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QUALE FUTURO, PRESIDENTE OBAMA?

Tratto da: Adista Documenti n° 124 del 05/12/2009

Signor presidente Obama,

quando ci riunimmo per la prima volta l’8 luglio scorso, dopo il golpe, con il segretario di Stato Clinton, risultò chiara a me e al mondo la decisione dell’amministrazione Obama di condannare il colpo di Stato, di disconoscerne le autorità e di esigere il ritorno dello Stato di diritto con la mia restituzione alla carica di presidente eletto dal popolo. Era questa la posizione ufficiale del suo governo e dei suoi rappresentanti che hanno patrocinato e firmato le risoluzioni dell’Onu e dell’Oea, esigendo la mia restituzione immediata e sicura.

Dopo il mio sequestro e la mia espulsione in Costa Rica da parte dei militari, il 28 giugno 2009, il Congresso della Repubblica ha emesso un decreto illegale in cui ordinava di “separare il cittadino José Manuel Zelaya dalla carica di Presidente Costituzionale della Repubblica” senza le necessarie prerogative costituzionali per farlo e senza avermi mai citato in giudizio.

Dalla mia prima riunione con il segretario di Stato Hillary Clinton mi venne proposta la mediazione del presidente del Costa Rica, Oscar Arias, e, malgrado considerassi controproducente dialogare con persone che avevano in mano un’arma, accettai in virtù del sostegno degli Stati Uniti e della comunità internazionale.

In un comunicato datato 4 settembre, il segretario di Stato Hillary Clinton esprimeva quanto segue: “La conclusione positiva del processo iniziato da Arias sarebbe la base adeguata per procedere ad elezioni legittime”.

È a tutti noto che il regime de facto, senza la visita in Honduras del sottosegretario di Stato per l’Emisfero Occidentale Thomas Shannon, di Daniel Restrepo e di Craig Kelly, non avrebbe firmato l’Accordo.

Tutti sappiamo perché è stato rotto l’Accordo Teguci-galpa-San José. Lo stesso presidente Oscar Arias ha reso onore alla verità dicendo che “Micheletti non ha mai avuto la volontà di collaborare ma, al contrario, si stava burlando della comunità internazionale e cercava solo di guadagnare tempo per non cedere più il potere a colui a cui spetta”.

Lo ha confermato anche l’ex presidente Ricardo Lagos, membro preminente della Commissione Internazionale di Verifica, dichiarando che “il signor Micheletti ha violato l’accordo”, e “ha fatto cose che non avrebbe dovuto fare, come formare un governo di unità senza Zelaya”, cosa che ha condotto al fallimento di questo accordo negoziato.

Lo stesso giorno in cui si insediava a Tegucigalpa la Commissione di Verifica, hanno destato sorpresa le dichiarazioni di funzionari del Dipartimento di Stato in cui si modificava la posizione della sua amministrazione e si interpretava unilateralmente l’accordo con frasi del tipo: “Le elezioni verranno riconosciute dagli Stati Uniti con o senza restituzione”, frasi utilizzate dal regime de facto per i propri obiettivi, con il risultato immediato di far saltare l’accordo.

In virtù di quanto esposto, dichiariamo quanto segue:

- Che l’Accordo Tegucigalpa-San José resta senza effetto per la rottura unilaterale da parte del governo de facto. Tale accordo è stato concepito per essere realizzato in modo integrale e simultaneo e non come se si trattasse di dodici accordi separati: era un solo accordo in dodici punti che aveva l’unico scopo di restaurare l’ordine democratico e la pace sociale, con ciò assicurando il ritorno del presidente della Repubblica eletto legittimamente dal voto popolare. E così propiziando un clima di riconciliazione nazionale e un conseguente processo elettorale costituzionale, pulito, con garanzie di partecipazione egualitaria e libera per tutti i cittadini dell’Honduras.

- Che le prossime elezioni avrebbero dovuto svolgersi in un quadro di legalità e di riconoscimento internazionale, soprattutto da parte dell’Oea e delle Nazioni Unite, e che, al di fuori di queste condizioni politiche e in mancanza di un rispetto minimo dei diritti di cittadinanza, non è possibile garantire un risultato sulla base della libertà e della trasparenza.

A tal proposito voglio evidenziare come la nuova posizione dei funzionari di governo degli Stati Uniti venga meno all’obiettivo iniziale del dialogo di San José, relegando in un secondo piano un accordo con il governo legittimamente riconosciuto e puntando a trasferire questo accordo verso un nuovo processo elettorale, senza curarsi delle condizioni in cui esso si svolga. Tra l’altro, con risorse pubbliche stanziate da funzionari pubblici non riconosciuti legalmente, sulla base di un bilancio non autorizzato dal presidente legittimamente riconosciuto.

In tali condizioni, questo processo sarà soggetto a impugnazione e non verrà riconosciuto, il che pone in grave pericolo la stabilità futura delle relazioni tra Honduras e le nazioni che riconosceranno il risultato elettorale.

