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CI SALVERÀ L’ECOSOCIALISMO

- SECONDO UN SOCIOLOGO CILENO, SIAMO AL PUNTO DI NON RITORNO. DOBBIAMO RINUNCIARE AL CAPITALISMO O UN PROSSIMO SECOLO NON CI SARÀ

Tratto da: Adista Contesti n° 34 del 23/04/2011


TRATTO DALL’AGENZIA BRASILIANA DI NOTIZIE SULL’AMERICA LATINA ADITAL 22 MARZO 2011. TITOLO ORIGINALE: LA PROPUESTA ECOSOCIALISTA A LA ACTUAL CRISIS GLOBAL

Gli ultimi avvenimenti che hanno commosso il mondo sono la manifestazione di un fenomeno che viene esposto e discusso da vari decenni: l’esaurimento di un modello produttivista e predatorio che minaccia con sempre maggiore incisività le basi materiali della vita del pianeta. Il cambiamento climatico è un fatto che a questo punto non possiamo negare. Sebbene ci sia un consenso quasi globale nel mondo scientifico sulla sua inevitabilità, ancora sussiste sufficiente incertezza sulle effettive conseguenze che esso può causare. In America Latina si stima che i maggiori impatti di questi cambiamenti ricadranno soprattutto sul’agricoltura, la pesca e l’accesso all’acqua potabile. Tale situazione rende ancora più evidente la seconda contraddizione del capitalismo, la prima essendo fra capitale e forza-lavoro: la preminente contraddizione fra le forze distruttive e predatorie del capitale e la natura.

La questione dei limiti ecologici alla crescita economica e delle interrelazioni fra sviluppo e ambiente è stata reintrodotta nel pensiero occidentale (1) negli anni ’60-inizio ’70 da un gruppo importante di teorici, fra i quali si possono segnalare Georgescu-Roegen, Kapp, Naess, Sachs y Schumacher. Per esempio, in un lavoro pionieristico di Ernst F. Schumacher, Small is Beautiful (“Piccolo è bello”, Mondadori, 1988, ndt), pubblicato nel 1973, l’economista anglo-tedesco espone una critica precisa al modello produttivista delle società occidentali che ci porterà al disastro ambientale e alla distruzione della stessa vita, per cercare di comprendere dal punto di vista dell’umanità il problema nella sua totalità e cominciare ad individuare forme di sviluppo, nuovi metodi di produzione e nuovi modelli di consumo secondo uno stile di vita disegnato per durare ed essere sostenibile. Malgrado le differenze di approccio e la posizione più o meno militante di ognuno di questi pensatori, quello che emerge come aspetto comune è la critica veemente al modello di produzione e di consumo inerente allo sviluppo capitalista.

Questo modello, che ha generato una crescita esponenziale di sfruttamento delle risorse naturali e che stimola il consumismo sfrenato, specialmente nei Paesi dell’emisfero Nord, è responsabile sia dell’esaurimento delle risorse (2) che della produzione di tonnellate di spazzatura che contaminano quotidianamente le acque, l’aria e la terra. Ogni anno si perdono 14,6 milioni di ettari di boschi e migliaia di specie, riducendo ed erodendo irreversibilmente la diversità biologica. Continua la devastazione delle foreste, di cui si perdono annualmente circa 17 milioni di ettari, quattro volte l’estensione della Svizzera. E siccome non ci sono alberi per assorbire le eccedenze di CO2, l’effetto serra e il riscaldamento si aggravano. La fascia d’ozono, malgrado il Protocollo di Montreal (1987), non si recupererà fino alla metà del secolo XXI. Il biossido di carbonio presente nell’atmosfera (370 parti per milione) ha subìto un incremento del 32% rispetto al secolo XIX, raggiungendo le maggiori concentrazioni degli ultimi 20 milioni di anni e oggi aggiungiamo annualmente all’atmosfera più di 23.000 milioni di tonnellate di CO2, accelerando il cambiamento climatico. Si prevede che le emissioni di biossido di carbonio aumenteranno di un 75% fra il 1997 e il 2020. Ogni anno emettiamo circa 100 milioni di tonnellate di biossido di zolfo, 70 milioni di ossidi di azoto, 200 milioni di monossido di carbonio e 60 milioni di particelle in sospensione aggravando i problemi causati dalle piogge acide, dall’ozono troposferico e dalla contaminazione atmosferica locale.

