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ETNICITÀ E RELIGIONI: UN DIALOGO POSSIBILE?

Tratto da: Adista Documenti n° 47 del 02/05/2009

Introduzione

Questo articolo si propone di analizzare la religione a partire dalla sua relazione con i paradigmi dell'etnicità e del multiculturalismo con le loro implicazioni nella formulazione di domande relative all'alterità, alle differenze, al rispetto e al riconoscimento di altri spazi religiosi nella società attuale.

L'ipotesi centrale di questo testo è che una visione omogeneizzante del ‘mondo' tende a permettere che le persone considerino il proprio ‘mondo' come quello certo, vero e giusto, mentre gli altri ‘mondi', il diverso e l'altro/a sono realtà sprovviste di una propria identità, di valore e di senso. Tale posizione, pertanto, impedisce il riconoscimento che le loro filosofie e le loro credenze siano altrettanto valide e autentiche. Tale riflessione è presente già da molto in ambito accademico, ma qui ci proponiamo di riflettere sul modo in cui la religione può contribuire a rafforzare i paradigmi relativi all'omogeneizzazione della realtà, dei valori e del mondo e al progetto universalista della vita, rendendo possibile e/o alimentando il fondamentalismo e atteggiamenti intransigenti e discriminatori nei riguardi delle persone e di altre religioni, espropriandole così di diritti fondamentali, come quello di conservare la proprie tradizioni, la proprie lingue, le proprie fedi e i propri culti. Realizziamo questa riflessione prendendo come spunto le religioni afro-brasiliane.

 

1. Religioni afro-brasiliane, culture e mito della purezza

Attualmente osserviamo come le culture si frammentino, si incrocino, si costruiscano e si dissolvano, generino frontiere, stabiliscano identità, rafforzino il fondamentalismo e portino alla luce l'idea di ‘purezza'. L'ideale della purezza rispetto alle religioni, che è ideologia e mito, sembra opporsi al sincretismo, che può richiamare ad alcuni le nozioni di mescolanza e di confusione e trasmettere la sensazione che esso nasconda le specificità identitarie delle religioni. (...).

Il sincretismo è attualmente assai discusso e possiede molti significati su cui esiste divergenza. A partire dagli anni ‘30, il sincretismo è stato messo in relazione con le religioni afro-brasiliane e le pratiche culturali delle classi dominate, che per questo sono state oggetto di pregiudizi e viste come riflesso dell'inferiorità culturale dei dominati. Malgrado la polemica, crediamo che il sincretismo sia una dimensione naturale delle culture e delle religioni. (...) Sincretismo richiama l'idea di sintesi, riunione e unificazione, assimilazione di elementi che sono risignificati e assunti nell'ambito di una determinata cultura o religione, cessando di essere un corpo estraneo. (...). In generale la parola ‘sincretismo' ha ripercussioni negative nell'ambito del cristianesimo e per questo si preferisce utilizzare la parola inculturazione. L'in-culturazione riguarda l'incontro del messaggio evangelico con le diverse culture. Consiste in un'azione che punta all'inserimento in una cultura estranea, per appropriarsi di essa allo scopo di trasmettere il messaggio religioso. Per alcuni ricercatori, questa appropriazione è accompagnata dal sospetto di un interventismo culturale che mira alla conversione dell'altro, non con mezzi violenti, ma in maniera soft. L'inculturazione è anche vista come un processo di "appropriazione" spontanea e volontaria, da parte di un determinato gruppo, di una religione o di suoi elementi, che saranno espressi e comunicati a partire dalla propria determinata cultura, linguaggio e simboli. In altre parole, mi sembra che ‘inculturazione' sia un altro nome per ‘sincretismo' religioso. D'altro lato, nel cattolicesimo, malgrado i passi compiuti dalla teologia dell'inculturazione e dagli sforzi dei teologi/ghe e degli operatori di pastorale per tradurla in pratica, si coglie una grande difficoltà nel momento in cui la religione cattolica, con le sue celebrazioni, i suoi insegnamenti e la sua modalità di vita, si dichiara l'unica interprete e garante del messaggio di Gesù Cristo e, per quanto parli insistentemente di inculturazione, si riferisce ad essa come a qualcosa che deve realizzarsi in conformità all'"unità sostanziale del rito romano", evitando qualsiasi traccia di sincretismo religioso o di ambiguità rispetto ai luoghi, agli oggetti di culto, alle vesti liturgiche, ai gesti, alle letture e ai canti biblici (Congregazione per il Culto Divino, 1994, n. 36, 47 e 48). La Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II (1990), che affronta il tema dell'inculturazione, afferma chiaramente che questa "non può compromettere in alcun modo la specificità e l'integrità della fede cristiana" (n. 52). Sembra esserci così un'ambiguità nell'affermare che l'inculturazione deve essere compatibile con il Vangelo e al tempo stesso con la dottrina della Chiesa cattolica. (...).