Come ha segnalato il segretario dell’Oea José Miguel Insulza, non esiste un clima politico idoneo alle elezioni e, come ha osservato la congressista nordamericana Jane Sharkorky durante la sua visita in Honduras, si assiste a un ambiente comprovato di violazione dei diritti umani.

Lo scorso 6 novembre, abbiamo comunicato il nostro rifiuto a continuare sulla via di un falso dialogo e pertanto, scaduto il termine previsto dall’accordo, il testo rimane let-tera morta: un accordo, infatti, si compie nei tempi e nella forma previsti e la violazione di questi da parte del regime de facto è per noi la condizione che determina il fallimento dello stesso. Si è perso senza dubbio tempo prezioso in questo tentativo fallito.

Le elezioni presidenziali sono attualmente previste per l’ultima settimana di novembre. In questo caso, come Presidente Costituzionale dell’Honduras, e come cittadino eletto dal voto democratico del popolo honduregno, mi vedo obbligato ad informare che non possiamo riconoscerle e che procederemo a impugnarle legalmente a nome delle migliaia di cittadini e delle centinaia di candidati per i quali questa competizione non presenta le condizioni di libera partecipazione. E ciò per la repressione a cui è sottomesso il popolo honduregno e per il fatto che non si è rispettata neppure la più alta autorità del presidente della Repubblica - non considerando che in tre anni si sono ottenuti i migliori indicatori economici e la più forte riduzione della povertà in 28 anni di vita democratica - essendo stato rovesciato con la forza delle armi, senza il dovuto processo, e avendo ricevuto 24 capi di accusa e ordini di cattura per narcotraffico, corruzione e terrorismo, tra le al-tre cose, mentre la maggior parte dei ministri del mio governo sono oggetto di persecuzione politica e stanno fuggendo in diverse parti dell’America.

3.500 le persone arrestate in cento giorni, più di 600 i feriti che si trovano in ospedale, un centinaio almeno i morti e innumerevoli le persone sottoposte a tortura per aver osato opporsi ed esprimere le proprie idee di libertà e di giustizia in manifestazioni pacifiche: tutto questo, a causa dello stato di illegittimità, di incertezza e di intimidazione sofferto da ampi settori del nostro popolo, fa delle elezioni di novembre un esercizio anti-democratico. 

Realizzare elezioni mentre il presidente eletto dal popolo dell’Honduras, riconosciuto dal suo governo e dalla comunità internazionale, si trova sotto assedio nella sede diplomatica del Brasile, e un presidente de facto, imposto dai militari, è circondato dai potenti nel Palazzo di governo, sarà una vergogna storica per l’Honduras e una infamia per i popoli democratici d’America.

Questo processo elettorale è illegale perché nasconde il colpo di Stato militare, perché il regime de facto sotto cui vive l’Honduras non offre garanzie di partecipazione in termini di uguaglianza e di libertà e perché è una manovra antidemocratica ripudiata da vasti settori del popolo con cui si vogliono coprire gli autori materiali e i mandanti del colpo di Stato.

Le elezioni sono un processo, non sono solo una giornata in cui si va a votare: comportano un dibattito, un’e-sposizione di idee, l’uguaglianza di opportunità.

Nella mia qualità di presidente eletto dal popolo honduregno, riaffermo la mia decisione, a partire da questa data e in qualunque caso, di non accettare alcun accordo sul mio ritorno alla presidenza per coprire il golpe, di cui conosciamo bene l’impatto sui diritti umani degli abitanti del nostro Paese.

Signor Presidente, al Vertice dei Paesi del Continente americano celebrato a Trinidad y Tobago all’inizio di que-st’anno, lei aveva detto: “Smettiamo di accusare gli Stati Uniti per quello che hanno fatto in passato nel continente e guardiamo al futuro”. Il futuro che oggi ci mostrano gli Usa è il cambiamento di posizione sul caso dell’Honduras, favorendo così l’intervento abusivo delle caste militari nella vita civile del nostro Stato (che è la causa storica del ritardo e della paralisi dei nostri Paesi nel XX secolo). Non significa altro che il tramonto della libertà, il disprezzo per la dignità umana e una nuova guerra contro i processi di riforma sociale e democratica tanto necessari all’Honduras.

Presidente Obama, ogni volta che viene rovesciato un governo legittimamente eletto in America, la violenza e il terrorismo vincono una battaglia e la democrazia viene sconfitta.

Ancora facciamo fatica a credere che il colpo di Stato in Honduras sia già il nuovo terrorismo di Stato del XXI secolo. E sia il futuro per l’America Latina di cui lei ci ha parlato a Trinidad y Tobago.

Siamo saldi e decisi a lottare per la nostra democrazia senza nascondere la verità. Quando un popolo si decide a lottare pacificamente per le sue idee, non c’è arma, non c’è esercito e non c’è manovra che possano fermarlo.

In attesa di una sua pronta risposta, le esprimo la mia più alta considerazione.

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