Nessun articolo nel carrello

A FIANCO DEGLI INDIGENI

Tratto da: Adista Documenti n° 72 del 25/09/2010

Caro Fernando,

perdonami se inizio a scriverti così queste poche righe, che si suppone dovrebbero essere un articolo per la rivista Promotio Iustitiae. (...). Mi consigli (...) di tener conto di alcune domande guida che delimitano il tema: le popolazioni indigene, le persone più emarginate e sfruttate del pianeta; fattori che le colpiscono; trasformazione delle loro culture; nuovi processi che le rafforzano; l'impegno della Compagnia a favore di questi soggetti, oggi.

Credo di capire bene ciò che mi chiedi, e ciò che intendi fare di queste riflessioni, se solo riuscissi a farle. Ma se domandassi direttamente ai fratelli indigeni la loro opinione, la prima cosa che farebbero sarebbe quella di domandarmi - loro a me - chi sono questi signori, e per quale motivo vogliono conoscerci. E risponderebbero così alla mia domanda, non perché siano "ostili" o "chiusi", come a volte siamo portati a ritenere partendo dai nostri schemi mentali occidentali, ma per altri motivi. Due dei quali sarebbero i seguenti: un motivo è perché - fino a dove arriva la nostra conoscenza diretta delle loro culture, che noi chiamiamo "usi e costumi" - tra indigeni, quando desideriamo chiacchierare con qualcuno, dobbiamo prima salutarlo; sapere chi sia; domandare come sta il suo cuore; offrirgli, a volte, qualcosa da mangiare, o un caffè, anche se non sappiamo da dove venga, e dove vada, e come mai venga a piedi, e se abbia fame; e solo dopo chiacchiereremo dell'argomento. È così, si tratta di una concezione dei rapporti umani, e della diplomazia, molto diversa da quella occidentale, che come ben sappiamo si interessa, in primis, dell'argomento o dell'affare in questione, e cerca di non perdere il suo tempo in banalità. L'altro motivo è perché, essendo successe tante cose nella loro storia, sia lontana, sia recente, hanno bisogno di sapere cosa vogliano fare con loro quelli che si preoccupano della loro situazione. Molte volte sono stati così ingannati e spogliati dei loro beni che è bene sapere con chi si ha a che fare. Certamente, può sembrare un atteggiamento di diffidenza. Ma non potrebbe essere diversamente. O-gni volta che hanno avuto rapporti con gente proveniente da altri mondi, ossia con la cultura occidentale - per dirlo in un certo modo - sono stati così colpiti e ingannati che preferiscono procedere con prudenza.

È stato così sin dall'inizio di questa relazione, sostengono. Per prima cosa, quando sono arrivati i conquistatori, hanno strappato loro le terre, le ricchezze, le donne, gli anziani, i sacerdoti, i principi e le credenze. Li hanno trasformati nel cemento dei grandi edifici coloniali. Li hanno resi lavoratori delle tenute. Li hanno aggiogati ai carri della civilizzazione e li hanno resi loro servi. Poi, ormai impoveriti e decimati, li hanno abbandonanti al loro destino. Sopra le loro spalle, creoli e meticci hanno costruito città, industrie e miniere, e successivamente sono stati spinti verso le ultime colline e le ultime montagne del pianeta, sempre esclusi da ogni forma di progresso e di sviluppo. Lì, sono stati condannati all'oblio. Per molti anni la modernità non si è occupata di loro, o, se per caso lo ha fatto, è stato solo per considerarli come un saldo negativo, o come un residuo sociale necessario, il più delle volte invisibile per la società stessa. Sono stati considerati come minori, incapaci, pericolosi e superstiziosi. Quando arrivavano a tradire la fiducia che qualcuno diceva di aver avuto, li si giudicava apertamente: "non ha colpa l'indio, ma chi lo rende padrino", diceva il proverbio.

