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UN SINODO ‘PER’ L’AFRICA ANCORA TROPPO ‘ROMANO’. ALL’OSSERVATORIO LA RIFLESSIONE DI UN TEOLOGO UGANDESE

Tratto da: Adista Notizie n° 111 del 07/11/2009

35274. ROMA-ADISTA. La II Assemblea Speciale per l’Africa è ormai chiusa, il Messaggio al Popolo di Dio e l’Elenco finale delle Proposizioni sono già stati dati alla stampa (v. notizia successiva) e l’Osservatorio – l’iniziativa parallela di monitoraggio ed approfondimento promossa da Cimi (Conferenza degli Istituti Missionari in Italia) e Ucsi Lazio (Unione Cattolica Stampa italiana) (v. Adista nn. 102, 103, 105 e 108/09) – ha tirato le somme dell’assise, nel corso del VI ed ultimo incontro a margine del Sinodo, lo scorso 23 ottobre, presso la casa generalizia dei Missionari della Consolata a Roma. All’incontro è intervenuto, tra gli altri, anche p. Paolino Twesigye Mondo, comboniano ugandese, assistente teologo del card. John Njue di Nairobi, missionario da sette anni negli slum della capitale keniana.

La II Assemblea per l’Africa ha messo in luce i notevoli passi avanti, rispetto al precedente Sinodo del 1994, del cammino della Chiesa africana, ma non si può dimenticare che la stessa assise è stata sollecitata anche dai molti fallimenti nel Continente, tanto a livello politico e sociale quanto sul piano ecclesiale. Tra gli altri, ad esempio, i tentativi di emancipare la liturgia e la teologia africana da Roma, che in questi 15 anni ha fatto sentire forte il fiato della Congregazione per la Dottrina della Fede sugli sforzi, spesso vani, di “africanizzazione” della Parola di Dio.

Lo stesso comboniano, nel suo intervento di valutazione del Sinodo, ha testimoniato le molte difficoltà del cammino della “Famiglia di Dio” in Africa: “Quando qualcuno ti dà un maglione, tu sai che il maglione è il suo, anche se tu ce l’hai addosso. Così è questo Sinodo: non è ‘dell’Africa’ ma è ‘per l’Africa’”.

La stagione dell’inculturazione, che si doveva aprire dopo il primo Sinodo, ha continuato il teologo, “fino ad ora sembra aver fatto un buco nell’acqua” e comunque “troppo poco è stato fatto”. Si registra una retrocessione, ha detto ancora p. Paolino, anche sul terreno di una liturgia maggiormente integrata nella simbologia tradizionale africana: lo “dimostra l’assenza dei nostri riti nella messa di inaugurazione del Sinodo di quest’anno” e il “rapporto tra la Chiesa di Roma e la nostra Chiesa”.

Di positivo c’è, secondo p. Mondo, che “questo non è stato un Sinodo ‘in ginocchio’”, in cui gli africani sono “andati a pregare e a commemorare i santi”. L’Assemblea ha affrontato le piaghe del Continente con lucida concretezza, sentendosi legittimata a puntare il dito quando necessario e rivendicando il proprio dovere alla denuncia che si fa profezia. Infatti, ha detto p. Mondo, è tempo di cambiare rotta, perché non possiamo più permetterci di rappresentare “una Chiesa che parla bene ma poi non agisce”. La mobilitazione per il cambiamento delle condizioni di vita in Africa è un dovere irrevocabile, proprio in virtù del richiamo evangelico di Luca (4,16-20): siamo inviati, ha parafrasato il comboniano, “per annunziare ai poveri la buona notizia, per fare che i ciechi vedano e gli storpi camminino, per liberare i prigionieri e proclamare l’anno di grazia del Signore. Era questo il programma di Dio”. I vescovi e i teologi africani hanno così portato al Sinodo tutto il loro carico di frustrazioni: “Questo modo di governare l’Africa può continuare? Sappiamo di presidenti che hanno usurpato il potere rovesciando le Costituzioni. Ma poi, quando ci sono incontri internazionali, vengono anche nella Chiesa madre e trovano il tappeto rosso. Qualche mese fa Mugabe era qui per l’incontro della Fao, e c’era anche Museveni, Kabila e gli altri. E le autorità li hanno salutati all’aeroporto come fossero eroi. Non possiamo continuare ad appoggiare i governi africani in questo modo”.