In definitiva, un complesso di indicatori ambientali studiati negli ultimi decenni sembra rivelare con sempre maggiore chiarezza che se l’umanità non cambia il suo modello di sviluppo, in meno di un secolo metteremo a serio rischio la sopravvivenza del pianeta e del genere umano. Come ci ricorda Istvan Mészáros, ad ogni nuova fase di rinvio forzato, le contraddizioni del sistema del capitale possono solo aggravarsi, comportando un pericolo ancora maggiore per la nostra stessa sopravvivenza.

Il susseguirsi di catastrofi ambientali e “climatiche” di cui sta soffrendo il pianeta, a partire da Cernobyl per terminare alla recente tragedia dell’impianto di Fukushima, ci permettono di sostenere senza esagerazione che ci troviamo ad uno stadio avanzato di rischio procurato o di crisi strutturale, non solo del capitale, ma della sostenibilità della specie. Il secolo XXI è iniziato con una impronta catastrofica, con un numero di disastri ecologici e naturali senza precedenti nella storia (3). Di fronte a questo panorama incerto e desolante sono sorte diverse iniziative (come la Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento climatico) che cercano di costruire alternative al modello produttivista, predatorio e sfruttatore attualmente imperante. L’ecosocialismo contemporaneo nasce precisamente come una risposta a questa dimensione autodistruttiva del capitalismo e si pone come alternativa razionale e percorribile di fronte alla crisi socio ambientale e di civiltà che sta affrontando l’umanità.

Come afferma il Manifesto Ecosocialista redatto da Kove e Löwy, «la crisi ecologica e il deterioramento sociale sono profondamente intrecciati e dovrebbero essere valutati come espressioni diverse delle stesse forze strutturali che caratterizzano la dinamica e l’espansione del sistema capitalista mondiale. Questa crisi avrebbe la sua origine, innanzitutto, nel processo di industrializzazione accelerato che supera la capacità della terra di mantenerlo, ammortizzarlo e contenerlo, e, con esso, nel processo di globalizzazione, con tutte le conseguenze e gli effetti disintegratori nelle società dove si impone. (…).  Il sistema capitalista attuale non può regolamentare la crisi che esso stesso ha posto in essere, né tanto meno superarla. Il sistema non può individuare una soluzione alla crisi ecologica perché farlo richiederebbe fissare dei limiti all’accumulazione, opzione inaccettabile per un sistema sociale fondato sull’imperativo crescere o morire. Insomma, il sistema capitalista mondiale è storicamente rovinato e in termini ecologici è profondamente insostenibile; bisogna cambiarlo o sostituirlo, se si vuole che il futuro sia degno di essere vissuto».

In questo modo, l’ecosocialismo cerca di rompere drasticamente con le pratiche distruttive e le forme predatorie che derivano da un modo di produzione e di consumo altamente bisognoso di risorse naturali e umane. La risposta ecosocialista rappresenta una rottura tanto con il modello espansionista del capitale quanto con la prospettiva produttivistica del “socialismo reale”. Per gli ecosocialisti, sia la logica del mercato e del profitto, sia il produttivismo burocratico del marxismo economicista volgarizzato sono considerati modelli assolutamente incompatibili con l’urgente e improcrastinabile necessità di preservare l’ambiente.