Tuttavia, ognuno di questi popoli ha saputo con gli anni conservare la propria cultura, la propria visione del cosmo e la propria identità, molte volte dovendosi nascondere tra le strutture che sono state loro imposte. Per secoli hanno imparato a parlare altre lingue, conservando la propria; a pensare secondo gli schemi logici di altre culture, senza smettere di essere ciò che erano; a camminare, a vestirsi e a lavorare come il bianco, come il meticcio, come il creolo, portando nel cuore, e solo nel cuore, la propria identità protetta. Hanno imparato a parlare con Dio di nascosto, sapendo che lo stesso Dio può addentrarsi tra le resistenze indigene, tra danze, giochi, freddi, strade e cammini, sudore e fame, allegria e feste, espressioni proprie della fede indigena.

Sapendo inoltre che il Signore del vicino e dell'insieme si trovava per loro sulla terra così come nel cielo, hanno costruito una nuova maniera di parlare con il Signore, con quella naturalezza e con quell'umanità che li ha resi capaci di resistere fino ad oggi. Grazie a questo rapporto con la Terra, Madre di tutti gli esseri viventi, hanno saputo proteggere l'equilibro ecologico delle loro colline e delle loro montagne, delle loro sorgenti e delle loro fonti, e hanno saputo conservare, prestare attenzione e proteggere il mondo, che è il motivo per cui il Signore ve li ha posti. E fino al giorno d'oggi questo mondo sopravvive ancora grazie a questo sguardo responsabile e riconoscente dei popoli indios nei confronti della natura.

 

Una nuova strategia di sterminio

Nonostante tutto ciò, il mondo capitalista, al quale non importa di uccidere il pianeta, abitanti compresi, se con ciò ottiene lauti guadagni, ha nuovamente scoperto che vi erano grandi ricchezze - minerali, idrocarburi, acqua dolce, biodiversità e una gran varietà di risorse naturali - proprio in quei territori abitati dalle popolazioni indigene. E ha deciso di intraprendere una nuova guerra di spoliazione e di sterminio contro questi popoli, per beneficiare delle loro risorse. Adesso non vuole più spingerli verso quelle che, in un'altra epoca, considerava terre di cattiva qualità, come ha fatto ai tempi delle colonie. Adesso vuole uniformarli, globalizzarli e impiegarli come braccianti nelle proprie terre già riconvertite, oppure, se si oppongono, sterminarli. Perché oggi, ciò che cerca il capitale non sono solo terreni agricoli da sfruttare secondo sistemi medioevali, ma terreni ricchi di risorse naturali che possano essere utilizzati secondo le necessità proprie dell'accumulazione neoliberista del capitale stesso (...). Per questo ha disegnato una strategia di sterminio, o di acculturazione e di ri-educazione degli indios, che trasforma oggi le nuove generazioni di giovani indigeni, desiderosi di vivere la modernità, in milioni di disoccupati, o al massimo in nuovi eserciti di riserva di mano d'opera cibernetica. Vale a dire, li prepara - se vogliono sopravvivere - perché possano maneggiare i nuovi strumenti della tecnologia digitale, al servizio del capitale. Coloro che non rientrano in questa nuova rifunzionalizzazione sono destinati a morire di fame.

Cosa sta succedendo alle loro culture? Oggi tutto sta cambiando in questo mondo. Così come vi è un cambiamento climatico che in realtà colpisce il globo intero, anche coloro che si trovano negli angoli più remoti di questo pianeta, anche il cambiamento culturale prodotto dalla globalizzazione sta colpendo tutti i popoli della terra. Il cambiamento del clima è prodotto dall'emissione di gas inquinanti. Non importa che questi gas siano emessi da un Paese o da un altro, da un'impresa piuttosto che da un'altra, in qualche modo questi gas provocano un cambiamento climatico che colpisce ogni angolo del pianeta. E, in modo particolare, colpisce quelle popolazioni che vivono di agricoltura, come sono le popolazioni indigene. Queste popolazioni sono abituate a seminare, coltivare e mietere seguendo i cicli ordinari delle piogge. Così era in passato. Tuttavia, il cambiamento del clima ha provocato grandi trasformazioni del regime pluviale. Ossia, nel periodo delle piogge - quando in passato si sperava che l'acqua aiutasse le piante a crescere e a spigare - ora non piove più, o piove più del consueto. E in questo modo le colture si rovinano. Al contrario, quando non dovrebbe piovere ora piove molto, o la siccità è più forte di prima, e anche tutto ciò colpisce sia le coltivazioni stagionali sia le vegetazioni permanenti dei boschi e delle selve.