Se nell'ambito del cristianesimo si è avuta una ricerca rispetto al riconoscimento del sincretismo (inculturazione), nell'ambito delle religioni afro-brasiliane il movimento di riafricanizzazione, che sorge all'inizio degli anni '80 in Bahia, cri-tica e combatte il sincretismo e tenta di riscattare il mito della ‘purezza' africana e il ritorno ad un africanismo primitivo. (...). Il rifiuto del sincretismo darebbe alle religioni di matrice africana lo status di un'autentica religione, evitando l'attribuzione di denominazioni come setta o religione animista. (...). In fondo, negando il sincretismo, sembra che si neghi ogni forma di oppressione, di persecuzione, di discredito, di discriminazione e di intolleranza sofferte dagli adepti di tali religioni. Gli afro-discendenti vogliono il riconoscimento della propria identità, delle proprie credenze, della propria cultura e delle proprie radici africane. In questo modo, rivendicare la separazione dal cattolicesimo era più una conseguenza logica del processo di schiavitù che obbligava a nascondere la propria fede che un rifiuto o abbandono della fede cattolica. (...).

 

2. Etnicità e universalismo religioso

Se da un lato il processo di globalizzazione favorisce le religioni ampliando il campo della loro influenza pubblica, dall'altro il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze culturali, delle soggettività e delle etnie rivendicano concetti e pratiche plurali. È soltanto a partire da queste pratiche diversificate che possono avvenire mutamenti culturali nella nostra società, anche in relazione all'ambito religioso, sfidandoci a riflettere e a discutere sull'impatto che questo può generare sulle soggettività e sulla costruzione delle identità etniche.

A partire da questa concezione è difficile accettare, in una società sempre più multiculturale che esige il rispetto per le proprie culture, i propri simboli e le proprie fedi, la centralità del cristianesimo come unica religione possibile e detentrice dei mezzi di salvezza per tutta l'umanità. Se ogni religione pretendesse di essere l'unica capace di offrire salvezza all'u-manità, sarebbe possibile trovare un cammino per unire le forze e realizzare un progetto comune a favore della giustizia, della pace, dell'armonia universale senza cadere nei dogmatismi di ciascuna confessione religiosa? (...). Secondo Aldo Natale Terrin (2004), di fronte a questo mondo globalizzato, le religioni hanno il dovere di tentare un cammino parallelo di ecumenismo e di globalizzazione di forze, ma hanno anche il dovere di realizzare questo percorso in senso unitario e convergente per servire da punto di riferimento e da faro per l'umanità. Ma come è possibile? (...). Siamo d'accordo con Terrin sul fatto che in termini etici le religioni possano diventare eccezionali fattori di attrazione per l'umanità a partire da un lento e profondo dislocamento dei limiti, senza che venga colpito il nucleo delle rispettive dottrine. Ma anche così occorre chiedersi: è possibile parlare di un'etica globale? Un'eti-ca globalizzante non supporrebbe anche un unico modello di verità? E quale sarebbe il concetto di verità da assumere? Non crediamo inoltre possibile che le religioni tentino un cammino parallelo di ecumenismo e di convergenza delle forze perché, se questo avvenisse, esse perderebbero le proprie identità dottrinarie e il senso per cui esistono. In questo momento, le religioni non sarebbero pronte a riconoscersi permeabili, ‘porose' alle dottrine, ai dogmi, ai simboli e alle credenze di altre confessioni religiose, poiché esiste una forte difesa dell'idea che il nucleo delle rispettive dottrine resti intatto.

Di fronte a questa impasse ci sembra più praticabile parlare di ‘pluralismo religioso' e della possibilità che le diverse confessioni religiose realizzino azioni concrete a favore degli altri, senza aspettarci che esse si uniscano per trasformarsi in un fenomeno globalizzante.

 

3. Etnicità in movimento

Oggi riconosciamo di essere più multiculturali di quanto immaginassimo e che per questo ha senso parlare di società multiculturali, di interculturalità e di relazioni interetniche. (...).

