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A SERVIZIO DI UNA FEDE CHE SI FA GIUSTIZIA. LA MISSIONE DEI GESUITI TRA LE FASCE PIÙ DEBOLI E POVERE DEL PIANETA

Tratto da: Adista Documenti n° 72 del 25/09/2010

DOC-2293. ROMA-ADISTA. Serve una marcia in più nell’operato dei gesuiti a fianco delle popolazioni indigene in tutto il mondo. “Tenuto conto dell'aggressivo processo di globalizzazione in corso, l'impegno dei gesuiti nell'ambito del ministero per la giustizia sociale presso le popolazioni tribali/indigene esige un serio rinnovamento. Si impone di comprendere fino in fondo le modalità con cui gli industriali nazionali e gli investitori esteri vanno creando deliberatamente una situazione che vede le fasce più povere e deboli farsi impotenti e incapaci di difendere le proprie risorse e persino i propri diritti costituzionali”. Ad affermarlo, sull’ultimo numero di Promotio Iustitiae - la pubblicazione del Segretariato per la Giustizia Sociale e l’Ecologia della Curia Generalizia della Compagnia di Gesù (disponibile su Internet all’indirizzo www.sjweb.info/sjs) - è Chistopher Lakra, già Provinciale di Ranchi e attualmente direttore dell'Indian Social Institute di Nuova Delhi, il quale, in-sieme a diversi altri gesuiti operanti in varie regioni del pianeta (oltre all’India, la Malaysia, l’Australia, il Canada, la Bolivia, il Messico), ha risposto a una serie di domande relative alla questione indigena sulla base di quanto emerso durante la 35.ma Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, dal 7 gennaio al 6 marzo del 2008. Come scrive nell’editoriale p. Fernando Franco, direttore del Segretariato per la Giustizia Sociale della Compagnia di Gesù, alla luce “del tradizionale impegno della Compagnia” nei confronti delle comunità indigene attraverso tutta la loro storia, come pure “dell’epocale e incoraggiante risveglio politico di cui esse stanno facendo esperienza in molti Paesi, e della distruzione sistematica dei loro habitat e del loro stile di vita a causa di un modello di sviluppo neoliberista”, è stato chiesto ai gesuiti di pronunciarsi sui “fattori che fanno oggi delle popolazioni indigene le più emarginate e sfruttate del mondo”, con riferimento “al processo di globalizzazione, al degrado ecologico e alla crisi economico-finanziaria”; su “cosa sta accadendo alle loro culture”; su “quali nuove iniziative socio-politiche ed economiche le stanno rafforzando”; sull’impegno della Compagnia su questo versante, in particolare riguardo all’indicazione di dare vita a “gruppi di lavoro” in ogni area in cui si presenti questa sfida.

E si tratta davvero di una sfida di grande portata. Come scrive Lakra nel suo contributo, la globalizzazione esercita un impatto enorme sulle comunità indigene, “forse maggiore che su qualsiasi altra realtà umana”, aggredendo “in maniera tentacolare la base stessa della loro esistenza e sopravvivenza”. I popoli indigeni occupano infatti gli ultimi angoli intatti del pianeta, quelli in cui “abbondano ricche risorse naturali, ovvero foreste, minerali, acqua, paesaggi e creature che prosperano in tutta la loro diversità genetica. Tutte cose ambitissime da multinazionali senza scrupoli che mirano a cacciare queste popolazioni dai loro territori, appropriandosene”. Gli esempi sono innumerevoli: “Parliamo - scrive Chistopher Lakra - dei Bayakas della Repubblica Centrafricana, la cui comunità si va disgregando per effetto dell'eccessivo disboscamento; dei Dinka e Nuer del Sudan, a cui le terre vengono sottratte perché il sottosuolo ospita le riserve petrolifere di domani; delle miniere d'oro nei territori miskito, nel Nicaragua; dell'ecoturismo nei territori kuna della Repubblica di Panama; dello sfruttamento minerario dei territori in cui vivono gli aborigeni australiani”. E, ancora, “ricordiamo le colture intensive nelle foreste tropicali abitate dai Dayak in Indonesia; le piantagioni di caffè per l'esportazione che hanno determinato la cacciata dei Montagnard dalle loro terre, nel Vietnam; l'estrazione di uranio con relativa produzione di scorie tossiche che stanno distruggendo gli ecosistemi delle regioni dei Dene e dei Cree in Canada; la pesca sconsiderata che mette a rischio la sopravvivenza delle comunità Chukchi ed Eschimesi, in Russia; l'estrazione di minerali nelle terre degli indiani del Nord America a danno degli Shoshoni occidentali, della nazione quechua, dei Mohawk, e della popolazione Zuni”.

Dedicato in buona parte ai diversi contributi dei gesuiti sulla realtà indigena, il numero 104 di Promotio Iustitiae tocca anche altre questioni, a cominciare da una riflessione sul rapporto tra fede e giustizia, sulla base della domanda “Qual è il tipo di fede che porta giustizia e riconciliazione in un mondo multiculturale e multireligioso?”. Il tema, evidenzia Fernando Franco nell’editoriale, “è importante per noi gesuiti in un mondo in cui percepiamo un ritorno alla ‘religione’, e in cui il dibattito sul secolarismo e il fondamentalismo si sta facendo cruciale per la comprensione dei cambiamenti in atto”.

Di seguito riportiamo, dalla sezione dedicata ai popoli indigeni, il contributo del gesuita messicano p. Jerónimo Hernández, sotto forma di Lettera aperta a p. Fernando Franco, e, dalla parte relativa alla nuova comprensione della fede in un contesto multiculturale e multireligioso, l’articolo di p. Veluswamy Jeyaraj, maestro dei novizi della provincia dell'Hazaribag, in India (l’uno e l’altro con piccoli tagli). (claudia fanti)

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