La caccia e l'allevamento di animali per l'alimentazione delle popolazioni indigene sono colpiti da questo cambiamento climatico.

Così, a causa del fenomeno della globalizzazione, anche la cultura di tutti i popoli sta cambiando. In epoche passate, le popolazioni indigene, anche se sfruttate, sottomesse o escluse dallo sviluppo sociale, economico, culturale, ecc., proprio a causa di questa emarginazione riuscivano a rifugiarsi in meccanismi culturali autonomi propri. La loro lingua, le loro danze, le loro feste, i loro riti, la loro visione del cosmo erano tutti meccanismi propri di resistenza e di sopravvivenza. Nonostante non facessero parte delle correnti economiche o sociali dei Paesi in cui vivevano, gli indigeni potevano abitare le loro selve e le loro montagne. Lì seminavano, cacciavano, raccoglievano frutti o pescavano nei fiumi e nelle lagune, ottenendo così dal loro habitat - dal loro territorio - tutto ciò di cui avevano bisogno per sopravvivere. Questa realtà li legava ancor più alla terra che li alimentava, e alla concezione di figli della terra dalla quale dipendevano. Oggi, però, non è più così. Il cambiamento climatico li ha strappati con violenza da questa forma di sopravvivenza. In parte, perché ormai non possono raccogliere ciò che non si produce più naturalmente. Ma in parte anche perché il cambiamento climatico non viene da solo, bensì accompagnato anche da un cambiamento nell'asse-gnazione internazionale, o transnazionale, dei territori indigeni, in funzione delle nuove necessità del neoliberismo. Il fatto è che è proprio nei territori indigeni che si trovano le principali fonti di acqua dolce, le riserve energetiche (come il petrolio), i minerali di cui necessita l'industria e in generale il funzionamento del capitale, come l'oro, l'argento, il rame, l'uranio...; di conseguenza quei territori sono oggi i più appetibili e i più idonei alla produzione su larga scala di colture come la soia, il riso e il sorgo o alla produzione di sementi che verranno poi trasformate in biocombustibili, come l'etanolo e i suoi derivati. Ma perché le popolazioni indigene lascino le loro terre si rendono necessari, oltre a una riassegnazione dei terreni e a un cambiamento radicale della loro destinazione d'uso, una modificazione legislativa e un cambiamento culturale. La modifica della normativa è stata portata avanti dai governi degli Stati. Ma il cambiamento culturale si va realizzando poco a poco, dall'alto e dal basso.

 

Cultura in vendita

L'essenza del cambiamento culturale è nella recente introduzione del denaro nelle culture indigene, non solo come moneta di scambio con la quale si compra e si vende nei mercati, e si scambiano prodotti agricoli, ma come fattore che assegna un nuovo valore a ogni cosa, che trasforma in denaro tutto ciò che tocca. Da quando il denaro è entrato nella vita delle popolazioni indigene, e ha toccato il loro cuore, tutte le cose che avevano davanti ai loro occhi hanno iniziato a cambiare e ad assumere un nuovo significato. Da allora, non ha più importanza quali siano le cose che si trovano sulle loro terre e sui loro territori o a cosa servano; non ha più importanza il motivo per il quale il Signore le abbia create, o come le utilizzavano i loro predecessori. Ciò che importa, ora, è solo quale sia il loro valore. È importante solo sapere se si possano comprare e vendere; se si possano scambiare con del denaro; se servano per guadagnare sempre più denaro. Per esempio, i campi, che prima erano il luogo dove le comunità potevano ottenere gli alimenti e i medicinali di cui avevano bisogno, oggi sono considerati solo come terreni indicati per investire in attività agricole o per la produzione di biocarburanti.

