso, in "forma premiale", solo a quelle donne che scelgono, o sono in grado, di denunciare i criminali che le sfruttano. "Un fine, quello relativo al contrasto della criminalità assicurando alla giustizia gli sfruttatori, da noi sempre sostenuto e incoraggiato, che non può e non deve escludere l'altro, eminentemente sociale, che vede e riconosce in queste giovani donne delle 'vittime', delle persone violate nei loro diritti e nella loro dignità, che vanno quindi primariamente sostenute e aiutate nella loro volontà di sottrarsi, anche a rischio della loro vita, all'infame condizione di sfruttamento", e non "lasciate in balia di interpretazioni soggettive di Questure e di Magistrati di turno". "Questo modo di applicare la legge è diventato per noi inaccettabile e insostenibile", concludono la lettera le suore di Casa Rut, anche perché "rischia di vanificare tutto un lavoro che, insieme, con grande sforzo, creatività e passione, è stato messo in campo in questi dieci anni. Chiediamo quindi a voi, all'inizio del vostro mandato, un impegno serio, coerente con le linee programmatiche del governo che rappresentate, che ora attendono un'attuazione".

Alla lettera delle suore rispondono alcuni dei destinatari: il Segretario generale del Quirinale scrive che "in base al dettato costituzionale, il capo dello Stato non ha poteri di intervento diretto", ma che, vista la "rilevanza della questione", ha trasmesso la lettera agli uffici competenti; il capo di Gabinetto del ministero dell'Interno, il prefetto Carlo Mosca, condivide le preoccupazioni e assicura "ulteriore attenzione" da parte del ministero; meno formale la risposta del ministro Barbara Pollastrini, la quale scrive che "sarà mio impegno, politico e morale, assumere ogni opportuna iniziativa per assicurare uniforme applicazione delle disposizioni ex art. 18" e che, "appena possibile", prenderà contatti diretti con il ministro Amato. A Casa Rut è arrivata anche una telefonata di attenzione da parte del ministro Livia Turco, mentre Paolo Ferrero è rimasto, per ora, in silenzio. "Ma più che le parole - dice ad Adista suor Rita Giaretta - aspettiamo azioni concrete". (luca kocci)

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