P. Mondo ha poi preso spunto dalla II Assemblea Speciale per l’Africa per criticare le regole del gioco imposte dalla cosiddetta “comunità” internazionale. Per quanto riguarda la spartizione delle risorse globali ha ricordato che “il mondo produce da mangiare per 12 miliardi di persone”, ma poi, si è chiesto, “dove va questo cibo?”: “Oggi, solo nell’Africa inglese, ci sono circa 15 milioni di affamati. Anche nella parrocchia in cui lavoro a Kariobangi, recentemente tre persone sono morte di fame. Allora forse c’è qualcuno che fa male i calcoli perché non sa contare o non lo vuole fare”.

Parole dure sulla crisi ambientale, che riguarda tutti, ma si abbatte sulle economie rurali con maggiore violenza: “Sappiamo che gli Stati Uniti hanno rifiutato di firmare gli accordi di Kyoto per la riduzione dell’immondizia che immettono nell’aria”. Il riscaldamento globale, ha aggiunto, comporta per l’Africa subsahariana lunghi periodi di siccità alternati a veri e propri uragani, causando la mancanza di acqua e la distruzione di gran parte dei raccolti di cui vivono le popolazioni: “E quale orgoglio hanno di andare a fare le guerre in Afghanistan e in Iraq per portare la democrazia, quando ci lasciano affamati perché hanno distrutto l’ozono?”.

La comunità internazionale chiude gli occhi di fronte alle guerre, che definisce “etniche”: “Come può una guerra civile – si chiede p. Mondo, riflettendo sulla crisi dei Grandi Laghi – che ha già prelevato decine di migliaia di bambini soldato, a continuare per 23 anni? Dicono che oggi i satelliti militari possono guardarti anche mentre sei in bagno. E perché i potenti africani e la comunità internazionale non trovano i ribelli per fermarli? Chi gli dà le armi e le divise per combattere? Per quale motivo i signori della guerra hanno il conto in banca anche in Inghilterra?”.

La denuncia a tutto campo del missionario comboniano prosegue sui temi dell’Aids e del commercio dei farmaci: “Alcuni ricercatori hanno trovato la cura, ma non permettono che questa si sviluppi. Molte case farmaceutiche vengono da noi in Africa e fanno gli esperimenti sulle persone. Ma se poi trovano la cura giusta ti dicono che non hai i diritti. Cosa pensano i nostri fratelli cattolici di tutto questo? Piangeranno e diranno che è peccato? Cosa dicono a queste compagnie farmaceutiche?”. La Chiesa, ha continuato, deve denunciare le contraddizioni dei tempi: “Ad esempio in Zimbabwe, Mugabe ha rubato i voti, ha ucciso la moglie del suo primo ministro, ma va costantemente a messa e prende la comunione. Questo non può andare bene”. E ancora, “La Chiesa dice: ‘La pace sia con te’. Ma che senso ha se la pace non c’è, perché c’è la fame e ci sono le guerre? La Chiesa deve impegnarsi sul terreno concreto della costruzione materiale della pace”.

Secondo il missionario comboniano, in chiusura di questo Sinodo, la Chiesa deve assumersi la responsabilità di cambiare rotta, e propone la sua ricetta: restituire la Bibbia nelle mani del popolo, proponendone una versione economicamente accessibile a tutti; recuperare la tradizione culturale africana della comunità e della solidarietà, liberandola dalle incrostazioni coloniali europee; restituire la parola e il potere alla donna, che da sola ha tenuto unita l’Africa, nella società, ma anche nella Chiesa; restituire dignità ai giovani e ai bambini, riportandoli al centro dei programmi formativi e parrocchiali; vigilare costantemente sulle multinazionali che operano in Africa, al fine di arginare la rapina delle risorse e i soprusi sulle popolazioni locali. (giampaolo petrucci)

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