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LE IMPLICAZIONI POLITICHE DELLA PREDICAZIONE DI GESÙ: L'ANNUNCIO DEL REGNO CONTRO IL POTERE DI IMPERI E SINEDRI

Tratto da: Adista Documenti n° 56 del 23/05/2009

DOC-2141. MADRID-ADISTA. È un problema ancora irrisolto quello del rapporto tra Chiesa e potere. Che la Chiesa, nel corso della storia, abbia fallito nel compito di decostruire il potere inteso come dominazione e usurpazione e di ricostruirlo per elaborare un progetto distinto di esercizio del potere, risulta evidente già a partire dall’epoca costantiniana, passando per tutto il regime di Cristianità fino, per fare solo due esempi, alla famosa visita di Giovanni Paolo II nel Cile di Augusto Pinochet (il papa accanto al dittatore sul balcone della residenza presidenziale) e alla passeggiata di Benedetto XVI tra i viali dei giardini vaticani in compagnia di George W. Bush. Non potrebbero quindi risultare più opportune riflessioni come quella (apparsa sul sito della rivista di informazione religiosa alternativa Moceop il 29 aprile scorso) con cui il teologo spagnolo Benjamín Forcano affronta il nodo della posizione di Gesù di Nazareth di fronte al potere, smontando l’idea “che Gesù non ebbe niente a che fare con la politica e che lo stesso dovrebbe fare la Chiesa”. Secondo Forcano, “se Gesù non fu un politico in senso stretto, neanche fu un apolitico”: la politica, per lui, non aveva un valore assoluto, in quanto “l'assoluto è il Regno di Dio”, ma la sua predicazione del Regno aveva implicazioni fortemente politiche. Del resto, la sua crocifissione non avrebbe mai avuto luogo “se con la sua dottrina e il suo modo di vivere non avesse smascherato le falsità dei poteri più rilevanti della sua società”, dell’impero e del sinedrio, ponendosi chiaramente in antitesi rispetto al potere economico, ideologico, religioso e politico.

Nel suo articolo, Forcano è molto netto nell’evidenziare come la lotta di Gesù fosse non contro gli atei, ma contro gli idolatri: sono questi infatti che “attentano all’esistenza del vero Dio” attraverso “la distruzione dell’uomo”. Quanto più “anti-vita” si rivelano gli idoli tanto più “anti-Dio” risultano, e pertanto “quanto più anti-poveri, tanto più anti-Dio”, dal momento che è nei poveri che la vita è più minacciata. Se, dunque, sono molte le forme di idolatria, “non c'è dubbio che l'assolutizzazione della ricchezza sia la principale, poiché è quella che porta maggiori conseguenze in termini di ingiustizia, di oppressione, di dolore e di morte”. In questa prospettiva, va indubbiamente alla Teologia della Liberazione il merito di aver “analizzato teologicamente l'idolatria secondo il criterio fondamentale di vita-morte delle maggioranze. Criterio basato sulla prassi e l'insegnamento di Gesù. Gesù quando si rivolge ai suoi uditori, lo fa dialetticalmente, mostrando loro che non c'è neutralità possibile: si sceglie o l'uno o l'altro, perché scegliere uno significa odiare l'altro. Bisogna sapere quindi in che Dio si crede e quali dei si rifiutano”.

Di seguito, con alcuni tagli, l’articolo di Benjamín Forcano, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)

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