I MARTIRI DELLA UCA, “UNA BENEDIZIONE” PER I CRISTIANI. LE CELEBRAZIONI PER IL VENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA STRAGE
Tratto da: Adista Documenti n° 124 del 05/12/2009
DOC-2217. SAN SALVADOR-ADISTA. Con una affollatissima fiaccolata, una grande concelebrazione eucaristica (presieduta, tra gli altri, dal card. Keith O’Brien, arcivescovo di Edimburgo) e un atto “di memoria e di speranza” in onore di tutte le vittime del conflitto (con un pensiero anche per i 180 morti causati dal passaggio dell’uragano Ida, anch’essi “vittime della povertà e dell’esclusione”), l’Università centroamericana (Uca) di San Salvador ha reso omaggio ai sei gesuiti e alle loro due collaboratrici, Julia Elba e Celina, massacrati dai militari il 16 novembre del 1989. Una ricorrenza, quella del ventesimo anniversario della strage, celebrata per la prima volta anche dallo Stato, attraverso il conferimento postumo a Ignacio Ellacuría e ai suoi compagni della Gran Croce Placca d’Oro dell’Ordine José Matías Delgado, per i servizi straordinari da essi resi nei campi dell’educazione, dei diritti umani, della lotta alla povertà, della costruzione della pace e della democrazia nel Paese (v. Adista n. 118/09).
“Sono stati necessari vent’anni e un cambiamento di governo perché lo Stato salvadoregno riconoscesse la dignità dei gesuiti”, ha dichiarato il rettore della Uca, p. José María Tojeira, alle migliaia di persone accorse alla celebrazione eucaristica. Un’iniziativa, tuttavia, che, secondo l’Idhuca (l’Istituto di diritti umani dell’università), non va interpretata come un “atto di risarcimento morale”, perché questo sarebbe possibile solo onorando “la verità mediante il perdono” e garantendo “la giustizia a tutte le vittime, tanto dell’impunità storica come di quella attuale”. Se esistesse una vera volontà in tal senso da parte dello Stato, si legge nella nota dell’Idhuca del 17 novembre, “questa sarebbe l’occasione per sollevare il manto dell’impunità storica che ricopre i criminali”, rimuovendo gli “ostacoli legali che impediscono di accedere alla giustizia e alla verità”, e per riparare ai danni causati: “una riparazione non solo simbolica, ma integrale”. “Finché non si muoveranno dei passi in questa direzione, non si potrà ricostituire il deteriorato tessuto sociale, né realizzare i grandi obiettivi degli Accordi di Pace firmati nel 1992: la democratizzazione, il rispetto per i diritti umani e la riconciliazione della società salvadoregna”.
Era stata già la Commissione della Verità sui crimini commessi durante la guerra civile a rivelare che l’ordine di assassinare Ignacio Ellacuría e i suoi compagni era partito dai massimi responsabili dell’esercito. Tuttavia, gli unici due militari condannati (a 30 anni di carcere) per il crimine, nel gennaio del 1992, erano stati rimessi in libertà nel 1993 con l’approvazione in Parlamento della legge di amnistia. Da allora, qualsiasi tentativo di riaprire il caso è caduto nel vuoto. Finché, nel 2008, due organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno denunciato presso l’Audiencia Nacional Española l’ex presidente Alfredo Cristiani e 14 membri dell’esercito per la loro presunta implicazione nel massacro.
Ad ognuno la propria complicità
Intanto, il quotidiano spagnolo El Mundo, citando una serie di documenti dei servizi di intelligence statunitesi recentemente desecretati, rivela che il Dipartimento di Stato Usa, la Cia e pure i servizi segreti spagnoli (il vecchio Cesid) erano a conoscenza del fatto che i gesuiti della Uca sarebbero stati assassinati. Tali documenti, che saranno consegnati alla giustizia spagnola, dimostrano infatti che “il capo militare dell’ambasciata Usa a San Salvador, il colonnello Milton Menjívar, e un’alta carica del Dipartimento di Stato Usa erano informati su quanto stava preparando lo Stato Maggiore dell’esercito salvadoregno contro il rettore della Uca”. È “logico” - ha dichiarato a El Mundo José María Tojeira, che al tempo era provinciale dei gesuiti in Centroamerica - che il governo Usa sapesse: “Gli Stati Uniti erano apertamente implicati nella lotta militare in El Salvador”, condividendo “la posizione dei militari salvadoregni secondo cui i ‘nemici di penna’, gli intellettuali, erano più pericolosi dei ‘nemici di fucile’, perché creavano coscienza”. Tojeira ricorda il caso del maggiore Eric Warren Buckland, un ufficiale dell’esercito statunitense che lavorava come assistente delle forze armate salvadoregne, il quale, un mese e mezzo dopo il massacro, aveva ammesso che l’ambasciata era informata, arrivando persino a dire, sottolinea il rettore della Uca, che “lui la pensava allo stesso modo dei militari salvadoregni”.
A ricordare invece le divisioni all’interno della Chiesa è stato, in un articolo apparso sul portale Atrio il 15 novembre, il teologo spagnolo Juan José Tamayo: “E mentre la Chiesa della liberazione era perseguitata e i suoi leader più rappresentativi venivano assassinati, qual era la posizione del Vaticano? Credo che si possa parlare di una certa complicità, dal momento che fin dall’inizio condannò la teologia della liberazione, impose il silenzio ad alcuni dei suoi principali rappresentanti e li accusò – accusa rivolta anche ai gesuiti della Uca – di marxismo, di deviazione della dottrina cattolica, di politicizzazione della fede, posta al servizio della sovversione, e persino di sostegno alla violenza”.
Il ventesimo anniversario della strage della Uca non è stato celebrato solo in El Salvador: iniziative in memoria dei martiri gesuiti si sono svolte in Spagna e negli Stati Uniti, dove il Senato ha votato una risoluzione in cui si ricorda il massacro e la Conferenza episcopale Usa, attraverso un comunicato del vescovo di Albany, mons. Howard Hubbard, si è unita a quanti “commemorano la vita e l’opera dei sei gesuiti e delle loro collaboratrici”. Proprio negli Usa, il gesuita e teologo della liberazione Jon Sobrino ha tenuto, il 5 novembre, all’Università di Santa Clara in California, un discorso in memoria dei suoi compagni martiri. Ne riportiamo di seguito ampi stralci, in una nostra traduzione dallo spagnolo, dopo gli interventi di Tojeira e del presidente salvadoregno Mauricio Funes alla cerimonia di conferimento postumo ai gesuiti dell’Ordine José Matías Delgado. (claudia fanti)
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