L'ETICA DELLA LAICITÀ NELLA POLITICA, PER COSTRUIRE LA "CIVITAS HUMANA". V ASSEMBLEA DI AGIRE POLITICAMENTE
Tratto da: Adista Notizie n° 46 del 02/05/2009
34974. ROMA-ADISTA. "Politica, morale, religione", è stato il tema della quinta Assemblea congressuale di Agire Politicamente, coordinamento di cattolici democratici, svoltasi a Roma (18-19 aprile) nel centenario della nascita di Giuseppe Lazzati e a 50 anni dalla morte di don Primo Mazzolari. Proprio al magistero dei due grandi del cattolicesimo democratico si richiama l'associazione, riaffermando la concezione unitaria e distinta dell'"azione cattolica" e dell'"azione politica", dell'esperienza religiosa e dell'impegno culturale, nella convinzione che "la politica, intesa come autonoma costruzione della civitas humana, abbia bisogno di ritrovare le sue ragioni fondative in un'antropologia morale disponibile all'ascolto delle verità religiose e debba adottare l'etica della laicità, quale suo specifico statuto regolativo".
"La laicità è la proprietà essenziale dello spazio pubblico, delle istituzioni e dello Stato", ha infatti sostenuto Marco Ivaldo, docente di Storia della Filosofia morale all'Università di Napoli, nella sua relazione dal titolo "Il laico cristiano: ispirazione della fede, spazio pubblico, mediazione". Oggi, secondo Ivaldo, la democrazia si trova di fronte a sfide nuove sulle quali fa fatica a trovare soluzioni: le sfide della bioetica, della biopolitica, della biotecnologia. Per questo tutti i cittadini, appartenenti o no ad una Chiesa, "sono chiamati a pensare insieme il rapporto tra fede e ragione secondo forme nuove che non siano né quelle della neutralizzazione della religione, né una strumentalizzazione della religione per formare un'identità civile". E il cittadino credente deve assumersi in prima persona "la responsabilità di una mediazione culturale che consenta di partecipare al dibattito pubblico, capace di attirare l'ascolto di ogni cittadino al di là di ogni personale appartenenza di fede". Per Ivaldo oggi "la questione antropologica più che luogo d'incontro è spazio del conflitto tra diverse visioni dell'uomo. Parlare di neutralità però - aggiunge - è semplicemente una posizione difensiva che non porta nessuna conclusione positiva. Bisogna cercare buone mediazioni a partire da visioni diverse. Bisogna partire da un riconoscimento reciproco delle buone ragioni". Il "Bene", allora, viene assunto come scopo, "come prospettiva integratrice, il Bene comune concreto, che siamo capaci di realizzare." È necessaria un'ottimizzazione della costellazione dei valori, in modo che nessuno di essi risulti troppo sacrificato e pregiudicato e nessun valore metta a rischio gli altri. Principi negoziabili sì o no? Vexata questio. Ivaldo è chiaro: "Occorre un consenso per intersezione, un processo di reciproco ascolto e riconoscimento, almeno su alcuni principi pratici. La politica è proprio scambio, negozio. Occorre trovare una via media tra imposizione per legge di una valutazione e una pluralità di etiche in cui tutto appare lecito. Per evitare questa biforcazione bisogna coniugare i valori, i principi, con la pratica politica".
Il dialogo, l'opinione pubblica nella Chiesa e la passione riformatrice erano proprio i tre pilastri su cui basava il suo impegno pastorale il prete cremonese Primo Mazzolari, scomparso nel 1959, di cui ha tracciato un profilo lo storico Giorgio Campanini. L'istanza per la giustizia, una chiara scelta di campo per la povertà, l'impegno per la pace erano gli obiettivi che gli stavano a cuore. Ma soprattutto la passione per una coraggiosa riforma interna della Chiesa, sostanziata in tre punti principali: l'attenzione ad un laicato consapevole, che non sia fatto di credenti che dicono sempre di sì; il superamento di tutto ciò che nella Chiesa lascia trasparire un volto di potenza; l'ecumenismo.
Sulla necessità di una vera opinione pubblica nella Chiesa, ossia, sul rapporto tra la testimonianza del cristiano e la sua capacità di profezia, Campanini ha ricordato la frase di Paolo VI su Mazzolari: "Don Primo camminava con passo troppo lungo e noi non riuscivamo a stargli dietro. È il destino inevitabile dei profeti". Si chiede poi lo storico: è proprio così inevitabile questo destino che ha riguardato altri profeti poi riabilitati? "Credo che sia onesto domandarsi perché questo sia avvenuto e avvenga ancora", afferma con pacatezza Campanini: "Perché questa mancanza di circolazione delle idee, questo insufficiente dialogo nella Chiesa? Perché ci si ascolta poco? Funzionano le occasioni di dialogo e confronto permanente come i consigli pastorali? E qual è il ruolo dei laici? Anche se non possono decidere, sono almeno realmente consultati nei processi decisionali?". I costi di questa mancanza di ascolto sono pesanti - sostiene Campanini - e sono l'emarginazione di queste voci profetiche. "Se vogliamo essere fedeli all'insegnamento di Primo Mazzolari dobbiamo riappropriarci del problema del dialogo nella vita della Chiesa, riconoscere che questo dialogo è carente e cercare le modalità per riattivarlo. Certe rotture con il mondo sono anche dovute al linguaggio, allo stile o al momento della comunicazione. Se si avesse la pazienza del dialogo e dell'ascolto certe rotture sarebbero evitate". "Mi auguro - ha concluso Campanini - che i 50 anni dalla morte di don Primo non siano passati invano". Gli ha fatto eco mons. Giuseppe Casale, vescovo emerito di Foggia: "La verità non si può imporre", ha detto il pastore, "la Chiesa può far accogliere la verità se dimostra di sapere camminare con l'uomo. Ma ciò esige un dialogo profondo e un ascolto reciproco. Dobbiamo chiedere ai nostri vescovi di ascoltare la voce dei laici. Anche i nostri organi di informazione spesso sono monocordi, c'è solo l'esposizione di una voce, di una verità. Bisogna chiedere che i nostri giornali favoriscano il dialogo e il dibattito". (vittorio sammarco)
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