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ATTACCO SPROPORZIONATO. POLITICA MIOPE. LA POSIZIONE DEI SETTIMANALI DIOCESANI SULLA GUERRA A GAZA

Tratto da: Adista Notizie n° 7 del 24/01/2009

34790. ROMA-ADISTA. In Israele si avvicinano le elezioni e Gaza, con il suo milione e mezzo di abitanti, è la vittima da sacrificare sull’altare del voto. Al di là dell’unanime richiamo ad una pace che sembra sempre più lontana e della condanna (salvo rare eccezioni come L’Ortobene di Nuoro che ha puntato il dito quasi esclusivamente contro Hamas) dell’operazione ‘Piombo fuso’ - ritenuta “sproporzionata” e foriera di nuove violenze - è questa l’ipotesi formulata da diversi settimanali diocesani negli ultimi giorni: secondo queste testate, l’attacco di Tsahal, l’esercito israeliano, potrebbe essere un mero calcolo politico. A febbraio infatti i cittadini dello Stato ebraico dovranno scegliere tra Tzipi Livni, la candidata premier del partito di Kadima, che avrebbe giocato questa carta per ottenere i voti della destra israeliana, dopo lo scandalo che ha coinvolto l’attuale premier Ehud Olmert, indagato per corruzione e Benjamin Netanyahu del Likud. A scontrarsi sono due posizioni antitetiche rispetto alla questione palestinese: da un lato la Livni che rappresenta, pur con tutti i limiti del caso, la linea del dialogo con Fatah - considerato, a differenza di Hamas, un interlocutore credibile - dall’altro l’intransigenza del Likud contrario ad ogni ipotesi di uno Stato palestinese e favorevole al rafforzamento dell’apparato militare.

La tesi del calcolo elettorale parte in realtà da un articolo di Riccardo Moro, apparso sull’agenzia dei vescovi Sir il 29 dicembre e poi ripreso nei giorni seguenti da diversi settimanali diocesani (tra cui La voce di Perugia, Nuova Scintilla di Chioggia, Corriere della Valle di Aosta, Il Segno di Bolzano) - che sottolinea, tra l’altro, come la politica non sia “un gioco da tavolo da fare durante le feste natalizie”. “La violenza uccide - scrive Moro - e nessuno ha il diritto di costruire la propria pace con la vita degli altri. Inoltre se anche un’azione militare ottenesse la caduta di Hamas, chi garantisce che sotto la cenere non continui a bruciare il fuoco del rancore che domani alimenterà nuova violenza? Se Livni vuole la pace dimostri di cercarla davvero senza violenza, con un dialogo regionale e con gesti inequivocabili, come l’interruzione del Muro. La pace si fonda sul coraggio, non sul taglione”. Di seguito una rassegna dei commenti apparsi sulle testate diocesane. (ingrid colanicchia)

 

Toscana Oggi (Firenze, 11/1), “Gaza: il fallimento di 60 anni di guerre e violenze”, Romanello Cantini:

“La violenza appare da una parte l’unico modo per vincere, dall’altro l’unico modo per educare. Ma già san Tommaso ricordava che fra le molte condizioni necessarie per cui la guerra possa essere considerata giusta c’è anche quella secondo cui deve avere qualche possibilità di successo senza un inutile spreco di vite umane. Ora è difficile capire quale possibilità di piegare Israele abbia l’esercizio di bombardare il territorio israeliano con qualche razzo molto impreciso, come per qualche settimana ha fatto Hamas. E d’altra parte è anche difficile capire come Hamas e la popolazione di Gaza possano essere resi più ragionevoli prima da una chiusura delle frontiere che ha costretto in pratica tutta la popolazione a vivere di carità e poi da un attacco che ha fatto centinaia di morti.

Attaccando Gaza e cercando di eliminare i capi di Hamas, Israele non brevetta nulla di nuovo e non butta sul tavolo nessun asso che sia risultato definitivo per vincere la partita. Israele ha cominciato ad eliminare i capi di Hamas nel 2003, anno in cui fu ucciso lo sceicco Yassin, il fondatore dell’organizzazione, insieme ad una decina dei suoi maggiori esponenti senza per questo che la decapitazione plurima abbia indotto Hamas a più miti consigli. Nel luglio 2006 un’incursione degli israeliani con carri ed elicotteri nella Striscia di Gaza per vendicarsi del tiro di razzi in Israele fece 120 vittime. Ma solo qualche settimana più tardi i tiri dei missili Qassan erano già ripresi.

