L'ATTESA DEL DOPO OPUS DEI A SAN SALVADOR: ECCO L’IDENTIKIT DEL VESCOVO CHE SOGNIAMO
Tratto da: Adista Documenti n° 14 del 16/02/2008
DOC-1960. SAN SALVADOR-ADISTA. Nuovo arcivescovo cercasi. Nuovo e soprattutto diverso. Dopo la rinuncia, per raggiunti limiti di età, dell’attuale arcivescovo di San Salvador, l’opusdeista mons. Fernando Sáenz Lacalle, 285 sacerdoti salvadoregni, su un totale di 584 (altre 57 firme si sono aggiunte in ritardo), hanno scritto al card. Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi, per tracciare il profilo dell’arcivescovo che, a loro giudizio, meglio risponderebbe alle esigenze della Chiesa del piccolo Paese centroamericano. Il successore di Sáenz Lacalle, affermano nella loro lettera, dovrebbe essere salvadoregno di nascita, come è sempre stato, con la sola eccezione proprio dell’arcivescovo dell’Opus Dei; dovrebbe appartenere al clero diocesano; vantare una solida esperienza di lavoro pastorale parrocchiale; rivelare una spiccata sensibilità verso i poveri e gli esclusi; abbracciare una spiritualità di comunione.
Dovrebbe, insomma - ma questo i preti ovviamente non lo scrivono - non assomigliare per nulla all’attuale arcivescovo, nominato nell’aprile del 1995, tra lo sgomento generale, in sostituzione di mons. Arturo Rivera y Damas, scomparso nel novembre dell’anno precedente (a sua volta successore del grande profeta e martire Oscar Romero). Dal momento dell’insediamento, il 13 maggio 1995, e per tutti i tredici anni che sono seguiti, mons. Sáenz si è impegnato con totale coerenza a dimostrare quanto quello sgomento iniziale fosse giustificato, con buona pace di quanti confidavano in un nuova conversione al popolo, dopo quella – che tanti e tali frutti aveva prodotto – dell’inizialmente conservatore Romero.
Restaurazione targata Opus Dei
Nei suoi primi mesi da arcivescovo, Sáenz si lancia in una decisa opera di restaurazione, sfrattando gli uffici della Caritas dalla sede dell’arcivescovado, chiudendo la gloriosa stazione radiofonica Ysax, minacciando di chiudere il dipartimento di teologia della Uca (l’Università centroamericana retta dai gesuiti) e, soprattutto, destituendo e licenziando figure vicine alla linea di Romero (a cominciare da Fabián Amaya, rimosso dalla direzione del settimanale Orientación, per proseguire con il rettore del Seminario maggiore Luis Coto, sollevato dall’incarico, e con il gesuita Rodolfo Cardenal, privato della sua parrocchia; v. Adista n. 23 e 73/96). Amministratore apostolico dell’ordinariato militare dal 1993, nel gennaio del 1997 Sáenz viene promosso dal governo, tra le indignate proteste delle comunità cristiane, generale di brigata, e questo in un Paese in cui i militari si sono macchiati dei delitti più atroci (oltre che del sangue di tanti sacerdoti). Nessuna sorpresa, dunque, che non una parola abbia speso a favore dell’annullamento della legge di amnistia, che, all’indomani di una guerra civile durata 12 anni (e conclusasi nel 1992), garantisce una completa impunità ai responsabili delle peggiori violazioni dei diritti umani. Così, nell’aprile del 2000, riguardo alla decisione della Procura generale di non riaprire il caso del massacro dei gesuiti della Uca, della loro cuoca e di sua figlia per mano dei militari, avvenuto il 16 novembre del 1989, l’arcivescovo dell’Opus Dei pensa bene di affermare: “Se le leggi dicono che il caso non si può riaprire, bisogna rispettarle” (v. Adista n. 33/00). E ogni qual volta il tema della richiesta di giustizia torna a farsi sentire nel dibattito politico salvadoregno, Sáenz insiste sempre sulla necessità della riconciliazione, affermando, senza fare alcuna distinzione tra chi i crimini li ha commessi e chi invece li ha subiti, che “tutti dobbiamo chiedere perdono: civili, militari, giornalisti, religiosi; dobbiamo chiedere perdono per quello che abbiamo commesso” (v. Adista n. 81/00).