In passato, gli indigeni seminavano diverse varietà di semi o raccoglievano erbe, frutta e piante sulla montagna per poter mangiare, o per scambiare i prodotti alimentari con altre popolazioni. Oggi, invece, i loro terreni non sono che terre disponibili per monoculture commerciali. I loro luoghi sacri, dove sono vissuti i loro antenati, così come i loro fiumi e le loro sorgenti, dove offrivano i doni agli "spiriti della terra", sono ora solo luoghi per ecoturismo. La grande varietà di piante medicinali e spirituali viene vista solo come potenziale biopirateria. Le loro selve e montagne, il loro ambiente vitale, le terre e territori indigeni sono visti ora solo come serbatoi di CO2, che le imprese transnazionali si contendono per poter rispettare le quote internazionali di servizi ambientali. Vogliono trasformare le colline e le grotte, che sono sempre stati luoghi spirituali, in miniere d'oro che le imprese calcolano di sfruttare, per guadagnare molti soldi. Oggi, i loro fiumi, le loro lagune, le loro sorgenti, che sono i doni che il Signore ha fatto loro, figli della Terra, vengono contesi dalle imprese che vogliono privatizzarli per vendere in bottiglie di plastica l'acqua che la terra offre. Altre imprese, o i governi, guardano ai loro fiumi per il loro potenziale idroelettrico, il che significa affari, affari e affari solo per gli stranieri. La Terra, la Madre Terra, è in vendita: si sta vendendo al miglior offerente, sia in termini di soldi, sia in termini di tempi. Da quando è entrato il denaro, è in vendita anche la loro cultura, il loro sapere e la loro tradizione. Il denaro è tutto. Modifica i bisogni dei popoli e, pertanto, modifica anche l'appagamento dei nuovi bisogni. Anche i giovani cercano il denaro; scoprendo però, dolorosamente, che non è per loro. Così, il cambiamento climatico e il cambiamento culturale espellono gli indigeni verso altre zone, dove saranno assorbiti o rifunzionalizzati, oppure formeranno le nuove cinture di miseria delle grandi città.

Di fronte a questa guerra di sterminio e di depredazione neoliberista che rade tutto al suolo, ecosistemi e culture comprese, le popolazioni indigene mantengono, tuttavia, i propri meccanismi di resistenza. Cercano di recuperare i propri spazi di autonomia attraverso i quali poter continuare a essere i popoli che desideravano essere. Mantenere le loro feste, le loro danze, le loro celebrazioni, quali meccanismi di resistenza e di ricreazione del soggetto collettivo, è una sfida ogni volta più difficile da affrontare, però le mantengono. Resistono ballando, fino a quando potranno. Hanno un concetto di sviluppo completamente differente dal concetto occidentale che sta uccidendo il pianeta. Sanno che il Signore li ha posti in questo mondo perché ne avessero cura, non per distruggerlo.

La Compagnia di Gesù è disposta a restare al loro fianco? A noi sembra di no. Anche la Compagnia di Gesù, come società universale, è stata interessata dal cambiamento culturale. I gesuiti, sia di lungo corso, sia giovani, seguono ora l'idea del successo. (...). Forse, si possono creare gruppi di lavoro perché riflettano, dall'esterno, su quale possa essere il nuovo "ruolo" delle popolazioni indigene nella globalizzazione; forse si possono analizzare le loro culture e il modo in cui vanno scomparendo; il modo in cui si producono flussi migratori, come quello dell'oca del Canada o della farfalla monarca. Tutto ciò è possibile. Ciò che, però, le popolazioni indigene chiedono a noi gesuiti è di restare con loro. Non per evangelizzarle o per annunciare loro qualcosa che non succederà. Ma per essere, solo per essere, al loro fianco.

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.