[...] Quando domani o dopodomani l’esercito israeliano se ne andrà da Gaza lascerà qualche miliziano di Hamas in meno fra i diecimila attuali, ma lascerà tanto odio in più fra il milione e mezzo di abitanti della Striscia che avanzerà abbondantemente la materia prima per fabbricare di nuovo estremisti in serie. [...] Per riprendere un dialogo sulla pace in generale bisogna che Hamas sia ammorbidita o sostituita. Ma credere che la benevolenza verso Israele possa far breccia fra i palestinesi della Striscia quando Israele assedia e bombarda è credere che l’odio possa essere guarito con una pena inflitta in più”.

 

La vita cattolica (Udine, 3/1), “La Terra Santa trovi il coraggio della pace”, Ezio Gosgnach:

“La nuova escalation di violenza ha un retroscena politico. In Israele sono alle porte elezioni anticipate e la coalizione tra i centristi di Kadima e i laburisti teme – sondaggi alla mano – di perdere il potere a vantaggio della destra e del Likud. Cerca, quindi, di risalire la china dei consensi con la fermezza in campo militare. Ma in gioco c’è molto più della gestione del potere. L’attuale ministro degli Esteri e candidata premier, Tzipi Livni, crede nel processo di pace con i palestinesi, mentre il suo avversario, Bibi Netanyahu, non vede possibile il riconoscimento di uno Stato palestinese e vuole il rafforzamento dell’apparato militare e del muro che separa i due popoli. Anche in campo palestinese si fronteggiano l’opzione di Hamas, che non riconosce Israele, e quella di Fatah, che controlla la Cisgiordania ed è aperta al dialogo e alla soluzione pacifica [...] In ogni caso, la crisi attuale è solo l’ultima tappa di un conflitto che ha radici profonde ed è di difficilissima soluzione [...] Dalla Terra Santa arriva una lezione precisa: la politica dell’‘occhio per occhio, dente per dente’ non paga ed è illusorio pensare di risolvere ogni questione con la forza delle armi. Il ribattere colpo su colpo, il cedere alla vendetta non fa altro che alimentare la spirale di violenza e sangue; a volte porta a successi temporanei, ma a lungo andare è sempre controproducente”.

La voce dei Berici (Vicenza 4/1), “Massacro a Gaza: ‘Piombo fuso sull'entità ostile’”, Gianni Sartori:

“Di fronte alle centinaia di vittime palestinesi della rappresaglia su Gaza, le prime reazioni dell'Occidente sono state alquanto tiepide.

Forse, ormai abituata a una politica internazionale basata sul diritto del più forte, l'opinione pubblica non trova particolarmente scandaloso che lo stesso criterio guidi la politica israeliana. [...] Da quando, nel settembre 2007, Gaza è stata definita dal governo israeliano ‘entità ostile’, un milione e mezzo di palestinesi hanno perso anche le minime garanzie che spettano a un popolo sottoposto a occupazione militare. [...] La Corte suprema israeliana ha legittimato progressive riduzioni delle forniture di carburante ed elettricità alla popolazione e la chiusura dei valichi ha sistematicamente impedito che a Gaza arrivassero viveri, medicine e materiale medico.

Sono passati trent'anni da quando Lelio Basso osservava come ‘nel subcosciente di milioni di occidentali, Israele conferma il complesso di superiorità e le ambizioni egemoniche che una volta trovavano soddisfazione negli imperi coloniali’. E pensando alle persecuzioni che hanno fatto della popolazione ebraica d'Europa un popolo martire per eccellenza, definiva ‘un curioso modo di liberarsi dai rimorsi, per i torti fatti a un popolo, quello di sacrificarne un altro’”.

 

La Voce isontina (Gorizia, 10/1), “Impotenza”, Mauro Ungano:

“[...] C’è molta ipocrisia nell’indignazione internazionale dinanzi ai corpi dei bambini uccisi in una scuola gestita dall’Onu a Jabalya; immagini viste con gli stessi occhi di chi per anni ha voltato lo sguardo dall’altra parte, ignorando volutamente una non-realtà come quella dei campi profughi. Eppure lì intere generazioni di bambini sono state costrette a crescere nell’indifferenza del mondo cosiddetto civile. [...] Non sorprende quindi che per loro, come per i loro padri e per i loro nonni, il fondamentalismo di Hamas e la Jihad islamica rappresentino l’unico riferimento cui aggrapparsi nella sopravvivenza quotidiana e l’odio l’unico cibo di cui nutrirsi quando il piatto sul tavolo rimane desolatamente vuoto. Pedine di un gioco terribile ben più grande di loro, gestito in altri luoghi ed altre latitudini e che trova in Israele uno dei suoi preferiti bersagli”.