Un Romero a misura di Sáenz
Nei riguardi di mons. Romero, la principale preoccupazione dell’arcivescovo opusdeista è quella di depurarne la figura da qualunque aspetto politico, cancellando di fatto tutto ciò che è seguito alla sua “conversione” e trasformando il profeta in un santino. È così che, nell’omelia in cattedrale per il ventesimo anniversario del suo martirio, Sáenz riesce nell’impresa di parlare dell’arcivescovo assassinato senza nominare, neppure una volta, la parola “giustizia”; negando l’esistenza di un qualunque salto nella vita di Romero, descritto appena come vescovo devoto, spirituale, asceta, obbediente; e chiamando “orrendo crimine” il suo martirio, senza indicarne le cause (v. Adista n. 29/00). Quanto al suo processo di canonizzazione – destinato con tutta probabilità a prendere ancora molta polvere nelle stanze vaticane – Sáenz non risparmia sforzi per tentare di accelerarlo, consigliando caldamente a più riprese di “non ostacolarlo con prese di posizioni politiche o strumentalizzazioni della sua figura” e di “chiedere molte grazie straordinarie e guarigioni miracolose al nostro Signore attraverso mons. Romero (v. Adista n. 27/07). Grandi proteste suscita la sua decisione di sottrarre alla Fondazione Oscar Romero la gestione della cripta della cattedrale, dove si trova la tomba dell’arcivescovo, ridimensionando la messa in memoria del pastore assassinato celebrata ogni domenica dalle comunità, la cosiddetta “messa di sotto” simbolicamente contrapposta alla “messa di sopra” in cattedrale.
Ma ancora più scalpore fa, l’ottobre scorso, la notizia delle trattative tra l’arcidiocesi e il governo - messo sotto accusa dalla Commissione Interamericana sui Diritti Umani (Cidh) per aver totalmente disatteso le raccomandazioni relative all’omicidio di Romero - allo scopo di trovare una “soluzione integrale” sul caso: sono circa ottanta gli organismi (tra gruppi, associazioni, comunità, movimenti laici e religiosi) che prendono posizione, in una lettera all’arcivescovo, contro quello appare con tutta evidenza un modo di soccorrere il governo, fornendogli una scappatoia in grado di risparmiargli una condanna della Cidh al minimo costo. Ma l’arcivescovo non si scompone, richiamandosi al “bene della Nazione” come “legge suprema” e rispondendo alle proteste a modo suo: destituendo cioè, “per mancanza di fedeltà”, l’avvocato David Morales, direttore dell’Ufficio di Tutela Legale dell’arcidiocesi (voluto da mons. Rivera y Damas per dare continuità al Socorro Jurídico fondato da Romero), proprio l’ufficio che era ricorso alla Cidh per denunciare le inadempienze del governo (v. Adista nn. 73 e 76/07). Non è questa del resto la sua prima dimostrazione di favore nei confronti del presidente Antonio Saca (del partito di destra Arena al governo ininterrottamente dal 1989, fondato dal maggiore Roberto D’Aubuisson, indicato dalla Commissione della Verità proprio come mandante dell’assassinio di Romero): impossibile dimenticare la messa in cattedrale celebrata all’indomani della vittoria di Saca alle elezioni del 2004, “in ringraziamento per il felice svolgimento della giornata elettorale”, nonostante le denunce piovute da ogni lato riguardo a irregolarità e intimidazioni, come ben evidenziato dal rapporto degli osservatori internazionali (v. Adista n. 38/04).
Giunto al capolinea della sua esperienza alla guida dell’arcidiocesi di San Salvador – per quanto non sia dato sapere quando effettivamente verrà rimpiazzato dal Vaticano – mons. Sáenz Lacalle sarà senza dubbio rimpianto da pochi. Rimane da vedere se il successore – di cui i preti salvadoregni tracciano il profilo ideale – saprà presto cancellare il suo brutto ricordo. Di seguito la lettera dei sacerdoti al card. Re, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)
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