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Informazione e democrazia La società civile araba è già nel futuro (e aspetta la politica)

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 48 del 02/05/2009

In Egitto i blogger creano un Osservatorio per diritti umani. In Turchia un gruppo di intellettuali lancia su Internet una petizione di scuse per le vittime del genocidio armeno del 1915. In Libano 290 intellettuali firmano un appello per una “resistenza civile pacifica” alla guerra avviata da Hezbollah contro i sunniti e i drusi. Grazie a diverse forme di dissenso, le società civili arabo-musulmane, oltre a proporre un’immagine diversa dell’Islam, stanno scardinando l’immobilità politica dei governi e provocando trasformazioni profonde delle proprie società.

 

Chi vuole fare del mondo arabo-musulmano un blocco monolitico in cui non esiste spazio per il dissenso deve fare i conti con una realtà molto più complessa. Il susseguirsi di attentati e di minacce nei confronti del mondo occidentale provenienti da “pezzi deviati dell’Islam” non fa altro che intorbidire le acque, rendendo la comprensione del problema ancora più difficile. Spesso questi attentati si rivestono d’Islam solo nell’apparenza, mentre dietro c’è quasi sempre un preciso obbiettivo politico, strategico o territoriale. L’opinione pubblica occidentale non sembra riuscire a cogliere lo scarto che esiste tra la staticità e l’arretratezza delle politiche governative di alcuni stati arabo-musulmani e la straordinaria dinamicità che caratterizza le rispettive società civili. Spesso alcuni di questi stati si fanno portatori di una visione dell’Islam (o del rapporto tra religione e vita politica) frutto di logiche retrive e post-coloniali. Ma queste logiche risultano oramai desuete rispetto ai tempi odierni.

Le masse di giovani musulmani che possono accedere ad Internet, ai blog e all’informazione non pilotata dai governi hanno una visione dell’Islam, di loro stessi e del resto del mondo, completamente diversa da quella che i rispettivi governi tentano di imporre loro con la forza. Nel terzo millennio queste società, pur conservando la memoria storica di un passato e di un presente difficile, vogliono affrancarsi e proiettarsi verso un futuro fatto di libertà, conciliando i valori della tradizione islamica con le conquiste democratiche e tecnologiche dell’Occidente. Le trasformazioni non riguardano solo i costumi o le abitudini, ma anche il modo di comunicare e di trasmettere le informazioni al grande pubblico arabofono. E non si tratta solo dei media tradizionali, ma spesso di quel settore meno informale dell’informazione che è quello dei forum o dei blog. In particolare il blog sembra essere il mezzo più idoneo per aggirare l’oppressivo controllo dei governi o dei sistemi d’informazione in diverse aree della regione. Un esempio è l’Egitto, dove i blogger hanno recentemente creato un osservatorio per il rispetto dei diritti umani con lo specifico compito di seguire le sorti dei blogger arrestati e di impedire che i servizi di sicurezza limitino la libertà di espressione.

L’osservatorio è composto di esperti in legge, informazione e diritti umani incaricati di elaborare azioni per difendere la stampa elettronica ed i blogger, e per organizzare campagne di solidarietà. Una delle prime iniziative in cantiere è la revisione di tutte le leggi sulla libertà di stampa, in particolare quelle che prevedono la reclusione per reati di stampa commessi da giornalisti. Le forme di dissenso puntano a far passare un messaggio preciso “in entrata”, ovvero diretto alle comunità locali, ma anche “in uscita” ovvero verso il resto del mondo. Ma spesso hanno anche lo scopo di provocare un dibattito pubblico su temi scottanti. In Turchia ad esempio un gruppo d’intellettuali, capeggiati dal giornalista Ali Bayramoglu, ha lanciato su Internet una petizione per chiedere scuse ufficiali alle vittime del genocidio armeno del 1915, sfidando un caposaldo della politica nazionale turca. Lo stato maggiore turco ha già definito l’iniziativa “non giustificata” e ha affermato che essa danneggia il paese. Ma l’obiettivo di Ali Bayramoglu è oramai raggiunto: aprire un dibattito pubblico sul genocidio armeno, un tema tabù per i turchi.