Alcuni detrattori di questa corrente hanno segnalato che il concetto ecosocialista è un’utopia, una mera fantasia, creazionismo letterario senza base scientifica né percorribilità pratica. Tuttavia, anche se facciamo una lettura rapida del futuro del pianeta, possiamo arrivare direttamente alla conclusione che è vantaggioso ripensare, in primo luogo, l’attuale fonte energetica utilizzata per far “funzionare” la terra. La dipendenza e l’uso smodato dei combustibili fossili non solo hanno effetti disastrosi diretti sugli ecosistemi, ma provocano anche permanenti e sanguinosi conflitti per il controllo delle risorse petrolifere. Allora l’ecosocialismo include necessariamente la proposta di altre fonti di energia pulita e rinnovabile che cambia radicalmente il mito e la relazione di dominio/usufrutto/distruzione dell’uomo con la natura.

In secondo luogo, l’uso di energie alternative (geotermica, solare, eolica, ecc.) deve essere accompagnata da un dibattito ampio sulla stessa nozione di progresso/sviluppo che oggi è basata soprattutto sulla crescita economica (4). L’idea della decrescita può anche essere considerata una illusione, una specie di filosofia ingenua e recessiva, ma le recenti prove sulla devastazione del pianeta possono farci muovere in altra direzione: l’alternativa della decrescita e la discussione sul potere e sulla disuguale distribuzione dell’uso delle risorse naturali dovrà essere per forza parte imprescindibile di qualsiasi agenda che voglia discutere di futuro dell’umanità. In questo senso, il dibattito sulla decrescita può anche essere considerato parte della costruzione di un progetto ecologista e socialista, essendo co-sostanziale alla decrescita il concetto della necessità di avanzare verso un differente funzionamento della società, più democratica, egualitaria, partecipativa e che ridefinisca drasticamente l’attuale modello di produzione e consumo, con la meta del benessere di tutti nel quadro di una nuova relazione dell’umanità con la natura.

In questo modo, tanto il socialismo ecologico quanto la prospettiva della decrescita rappresentano una riorganizzazione della vita in molti ambiti, suppongono di rinunciare al consumo artificiale per volgersi ad un consumo auto-limitativo e adeguato alle necessità reali delle persone, suppongono di pensare l’uso di energie alternative e pulite, suppongono di ridurre l’impronta ecologica attraverso attività su scala locale e di relazioni più eguali fra i membri di una comunità..

In sintesi, ecosocialismo, decrescita o Sumak Kawsay (in lingua quechua, vivere in armonia con gli altri e con l’ambiente, ndt) cercano fondamentalmente di riflettere sulle strategie che si stanno costruendo in funzione di invertire il cammino deleterio dell’attuale modello di produzione e consumo, per formulare un cambiamento a livello di civiltà che permetta di aspirare a un buen vivir nel rispetto dei popoli e della natura. n

 

Note

 

(1) Parliamo di una reintroduzione perché consideriamo che all’origine di queste preoccupazioni si trovi l’opera anticipatrice di un contemporaneo di Marx, William Morris, il quale aveva già introdotto elementi di una visione ecosocialista nei suoi scritti, specialmente nel racconto utopico Notizie da nessuna parte.

(2) Per esempio, si calcola che, se il consumo medio di energia degli Usa fosse generalizzato fra la popolazione mondiale, le riserve conosciute di petrolio si esaurirebbero in soli 19 giorni.

(3) Un rapporto di Strategia Internazionale per la Riduzione dei Disastri (Eird), organismo delle Nazioni Unite, ha segnalato che il 2010 è stato l’anno in cui si è registrata la maggior quantità di disastri naturali degli ultimi tre decenni, dato che il numero di persone che hanno perso la vita a causa di questi sinistri ha raggiunto la cifra di 300mila vittime.

(4) Da circa un decennio, si è avviato un dibattito che ha avuto molto spazio sulle pubblicazioni accademiche e nella società civile sull’urgente necessità di sostituire il modello di crescita attualmente vigente con un modello di “decrescita” sostenibile.

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