UN GESUITA DENUNCIA: DIETRO IL CLIMA ANTI ROM A NAPOLI, “UN INTRECCIO DI INTERESSI POLITICI, AFFARISTICI E CRIMINALI”
Tratto da: Adista Notizie n° 43 del 07/06/2008
34454. NAPOLI-ADISTA. “Un’autentico affaire”, di cui fino ad oggi si è mancato di cogliere la reale “posta in gioco”: per p. Domenico Pizzuti, gesuita di Scampia, docente alla Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale e membro del comitato pro-Rom napoletano, l’aggressione al Campo nomadi napoletano di Ponticelli non è stata soltanto un’esplosione di violenza e di intolleranza primordiale, che dava sfogo al senso di insicurezza e alla rabbia repressa della popolazione. Per Pizzuti, che ha inviato ad Adista una sua ricostruzione dei fatti, alla radice di tutta la questione c’è la “disponibilità di un’area occupata da campi abusivi di famiglie di rom per la costruzione di abitazioni, servizi privati e pubblici come il Palaponticelli, per la quale, secondo il Programma di Recupero Urbano (Pru), approvato dalla Giunta Comunale, erano destinati 67 milioni di euro”. Infatti, secondo il gesuita, “se entro il 4 agosto 2008 non inizieranno i lavori dei cantieri per gli edifici previsti, verranno revocati i finanziamenti ministeriali”, e a perderci non saranno solo le imprese edili ma tutto il comune napoletano.
Già prima dell’aggressione e dei roghi il clima si era andato deteriorando e “la rappresentanza della Municipalità a più riprese aveva chiesto lo sgombero dei campi dall’area per l’attuazione del Pru”: si erano uniti al coro anche alcuni membri del Pd locale che avevano diffuso un “manifesto anti-rom” che chiedeva di liberare immediatamente l’area senza preoccuparsi di proporre “soluzioni abitative alternative per i rom romeni, all’interno del quartiere o nelle vicinanze”. “Lo sgombero dei campi era stato già programmato dalla prefettura di Napoli”, scrive Pizzuti, ma i “moti popolari”, scoppiati “sotto l’onda di un presunto rapimento di un bimbo da parte di una giovane rom”, ancora tutto da accertare dalla magistratura, sono arrivati prima del Comune.
Al momento degli assalti ai campi, racconta il gesuita che “in prima fila c’erano donne vocianti contro i rom ‘ladri di bambini’, e facinorosi scorazzanti in moto a lanciare bombe molotov per incendiare le baracche ed impedire il ritorno dei rom”. Per Pizzuti, bisogna smentire, almeno in parte, “l’interpretazione corrente, per certi versi assolutoria, che attribuisce raid e roghi alla mitica camorra, mettendo in ombra responsabilità, ritardi e disfunzioni istituzionali e sociali”. Piuttosto che ai boss, bisogna guardare a “un secondo livello della malavita, fatto di focolai più o meno spontanei e di esasperazione popolare, secondo la ‘giustizia fai da te’ di gruppi usi alla violenza per risolvere i conflitti”. Il gesuita punta poi il dito contro l’assenza e l’abbandono del comune, che ha lasciato crescere degrado e rabbia e contro la “latitanza ed indifferenza della società civile ed in particolare del Terzo settore”. Ma dietro la violenza ‘popolare, secondo il gesuita non bisogna dimenticare l’esistenza, già da tempo, di “un disegno concertato mirante alla cacciata di tutti i Rom dal quartiere, per un intreccio di interessi politico-affaristici e criminali”. (alessandro speciale)
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