 

Il nostro tempo (Milano/Torino 11/1,) “Guerra e silenzi”, Paolo Romani:

“[...] L’intervento a Gaza è per molti versi, il remake di quello dell’estate del 2006, quando gli israeliani entrarono nel Libano meridionale con l’obiettivo di neutralizzare un altro gruppo armato, Hezbollah. Oggi come allora, la strategia scelta dagli israeliani li obbliga a conseguire una vittoria assoluta, definitiva. ‘Il problema - ha scritto l’editorialista del Pais - è che nessun Paese può ottenere una simile vittoria senza rinunciare al suo posto fra le nazioni civili’.

In parole povere, il massacro dei civili palestinesi (massacro inevitabile se non si riuscirà a fermare la guerra) significherà che il volto e l’immagine di Israele usciranno sfigurati dal conflitto di Gaza. Oltretutto, se la vittoria israeliana non sarà totale, Hamas apparirà come il vero vincitore, come Hezbollah in Libano due anni or sono. Altre conseguenze devastanti si profilano sulla scena mediorientale. La guerra di Gaza rischia di togliere all’Autorità Palestinese e al suo leader Abbas quel poco di credibilità che ancora resta loro, mentre il prestigio di Hamas potrà soltanto crescere agli occhi delle popolazioni arabe. Non solo: il conflitto di Gaza rischia di innescare una seconda e più violenta intifada in Cisgiordania. A medio termine sarà tutto il mondo arabo a rischiare la destabilizzazione. E quanto a Israele, come ha osservato l’editorialista del Pais, i responsabili di questa risposta sproporzionata saranno costretti, volenti o nolenti, a domandarsi se ne valeva la pena. Certo, Israele avrà dimostrato, ancora una volta, di essere il più forte, ma il prezzo che dovrà pagare sarà altissimo perché si ritroverà ancora più isolato, ancora meno sicuro di prima”.

 

La Voce del popolo (Torino, 11/1), “La pace ‘impossibile’ e la cambiale elettorale”, Marco Bonatti:

“Il ritorno della guerra guerreggiata nella Striscia di Gaza sembra rispondere a una serie di condizioni e scadenze che riguardano tanto Hamas quanto Israele. La scadenza più visibile è quella elettorale: i Palestinesi devono votare, e a febbraio anche i cittadini dello Stato ebraico sono chiamati alle urne per passare oltre l’era di Ariel Sharon. [...] Rompendo la tregua si spinge Israele a irrigidirsi sull’opzione militare (e questo è già accaduto), contribuendo così a indebolire i fronti moderati, sia all’interno del mondo arabo sia in Occidente. E si ‘obbliga’ il popolo arabo a tornare in piazza, a manifestare per una ‘liberazione’ che appare sempre più distante dalle coscienze (e dagli interessi) degli stessi stati mediorientali. Quando Hamas deve governare perde quei consensi che riguadagna invece quando riesce a rivestirsi di ‘martirio’ (lasciando uccidere i civili).

Ma non si può negare che l’opzione della violenza è comoda anche per Gerusalemme, e in particolare per l’attuale governo di Kadima. ‘Obbligati’ dalla rottura unilaterale della tregua decisa da Hamas, Olmert, Barak e Livni, la candidata premier, possono dispiegare la violenza di Tsahal con qualche giustificazione in più di fronte alla comunità internazionale; e tenere a bada sulla destra i concorrenti del Likud e dei partitini religiosi ultraortodossi fautori della guerra permanente per l’espansione di Israele fino ai confini ‘storici’ dell’epoca biblica e per l’espulsione dalla loro ‘terra santa’ di tutti gli arabi e i cristiani. [...]

Non riuscire a battere definitivamente Hamas rappresenta un incubo concreto per i governanti ebraici, per i quali forse è troppo difficile accettare l’idea che la forza vera di Hamas non consiste soltanto negli aiuti umanitari che i terroristi ricevono dall’Iran o da altri, ma nel suo radicamento popolare e nella capacità di intercettare, tra gli elettori palestinesi, il disagio e il dissenso nei confronti dell’amministrazione dell’Olp e dei suoi compromessi. ‘Ridurre’ Hamas ad un problema terroristico cui dare una risposta militare è la tentazione di Israele oggi: ed è l’illusione pericolosa dell’intero Occidente”.

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