Il dissenso passa anche attraverso forme artistiche più tradizionali come il cinema ed il teatro. Il giovane regista turco Ozcan Alper, ad esempio, con il lungometraggio ‘Sonbahar’ ha denunciato la detenzione di oltre ottomila persone per reati di opinione nel suo paese. ‘Sonbahar’ è un film che denuncia inoltre tutte le violenze fisiche e psicologiche di cui un grande paese come la Turchia, nonostante abbia gettato le basi per il suo ingresso in Europa, non sembra riuscire a privarsi. Anche in altri stati arabo-musulmani gli intellettuali si muovono per scuotere le proprie società. In Libano un gruppo di 290 intellettuali, esponenti politici, protagonisti dei media e attivisti sociali hanno firmato un appello per una “resistenza civile pacifica” alla guerra interconfessionale avviata da Hezbollah contro i sunniti e i drusi. Tutta la stampa di Beirut ha pubblicato l’appello in cui si denuncia la guerra interconfessionale di Hezbollah per ottenere la totale autorità e “inserire il Libano nell’asse Gaza-Damasco-Teheran distruggendo la società libanese”. Sempre in Libano le proteste degli intellettuali e della società civile hanno provocato la revoca della censura di Persepolis – cartone animato della franco-iraniana Marjane Satrapil – che racconta le vicende di una bimba iraniana di otto anni sullo sfondo della repressione del regime filoccidentale dello scià. Il film era stato stigmatizzato dalle autorità di Teheran come “islamofobo” e “anti-iraniano”.

In Giordania, grazie ad una rappresentazione teatrale, la regista Lina Tall è riuscita a rompere il silenzio sul problema scottante dei delitti d’onore. Ogni anno in Giordania vengono uccise tra le 15 e le 20 donne nel nome dell’“onore”, ed i loro assassini spesso vengono puniti con soli pochi mesi di carcere. Con lo spettacolo, intitolato ‘Codice d’onore’, viene per la prima volta affrontata la questione in modo pubblico. Il 6 giugno centinaia di persone scesero in piazza a Redeyef (Tunisia) per chiedere lavoro, soprattutto nelle miniere di fosfati di cui è ricca la regione. Per disperdere la folla la polizia aprì il fuoco uccidendo un ragazzo di 25 anni e ferendo altri 18 manifestanti. Il giornalista Fahem Boukadous però riuscì a filmare e trasmettere gli scontri con la polizia sull’emittente satellitare Al-Hiwar Attounsi. Oggi Fahem Boukadous è ricercato dalla polizia per diffusione d’informazioni contro l’ordine pubblico ed è stato costretto ad abbandonare lavoro e famiglia. Ma il suo reportage è stato visto in Francia ed ha spinto una delegazione di deputati e sindacalisti a recarsi in Tunisia per incontrare le famiglie degli arrestati.

In Algeria lo scrittore Yasmina Khadra continua a scrivere sull’Algeria coloniale ma anche sulla convivenza tra francesi e algerini, la relazione d’amicizia tra pieds-noir, musulmani ed ebrei prima della guerra d’indipendenza. In realtà Yasmina Khadra non è uno scrittore qualunque. Il suo vero nome è Mohammed Moulessehoul, ed è un ex ufficiale dell’esercito algerino che ha combattuto contro gli integralisti armati nel suo paese prima di rifugiarsi in Francia, dove oggi dirige il Centro culturale francese. Tutti questi esempi e forme di dissenso ci riconducono alla famosa teoria enunciata dal demografo Youssef Courbage e dallo storico ed antropologo Emmanuel Todd in un noto saggio (Le Rendez-Vous des Civilisations): il mondo musulmano starebbe entrando in una sorta di rivoluzione demografica e culturale e mentale, la stessa che avrebbe permesso in un recente passato all’Occidente di passare da una civiltà fondamentalmente agricola e patriarcale ad una società moderna, industrializzata. In Iran o in Tunisia il tasso di natalità è praticamente lo stesso che in Francia, un segno inequivocabile di un capovolgimento dei rapporti di autorità, delle strutture familiari, delle referenze ideologiche e sociali e lentamente anche del sistema politico.

È vero inoltre che, nonostante siano rette da regimi teocratici e/o dittatoriali, le società arabo-musulmane sembrerebbero seguire un proprio percorso evolutivo che tenderà ad avvicinarle sempre di più alle società occidentali. Ma c’è un ulteriore dato da considerare. Lo sviluppo delle tecnologie e l’impatto di Internet e dei blog, che soprattutto negli ultimi anni hanno accelerato il processo di trasformazione delle società civili in questi paesi. Come ha affermato Jihad Al Khazan del quotidiano panarabo Al Hayat, oggi il Medio Oriente sta scrivendo un nuovo capitolo grazie a internet e ai blog, in quanto quest’ultimi spianano la strada ad una maggiore libertà di espressione. Grazie alla potenza di questi strumenti oggi un esercito di blogger, intellettuali, artisti, rifugiati politici, attraverso varie forme di dissenso, stanno scardinando l’immobilità politica dei governi e provocando trasformazioni profonde delle proprie società. I rapporti di forza tra regimi politici e società civili, un tempo sbilanciati in favore dei primi, si stanno pian piano riequilibrando.

Il testo è tratto dal sito www.resetdoc.org

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