Tensioni internazionali Verso nuove guerre ambientali? È l’Africa il continente più a rischio
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 48 del 02/05/2009
Sotto la spinta delle mutevoli dinamiche del rischio reale e percepito, si è aperto di recente un nuovo “fronte della sicurezza”: l’allarme riguarda i cambiamenti ambientali e i conflitti che tali mutamenti direttamente o indirettamente generano.
Negli ultimi 40 anni il numero dei disastri naturali e le relative vittime sono aumentati del 900%. Anche i disastri tecnologici hanno mietuto il loro tributo di morte e devastazione: +1500% in 30 anni. Come sottolinea un recente rapporto del Climate panel dell’Onu, le situazioni in cui si combinano disastri naturali, violenza e guerra sono in aumento e potrebbero in un prossimo futuro mettere a repentaglio la stabilità di molte aree del mondo. La causa sarebbe riconducibile in primo luogo, direttamente o indirettamente, ai cambiamenti climatici, oltre ad altri fenomeni ad essi collegati come la desertificazione, la deforestazione, la perdita di biodiversità, l’inquinamento di aria, acqua e suolo, ecc.
Per questo, sostiene l’Onu, nel XXI secolo la lotta contro i cambiamenti climatici dovrebbe essere posta al centro degli sforzi congiunti a favore della pace.
Secondo l’UNEP (United Nations Environment Programme), vi sarebbero 4 tipologie di conflitti indotti dal clima: (1) inquinamento da acqua potabile; (2) diminuzione nella produzione di cibo; (3) aumento dei disastri causati da tempeste e alluvioni; (4) migrazioni indotte da cambiamenti ambientali.
Il numero di Paesi e le popolazioni interessate sono molto elevati: 46 Nazioni e 2,7 miliardi di persone sarebbero a serio rischio, secondo l’organizzazione International alert, di essere colpite da guerre e conflitti a causa dei cambiamenti climatici. La causa principale di tutto questo sarà la “scarsità ambientale”, in particolare dei terreni coltivabili, foreste e fauna marittima.
Fronti preoccupanti e casi già evidenti si riscontrano nei Carabi, nel golfo del Messico, sulle Ande, in Medio Oriente, in Asia centrale, nel sud-est asiatico, in Cina, India, Pakistan.
Ma è l’Africa il continente più a rischio. Per il Nordafrica le tensioni arrivano soprattutto dalla pressione migratoria che si intensificherà a seguito della siccità crescente, al forte incremento demografico e all’abbassamento del potenziale agricolo. La situazione sarà aggravata, molto probabilmente, dalla scarsa capacità politica di gestire i problemi. Seguendo una tendenza consolidata, i movimenti migratori continueranno dalle zone rurali verso le metropoli e dalla sponda meridionale a quella settentrionale del mediterraneo.
Ma è il Sahel la linea del fronte più pericolosa dei conflitti ambientali: qui il cambiamento del clima, il degrado ambientale, il conflitto per le risorse naturali, il traffico di droghe, armi ed esseri umani si mescolano in un cocktail letale che è alla radice delle ribellioni in corso fra popolazioni Tuareg in Mali, Mauritania e Niger. Siccità protratta, prosciugamento dei fiumi, incessante desertificazione e cattivi raccolti sono da considerarsi all’origine delle crisi sociali e delle tensioni regionali che vanno aggravandosi di anno in anno.
In Africa si esacerberanno i problemi di stati deboli come il Ciad, di stati falliti come la Somalia o di stati in cui sono in corso conflitti domestici (Sudan, Etiopia, Niger) spesso in presenza di spostamenti di massa di sfollati e rifugiati.
Si prevede inoltre un inasprimento dei conflitti legati alle risorse petrolifere. Oltre ai movimenti secessionisti (o di emancipazione) presenti in numerosi Paesi (Nigeria, Ciad, Mali, Etiopia), che sempre più spesso si servono del petrolio come fonte di finanziamento e di destabilizzazione degli equilibri economici, altri attori stanno intensificando la loro presenza strategica nella regione: soprattutto Stati Uniti e Cina. Con il Medio Oriente trasformato in una polveriera, è cruciale per le grandi potenze assicurarsi l’accesso ad altre fonti energetiche. In tal senso, secondo alcuni analisti, la crisi in Darfur (Sudan) non sarebbe altro che una copertura per contendersi aree fondamentali per la energy security delle grandi potenze globali.
* Responsabile Area internazionale di Caritas Italiana
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