LA SFIDA DI UN RITORNO ALLA PRASSI, NELL’ALVEO DELLA TRADIZIONE PROFETICA LATINOAMERICANA
Tratto da: Adista Documenti n° 26 del 07/03/2009
DOC-2106. BELEM-ADISTA. (dall’inviata) Che fosse tutt’altro che semplice costituire una rete mondiale di teologi legati alla prospettiva della liberazione in appoggio al processo del Forum Sociale Mondiale era già risultato chiaro con la prima edizione del Forum Mondiale di Teologia della Liberazione, nel 2005 a Porto Alegre. Nei confronti di quella prima edizione non erano certo mancate le critiche: era risultata, si era detto, eccessivamente accademica, aveva concesso poco spazio al dibattito e aveva lasciato la realtà sullo sfondo, trascurando la riflessione sull’impegno a fianco dei movimenti sociali. A Nairobi, due anni più tardi, gli organizzatori - istituzioni legate alla ricerca teologica come Asett o Eatwot (Associazione dei teologi del Terzo Mondo), Amerindia, Soter (Società di Teologia e Scienze della Religione), Cesep (Centro Ecumenico di Servizio all’Evangeliz-zazione e all’Educazione) - erano quindi corsi ai ripari, aprendo la partecipazione a rappresentanti di movimenti di base e seguendo una metodologia più partecipativa, con l’apprezzatissimo inserimento di un pomeriggio di immersione nella realtà africana, quella delle baraccopoli di Nairobi (inserimento ripetuto anche a Belém, in relazione alla realtà locale, ma non con altrettanto successo). Anche nei confronti della seconda edizione, però, non erano mancati i rilievi: se a Porto Alegre si era fatta “troppa teologia”, a Nairobi ce ne era stata fin troppo poca, senza che venisse peraltro aumentato lo spazio della “liberazione”, in quanto le religioni avevano parlato più di se stesse che del mondo.
E il mondo ha fatto irruzione a Belém con l’indovinatissima scelta di porre al centro della riflessione il tema ecologico (fortemente trascurato a Nairobi), per una teologia della sostenibilità della vita sul pianeta. Una riflessione condotta attraverso una prima sessione di lavoro su “Acqua, terra, Teologia: verso un paradigma ecologico” (centrata sulla relazione di Leonardo Boff); una seconda sessione sul tema “Spiritualità ed etica nell’agenda della sostenibilità” (affrontato dalla pastora battista statunitense Emilie Townes e dal sudafricano Steve DeGruchy) e un’ultima sessione sulla “Dimensione ecoteologica della corporalità” (affidata in particolare a due teologhe, la presbiteriana coreana Chung Hyun Kyung, critica nei confronti di una teologia “in menopausa”, e la teologa statunitense Mary Hunt, che, sulla base del presupposto che “i corpi non mentono”, ha affrontato il tema della corporalità nella prospettiva dei bambini uccisi a Gaza, della lotta per i diritti riproduttivi delle donne, della sessualità tra persone dello stesso sesso).
Ma se “il mondo” si è fatto presente al Forum di Belém attraverso la scelta del tema ecologico – tema affrontato da interventi non sempre all’altezza della sfida – continua a pesare l’assenza nel Forum di una dimensione più propriamente politica, ancora più evidente a fronte dei profondi e incoraggianti cambiamenti in corso in America Latina: un processo di trasformazione rispetto a cui la Teologia della Liberazione sta mostrando, inspiegabilmente, un preoccupante deficit di riflessione a partire dalla prassi, a conferma di una ancora limitata sintonia con quel Forum Sociale Mondiale che il Forum di Teologia si proponeva di accompagnare, per affrontarne i temi da una prospettiva di fede. E l’assenza a Belém di molti dei più prestigiosi teologi della liberazione – alcuni dei quali, come Frei Betto e José Comblin, erano presenti al Fsm e non a quello di Teologia svoltosi immediatamente prima – non è di sicuro un buon segno (indipendentemente se si tratti di una decisione degli assenti o di carenze organizzative).
Di tutto ciò Adista ha parlato con il teologo brasiliano Luiz Carlos Susin, segretario esecutivo del Fmtl, e con il teologo spagnolo Juan José Tamayo, presente a tutte le edizioni del Forum. Di seguito le interviste. (claudia fanti)
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