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LO SPAZIO DEL TEMPIO PER RACCONTARE UNA PAROLA “FUORITEMPIO”. INCONTRO IN UNA PARROCCHIA ROMANA

Tratto da: Adista Notizie n° 17 del 27/02/2010

35462. ROMA-ADISTA. Gli incontri di presentazione del II volume delle Omelie Fuoritempio di Adista (Di Girolamo editore, pp. 200, euro 15: il libro può essere richiesto, senza spese di spedizione aggiuntive, ad Adista, tel. 06/6868692; e-mail: abbonamenti@adista.it; oppure acquistato online sul sito www.adistaonline.it), oltre che un modo per far conoscere una originale novità editoriale, rappresentano soprattutto un’occasione per incontrare i lettori dell’agenzia. Ma anche per confrontarsi con tutti coloro che sono interessati ad avere, del fatto religioso, uno spaccato diverso, un punto di vista altro.

L’incontro svoltosi a Roma, il 10 febbraio scorso, ha avuto però un “valore aggiunto”. Anzitutto, perché si è tenuto in una parrocchia, quella di S. Frumenzio ai Prati Fiscali: lo spazio del “tempio”, quindi, per ospitare un commento “fuori”-tempio alla parola. Ma anche per la presenza di due autorevoli esperti sul tema della parola narrata (entrambi autori di alcune delle “omelie laiche” presenti nel volume): padre Alberto Maggi, biblista, e Gabriella Caramore, curatrice e conduttrice della trasmissione radiofonica di approfondimento religioso “Uomini e profeti”, in onda su Radio3.

Introducendo l’incontro, Giovanni Avena, direttore editoriale di Adista, ha contestualizzato il volume dei Fuoritempio all’interno della omonima (e ormai “storica”) rubrica di Adista e della missio editoriale della testata: il senso del fuori-tempio, ha detto infatti Avena, rimanda al “mistero dell’incarnazione, il mistero di Dio che si fa parola, che si fa carne, che si invera nel cuore della storia, ma fuori dai luoghi istituzionali, appunto. I luoghi del potere, quelli del commercio, ma anche quelli istituzionali del sacro”. Scegliendo di pubblicare commenti al vangelo della domenica, ha proseguito Avena, “abbiamo fatto però anche un altro ragionamento, un tantino più spregiudicato. Ci siamo chiesti: ‘Un organo laico di informazione e non di formazione religiosa, può ospitare anche la predica della domenica’? E ci siamo risposti che ‘sì, è possibile’, perché convinti che bisognava dirlo ad alta voce: Dio non è religioso, e la sua parola è parola laica”.

Concetto ripreso da Alberto Maggi, che nel suo intervento ha parlato delle omelie di Adista “come di una sorta di manuale di legittima difesa contro le prediche dei preti”. Il biblista ha poi ricordato che l’anno liturgico in corso è contrassegnato dalla presenza del Vangelo di Luca, un evangelista molto radicale. Che non fa sconti al potere ecclesiastico. Maggi ha citato l’episodio di Zaccaria, il marito di Elisabetta, che ormai in età avanzata, mentre svolge il suo servizio nel Tempio di Gerusalemme, riceve la visita dell'arcangelo Gabriele, il quale gli annuncia la prossima nascita di un figlio. Poiché Zaccaria non crede alle parole dell’angelo, per convincerlo Gabriele lo rende muto fino a che il suo annuncio non si sia adempiuto: durante il dialogo, spiega Maggi, “Zaccaria risponde all’angelo: ‘Sono vecchio’. E l’angelo replica: ‘Sono Gabriele’. Una risposta che sembra non avere senso. Ma Gabr El significa ‘la forza di Dio’. Quindi Zaccaria non ha creduto alla forza di Dio. E cosa succede? Rimane muto. Non ha ascoltato la parola di Dio e quindi una istituzione religiosa, di cui il sacerdote Zaccaria era rappresentante, che non ascolta la parola di Dio, non ha nulla da dire alla gente. Ma quello che è strano è che Zaccaria, anche se muto, rimane in servizio. Perché all’istituzione religiosa, un sacerdote muto non crea nessun problema; i problemi li creano i sacerdoti che parlano”. Forse per questo, ha detto Maggi, “la parola di Dio nel Vangelo di Luca, sceglie sempre persone in carne ed ossa e mai l’istituzione religiosa”. Il culmine di questa scelta anti-istituzionale si realizza, ha spiegato Maggi, negli Atti degli Apostoli, libro che la tradizione cristiana attribuisce sempre a Luca. Quando Pietro viene liberato dalla prigione dove Erode Antipa che lo aveva rinchiuso, Pietro “non si reca nella chiesa ufficiale, quella retta dal tremendo Giacomo, l’ultra-convervatore, ma in quella che oggi potremmo chiamare una comunità di base, tant’è vero che non gli aprirono, perché non potevano immaginare che Pietro, il capo della chiesa di Gesù, venisse da loro”. Perché per Luca la comunità cristiana autentica, non è quella della Legge: “È quella presieduta dall’amore, centrata sulla parola di Dio e che si esprime nel servizio”. Nient’altro.

Un tema ripreso anche dalla relazione di Gabriella Caramore, che ha esordito citando Lutero, il quale “sosteneva che la parola dovrebbe essere scatenata, cioè liberata dalle catene che la tengono prigioniera, che la tengono chiusa; per Lutero - ha detto la Caramore - la parola deve essere libera, cioè non soggetta a vincoli”. “‘Scatenata’, sì, ma non per questo ‘sradicata’, cioè strappata alla sua radice che è la parola di Dio, l’evangelo, l’annuncio della parola di Dio, che annuncia il perdono per chi ha una colpa, la liberazione degli schiavi, un nuovo ordine del mondo che veda primi gli ultimi, i miti ereditare la terra, i poveri godere della ricchezza di Dio”. Troppo spesso invece, “la parola pronunciata nei templi è incatenata, non ‘scatenata’; ed è ‘sradicata’, per giunta, cioè lontana dalla sua radice, dalla sua fonte”. Però, ha sottolineato la Caramore “non è il tempio in sé che fa la differenza”, “ma il modo di intendere il tempio”. Del resto, Gesù stesso nel Vangelo ammonisce: “’Non su questo monte, né nel tempio a Gerusalemme adorerete il Padre’, ma ‘in Spirito e Verità’; per questo il tempio non va pensato come una sorta di recinto per l’esercizio del sacro”. Ciò non significa che “fuori dal tempio le parole siano necessariamente migliori”. Ciò che fa la differenza è la qualità della parola che diciamo. “Se è una parola astratta, o un parola che si fa carne e sangue”. E quest’ultima, ha concluso la Caramore, è sempre “una parola che racconta una verità in divenire, non impone un dogma preconfezionato”. (valerio gigante)

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