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2010: la Speranza, nonostante tutto

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 4 del 16/01/2010

“Negli anni 94-95, dopo la tragedia dell’assedio di Sarajevo, qualche frate bosniaco mi invitava a preoccuparmi per quello che stava succedendo in Italia. Si riferiva soprattutto ai progetti leghisti di autonomia e secessione e a Bossi, che si diceva pronto a invitare migliaia di persone a prendere il fucile… Sappiamo cosa è successo in Bosnia!”. Scrivevo così, il 20 agosto 2009, in una lettera aperta a Roberto Cota, capogruppo alla Camera della Lega Nord (testo integrale nella sezione “L’opinione di…” del sito www.mosaicodipace.it). Sono parole che purtroppo mi sento di scrivere ancora. Certo, quando si inizia un anno nuovo ci vorrebbe uno spirito costruttivo, di speranza. E credo sia giusto farlo perché come credenti abbiamo celebrato la Speranza che si è incarnata. “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” (Isaia 9,1): questa è la radice della nostra fede. Ma non coincide però con l’ottimismo predicato in questi giorni da chi vorrebbe, con toni messianici, annunciare novità dal paese del Bengodi, dove si vince la crisi con l’ottimismo e il consumo, fabbricando non odio ma amore.

La Speranza cristiana ci chiede di essere realisti, incarnati. E allora la mia preoccupazione iniziale si fa più legittima. “Anche in Bosnia – scrivevo a Cota – c’era qualcuno che per anni ha soffiato sul fuoco, le sparava grosse, ma tutti ridevano pensando fossero delle assurdità. E invece sono diventate tragedia, pagata da migliaia di persone. Questa paura mi accompagna sempre come un incubo: l’altro diventa un nemico, cresce il razzismo e la xenofobia”.

C’è poco da sorridere pensando, ad esempio, al White Christmas, l’iniziativa del Comune di Coccaglio contro gli immigrati; o al Pacchetto Sicurezza e il reato di clandestinità, per cui il delitto sta nell’essere e non nel commettere. Molte di queste affermazioni che ritenevamo folli ora sono legge, nero su bianco. È una tragedia. C’è poco da essere ottimisti.

E dopo gli ultimi episodi di dicembre (tra cui l’aggressione a Berlusconi e il fallito attentato aereo negli Usa), cresce la paura e forse anche l’odio verso chi non è ‘dei nostri’. Ad esempio, il titolo del Giornale di Feltri (29/12) – “Fermiamo gli immigrati islamici” – dimostra il rischio che si perda l’uso della ragione e si ragioni con la pancia, guidati dalla paura, che è sempre cattiva consigliera. Così è stato anche in Bosnia, dopo un lungo lavoro dei mezzi di informazione.

Ed ecco allora che, se guardiamo al 2009, non possiamo non ricordare l’enorme clamore, chiasso urlato, sulla sofferenza di Eluana, che meritava ben altro rispetto e delicatezza. Si grida a favore della vita e si prepara la morte. Si mandano nuovi soldati in Afghanistan, come se la guerra fosse normale. Si è fissato il 12 novembre come giorno della memoria delle vittime delle missioni di pace, cioè di guerra. Ma perché ricordare solo “i nostri morti” e non le vittime afgane o irachene? Io ero a Nassiriya nel novembre 2003 e ho partecipato ai funerali (senza le salme) dei soldati italiani uccisi. Quel giorno non si è pregato per le vittime irachene. Perché diventiamo così duri di cuore? Perché?

Perché, mentre ci viene detto che per la ricostruzione dell’Abruzzo colpito dal terremoto servono 12 miliardi di Euro, se ne spendono 15 per costruire i nuovi cacciabombardieri F35 (a Cameri, vicino a Novara) che possono trasportare anche ordigni nucleari? Perché sono così poche le voci, nel mondo politico, nel sindacato, nella società civile, che si indignano davanti a questo folle progetto di morte? La Commissione Giustizia e Pace della Diocesi di Novara cerca di bucare questo silenzio, ma che fatica!

Certo, non bisogna perdere la speranza, quella che si scrive con la S maiuscola. Mi diceva, nel 1994, un amico a Sarajevo: “La guerra è come un treno, quando è partito non lo puoi fermare e non puoi più scendere”. Il 30 gennaio si tiene a Roma un convegno sul disarmo, promosso da Cei, Caritas e Pax Christi. Nella speranza che quel treno si possa ancora fermare. Buon Anno.

 

Parroco a Cesara (Vb), consigliere nazionale di Pax Christi, redattore di “Mosaico di pace”

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