In una prospettiva relativista, quando si parla di etnicità si tende a concepire le etnie come gruppi immutabili. Negli ultimi anni nuove prospettive e nuove interpretazioni ci hanno condotto ad una nuova concezione del concetto di cultura. Per molto tempo siamo stati abituati a vedere la cultura in una dimensione omogeneizzante ed essenzialista in cui le identità, i gruppi sociali, le etnie erano concepiti come qualcosa di compiuto e con differenziazioni delimitate. Lo stesso concetto relativista di cultura si è basato su una concezione statica, quella di un insieme di caratteristiche immutabili e omogeneizzate trasmesse in maniera simile di generazione in generazione. Ciò non ci ha permesso di osservare le relazioni interculturali che si verificano tra i diversi gruppi e il fatto che anche all'interno di un determinato gruppo culturale le persone si appropriano della propria cultura in modo differente, provocando cambiamenti culturali e sociali. A partire da questa nuova concezione, la cultura acquisisce caratteristiche proprie che risultano da una complessa rete di relazioni sociali e storiche che andranno ad influenzare e a modellare l'identità di chi la detiene. In questa prospettiva, la conoscenza può essere raggiunta solo a partire dai criteri dell'altro e dagli elementi di ciascuna cultura e senza imposizione e comparazione con modelli esterni. Un nuovo approccio concettuale alla cultura ci porta ad osservare quanto la teoria relativista, malgrado il suo contributo degli inizi del XX secolo, sia insufficiente per comprendere la cultura nell'attualità.

 

4. Religioni afro-brasiliane: una nuova possibilità di essere e di stare nel mondo

Con il processo accelerato di urbanizzazione, la globalizzazione dell'economia, la crescita del turismo, la questione ecologica, l'aumento dei flussi migratori, si osserva un cambiamento e una diversificazione nella costituzione etnica e culturale delle società e nella nascita di nuove relazioni. (...). In questo contesto, la domanda che si pone è relativa alla questione della religione in una società multiculturale e multietnica. Vorrei condurre una riflessione sulle religioni afro-brasiliane basata sulla teoria delle "assenze" di Boaventura de Souza Santos (2008), secondo cui la concezione occidentale del mondo è egemonica e totalizzante e guidata da una logica perversa, escludente, pigra e indolente. E proprio per questo chiusa alle innumerevoli possibilità che altre esperienze e altre realtà culturali, religiose, storiche e sociali possono offrire. Secondo Souza Santos, c'è nel mondo una ricchezza ‘invisibile' e ‘sprecata' perché non riconosciuta. In questa prospettiva, nella concezione totalizzante e omogeneizzante della razionalità indolente, le religioni afro-brasiliane sarebbero uno spreco, e per ciò stesso ‘invisibili', ‘assenti'. E, malgrado il loro grande potenziale per contribuire attraverso una comprensione diversa della realtà, esse sono trascurate, escluse e non riconosciute come religioni, poiché sfuggono ai paradigmi stabiliti dalla ‘ragione indolente'. Tali religioni, che sono alla periferia del mondo, non sono altro che una forma di resistenza a una ragione ‘indolente e pigra', che non viene esercitata in funzione dell'apertura all'inesauribile diversità epistemologica del mondo. Per combattere lo ‘spreco' dell'esperienza e rendere visibili le iniziative delle religioni e dei movimenti alternativi, è necessario proporre un modello diverso di razionalità occidentale. Analizzando la situazione delle religioni afro-brasiliane a partire da questa prospettiva, possiamo notare che la ragione indolente, ossia il pensiero egemonico e la logica universalizzante che passa per la tradizione cristiana, ha ‘sprecato' e reso invisibile e ‘assente' l'esperienza di tali religioni e culture. Esse sono state sottratte al mondo, disprezzate, perseguitate e violentate in ciò che esse possiedono di più ricco e sacro: la loro ‘forza vitale' e la loro identità. Innumerevoli volte il pensiero egemonico e totalizzante del cristianesimo ha reso impossibile pensare secondo altre logiche le dimensioni non contemplate nella sua relazione con la totalità. Da qui il senso di affermazioni come ‘extra ecclesiam nulla salus' o ‘solamente Gesù salva'. Tale concezione è estremamente escludente e selettiva.

Ma con i cambiamenti epistemologici avvenuti negli anni ‘80 e ‘90 assistiamo all'eterogeneità delle pratiche e alla polverizzazione della totalità. Deriva da qui la preoccupazione sempre maggiore per le differenze, con il rispetto dell'altro e il riconoscimento della diversità etnica e religiosa. Per riscattare le esperienze ‘periferiche', ‘insignificanti', ‘invisibili' (sociologia delle assenze) è necessario sostituire le ‘monoculture' con le ‘ecologie' (sociologia dell'emergenza). In tal modo le pratiche religiose, in questo caso le pratiche religiose di matrice africana, potranno essere riconosciute nella loro specificità, nella loro alterità, nella loro ricchezza e come un sapere capace, a partire dalla sua concezione del tempo, dello spazio, della cultura, di massimizzare i motivi di speranza, risignificare il futuro, contemplare l'eterogeneità e indicare la pluralità di senso del mondo contemporaneo.

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