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LA CRISI: IL SILENZIO DELLA CHIESA

Tratto da: Adista Documenti n° 76 del 01/11/2008

Richiama l’attenzione il fatto che le autorità ecclesiastiche parlino tanto di alcune cose, mentre su altre questioni assai preoccupanti per la gente, come è il caso della crisi economica, non dicano neppure una parola. Naturalmente, è rischioso affermare che il papa, i cardinali e i vescovi, tanti come sono, non abbiano detto nulla riguardo ad un tema di cui il mondo intero parla con preoccupazione e angoscia. Non ci sono dubbi che il papa e i vescovi ne abbiano parlato. Ma il fatto è che l’opinione pubblica sa perfettamente quello che la gerarchia pensa e dice riguardo all’aborto, al-l’eutanasia, al divorzio, all’omosessualità, all’uso dei contraccettivi, all’insegnamento dell’educazione alla cittadinanza (materia introdotta da Zapatero e osteggiata dai vescovi spagnoli, ndt), ecc., mentre la gente non ha nessuna  idea di ciò che pensano i vescovi rispetto alla crisi del sistema finanziario, al crollo delle banche, all’impennata dei prezzi, alla disoccupazione, ai mutui subprime, all’avidità che, secondo il Commissario degli Affari Economici dell’Unione Europea, Joaquìn Almunia, è alla radice di questa crisi così profonda e oscura e di tale gravità.

È vero che le questioni di ordine economico presuppongono conoscenze tecniche che non sono alla portata di tutti, neppure dei vescovi che si suppone abbiano ricevuto la formazione e la preparazione necessarie per dire, come pastori, quello che i credenti devono pensare in relazione ai loro problemi di vita e di coscienza. Siamo d’accordo sul fatto che siano gli economisti a parlare di economia. Ma, se questo criterio è corretto, bisognerà dire con la stessa ragione che debbano essere i biologi a parlare di biologia. Perché i vescovi parlano con tanta sicurezza di questioni come le cellule staminali, il termine della vita, gli esperimenti scientifici su embrioni o la fecondazione in vitro, se la maggior parte dei vescovi sa di biologia meno ancora di quanto possa sapere di economia ?

Sinceramente, sospetto che il silenzio dei vescovi sui temi economici non sia dovuto ad ignoranza, ma ad altre più oscure motivazioni. Perché dico questo? Pochi giorni fa, il presidente del Parlamento Europeo Hans-Gert Poettering diceva senza giri di parole: “Non si possono dare 700.000 milioni (di dollari) alle banche e dimenticarsi della fame”. Poiché questa incredibile quantità di denaro viene riservata ai ricchi affinché si sentano più sicuri e tranquilli nella loro condizione privilegiata, mentre, come ben sappiamo, proprio ora vi sono più di 800 milioni di esseri umani costretti a sopravvivere con meno di un dollaro al giorno, e cioè a vivere in condizioni disumane, esposti ad una morte vicina e spaventosa.

Ebbene, lo scandalo è che i politici denuncino questa atrocità dell’“economia canaglia” (Loretta Napoleoni), mentre coloro che ci si presentano come i rappresentanti ufficiali di Cristo in terra non alzino la propria voce contro una simile vergogna. Naturalmente, io non ho soluzioni per la situazione critica che stiamo vivendo, né posso essere io ad offrire soluzioni. L’unica cosa che posso (e devo) dire è che nella Chiesa abbondano i funzionari e mancano i profeti. E ho l’impressione che, in questo momento, per uscire dal ginepraio in cui siamo finiti, più importante della conoscenza degli economisti sia l’audacia di profeti capaci di dire dove si situa esattamente la cupidigia che, come ho già detto, è alla radice del disastro che stiamo soffrendo.

Tutti sappiamo che la Chiesa denuncia l’ingiustizia. Il problema, però, è che lo fa utilizzando un linguaggio generico come quello del presidente Bush quando parlava di “giustizia infinita”. Nessuno dubita delle buone intenzioni del papa. E neanche della sua grande personalità e del suo prestigio mondiale. Ma il problema è che il papa è il capo supremo di una istituzione presente nel mondo intero e si sforza di mantenere le migliori relazioni possibili con i responsabili dell’economia e della politica in ogni Paese. Ebbene, dal momento in cui la Chiesa ha scelto di funzionare così, è impossibile per lei quella missione profetica che deve esercitare in difesa dei poveri e delle persone più maltrattate dalla vita e dai poteri di questo mondo.

Chiunque legga con attenzione i vangeli sa che Gesù non si comportò, di fronte alle autorità e ai ricchi del suo tempo, come le gerarchie ecclesiastiche si comportano oggi dinanzi ai responsabili di questa economia canaglia che sta portando alla rovina il mondo. È evidente che le preoccupazioni di Gesù erano molto diverse da quelle della Chiesa di oggi. Si deve produrre una catastrofe economica come quella che stiamo vivendo per farci rendere conto di dove vadano i reali interessi degli ‘uomini di religione’. Essi utilizzano il linguaggio della giustizia e della solidarietà, che è quello che serve per i nostri tempi, ma non si azzardano ad alzare la voce quando temono che gli interessi della religione possano essere messi in pericolo.

Stando così le cose, la conclusione è chiara: l’istituzione religiosa è più preoccupata di assicurare la stabilità e il buon funzionamento della religione che esporsi (con tutto ciò che ne consegue) per coloro che se la passano peggio nella vita. E se questa è la conclusione logica, il risultato è evidente: i ricchi si sentono sicuri, i poveri restano immersi nella loro miseria, e la religione, con i suoi templi e i suoi funzionari, rimane la stessa, per quanto stia diventando ogni giorno più vecchia e senza forze.

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