DO UT NON DES. IL VATICANO PERDONA, MA I LEFEBVRIANI CONTINUANO A RIFIUTARE IL CONCILIO
Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 07/02/2009
34813. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Si può rientrare da uno scisma durato oltre vent'anni senza manifestare alcun segno di pentimento e senza dover riconoscere il Concilio Vaticano II, ma anzi mantenendo su quest'ultimo le proprie ben note “riserve” e proponendo le proprie posizioni come la 'ricetta' di cui la Chiesa ha bisogno per uscire dalla crisi: è questo il bilancio che il superiore generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, mons. Bernard Fellay, ha potuto presentare ai propri affiliati all'indomani della pubblicazione da parte della Santa Sede del decreto di revoca della scomunica dei quattro vescovi ordinati da mons. Marcel Lefebvre nel 1988.
La revoca, fortemente voluta da Benedetto XVI, è stata pubblicata lo scorso 21 gennaio – alla vigilia del 50° anniversario dell'indizione del Concilio da parte di papa Giovanni XXIII – confermando così le anticipazioni apparse sulla stampa nei giorni precedenti (v. Adista n. 10/09). Ma la “remissione” della scomunica dei vescovi lefebvriani, presentata come un atto di “sollecitudine pastorale e paterna misericordia” da parte del papa, non è arrivata all'indomani di alcun pentimento da parte degli scismatici seguaci di mons. Lefebvre né di alcuna adesione a quello che è, ancora oggi, una delle massime espressioni del Magistero ufficiale della Chiesa cattolica.
Per motivare la decisione di papa Ratzinger, il decreto – firmato dal prefetto della Congregazione per i Vescovi, card. Giovanni Battista Re e, a quanto pare, preparato del presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, mons. Francesco Coccopalmerio – cita una lettera inviata da mons. Fellay al presidente della Pontificia commissione Ecclesia Dei, il card. Dario Castrillón Hoyos, lo scorso 15 dicembre (per tutta la documentazione v. il numero di Segni nuovi allegato). “Siamo sempre fermamente determinati – scriveva il vescovo lefebvriano – nella volontà di rimanere cattolici e di mettere tutte le nostre forze al servizio della Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, che è la Chiesa cattolica romana. Noi accettiamo i suoi insegnamenti con animo filiale. Noi crediamo fermamente al primato di Pietro e alle sue prerogative, e per questo ci fa tanto soffrire l'attuale situazione”.
Tanto bastava per convincere il pontefice e la Curia a perdonare i lefebvriani. Anche se in quella stessa lettera Fellay annunciava alla Santa Sede di non voler fare nessun passo indietro rispetto alle ragioni che avevano portato alla rottura con Roma, cioè il rifiuto di riconoscere il Concilio Vaticano II. Anzi: all'indomani della revoca – quasi giocando un crudele scherzo mediatico ai danni del Vaticano – lo stesso Fellay si premurava di rendere pubblici i passaggi più imbarazzanti della sua missiva di dicembre.
Rivolgendosi infatti ai membri della Fraternità per annunciare loro la revoca della scomunica, il vescovo lefebvriano citava altri passi della sua lettera a Castrillón Hoyos che la Sala Stampa aveva preferito non inserire nel comunicato ufficiale: “Noi siamo pronti – aveva affermato Fellay – a scrivere il Credo con il nostro sangue, a firmare il giuramento anti-modernista, la professione di fede di Pio IV, noi accettiamo e facciamo nostri tutti i concili fino al Vaticano II su quale noi esprimiamo delle riserve”. Aggiungeva ancora Fellay: “In tutto questo noi abbiamo la convinzione di restare fedeli alla linea di condotta tracciata dal nostro fondatore mons. Marcel Lefebvre di cui speriamo la pronta riabilitazione”.
Ma non finisce qui: il decreto della Santa Sede accenna anche ai “necessari colloqui con le Autorità della Santa Sede” per approfondire “le questioni ancora aperte, così da poter giungere presto a una piena e soddisfacente soluzione del problema posto in origine”. Nella sua lettera ai fedeli della Fraternità, Fellay chiarisce perfettamente con quale spirito i lefebvriani si accostino a questo dialogo: “Intendiamo, in questi colloqui con le autorità romane, esaminare le cause profonde della situazione attuale [di crisi della Chiesa, ndr] e, apportandovi il rimedio adeguato, giungere a una vera restaurazione della Chiesa”. Insomma: di fronte alla crisi odierna della Chiesa, al calo delle vocazioni, alla secolarizzazione, alla “apostasia silenziosa” dell'Europa cristiana, i lefebvriani tornano in comunione con Roma per aiutarla ad affrontare quelle “questioni dottrinali che si oppongono al magistero perenne” della Chiesa – le conquiste del Concilio Vaticano II su ecumenismo, libertà religiosa e democrazia ecc. – e offrendole l'apporto della “Tradizione cattolica” conservata fedelmente dalla Fraternità.
Non saranno colloqui semplici: il Vaticano ha già dato ai lefebvriani quasi tutto quello che volevano (la revoca della scomunica e il ritorno in “comunione” con la Chiesa) ed è difficile immaginare che mons. Fellay e i suoi compagni decidano adesso, da una posizione di forza e di ritrovata legittimità, di accettare gli insegnamenti del Vaticano II. Eppure, è proprio quello che papa Ratzinger ha chiesto loro durante l'udienza generale del 28 gennaio: spiegando i motivi del proprio gesto, e con l'intento di rispondere anche alle polemiche del mondo ebraico per la revoca della scomunica (v. notizia successiva), il pontefice ha invitato i lefebvriani a “compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del Magistero e dell'autorità del papa e del Concilio Vaticano II”. Non sorprende che, da Ecône, sede della Fraternità, a questo invito papale non sia arrivata per ora nessuna risposta.
Intanto, di fronte alle polemiche dentro e fuori la Chiesa, è cominciata in Vaticano la 'caccia al colpevole' di un'operazione condotta con troppa fretta e dalle ricadute pubbliche disastrose. Secondo quanto scrive il 28/1 il quotidiano ItaliaOggi (di area ciellina), il card. Re avrebbe accusato pubblicamente il presidente di Ecclesia Dei, card. Castrillón Hoyos, di aver forzato la mano per chiudere la vicenda dei lefebvriani prima della sua pensione (Hoyos compirà 80 anni a luglio). In effetti, il decreto di revoca della scomunica lascia stranamente in sospeso la situazione canonica dei vescovi e dei membri della Fraternità, ancora – come hanno ricordato in una lettera i vescovi svizzeri – sospesi a divinis e privi di incardinamento gerarchico nella Chiesa. Il portavoce vaticano p. Federico Lombardi ha precisato che i lefebvriani sono sì “in comunione”, ma che la “piena comunione” è ancora di là da venire: sono, insomma, in una specie di 'limbo' ecclesiastico da cui usciranno, forse, con una soluzione in stile Opus Dei, grazie all'erezione per loro di una “prelatura personale”.(alessandro speciale)
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