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SEGNI DI UN TEMPO NUOVO

Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 28/05/2011

1. IL RIFERIMENTO DELLA BASE E I RISCHI DI BASISMO

La realtà sociale dei nostri popoli e delle nostre Chiese è molto cambiata. Molti dei movimenti che sono riusciti ad affermarsi in diversi dei nostri Paesi nascevano da mobilitazioni popolari slegate da partiti organizzati e da movimenti formali. I governi con tratti popolari presenti in Argentina, Brasile o Uruguay non sempre facilitano l’organizzazione e la mobilitazione di movimenti popolari di carattere rivendicativo. A volte, anzi, appare più facile lottare contro un dittatore che contro un presidente di origini popolari non sempre fedele alle sue origini e alla sua storia. (…). Tanto sul piano politico quanto a livello ecclesiale, oggi, per varie ragioni, è più difficile inserirsi nella base di quanto lo fosse alcuni decenni fa. 

Riguardo alla Teologia della Liberazione, non sono sufficienti i congressi, i forum e gli incontri di riflessione. Per quanto possa rispettarsi la vocazione accademica, la TdLnon sopravvivrà solamente sulla base di studi accademici, pubblicati principalmente da case editrici e università confessionali non sempre sufficientemente libere da consentire quell’espressione libera e coraggiosa di posizioni e di scoperte che la ricerca teologica di base presuppone sempre.

Grazie a Dio, vari giovani teologi e teologhe sono di fatto inseriti nel processo di lotta indigeno in Bolivia, nelle attività di base di Via Campesina in vari Paesi, nel Movimento dei Lavoratori Senza Terra in Brasile e in altri movimenti popolari.

La Teologia della Liberazione è sorta a partire dalle esperienze di inserimento e di impegno sociale concreto di vari fratelli e sorelle in movimenti sociali di base. Era un’epoca in cui esisteva una mistica a cui molti religiosi e religiose aderivano: vivere con i poveri e aiutare la Chiesa non solo ad esistere per gli impoveriti, ma ad essere una Chiesa povera e di poveri. In molti ambienti politici rivoluzionari, si diceva che il militante vive in mezzo al popolo come un pesce nell’acqua. Nella Conferenza dell’episcopato latinoamericano a Medellín, in Colombia, nel 1968, i vescovi proponevano una Chiesa «povera e spogliata degli strumenti del potere» (Doc 5, n. 15).

Oggi si impone di nuovo la necessità di riprendere il lavoro di base. Non si tratta di cadere in quei basismi ingenui che Lenin definiva come la malattia della sinistra. Il cosiddetto “popolare” non è solo quello che nasce dal popolo o che dal popolo è espresso. Bensì è ciò che deriva dal popolo organizzato e cosciente (...). Ciò che è veramente popolare ha una dimensione critica e trasformatrice. Le persone e i gruppi autenticamente impegnati sanno che il cammino è dialettico e che viene costruito in mezzo alle contraddizioni. Non possiamo cedere a un purismo irreale che non ci porterebbe a niente. Tuttavia, tale tentazione non giustificherebbe mai una mancanza di adesione alla lotta e di impegno liberatore.

 

2 – LA QUESTIONE DI UNA NUOVA EPISTEMOLOGIA

La Teologia della Liberazione è stata costruita a partire da una generazione di intellettuali che, nella quasi totalità, si era formata in Europa e aveva avuto come riferimento quel modello di pensiero occidentale, patriarcale e autoritario proprio delle Chiese. Questi fratelli e sorelle abbracciarono il cammino liberatore della Chiesa, contestarono gli abusi di una teologia costruita essenzialmente in aule ed uffici, tentarono di riformulare questo terreno minato e piantarono semi buoni e fecondi di liberazione e di vita. Ma il modello fondamentale di pensiero non arrivò ad essere modificato.

«La Teologia della Liberazione pare sovrapporre all’epistemologia antica e medievale un’epistemologia moderna e meccanicista in cui, a un primo sguardo, sembrano armonizzarsi concetti come quelli della lotta di classe, di una società senza classi, del Regno di Dio. Ma non si introduce un nuovo approccio: si aggiungono appena aspetti dell’epistemologia della modernità in una prospettiva teologica di liberazione integrale dei poveri dell’America Latina. Per esempio, la reinterpretazione di Gesù di Nazareth non critica la dogmatica tradizionale, non decostruisce il dogma cristologico, ma lo rilegge appena alla luce dell’opzione per i poveri e della lotta per la giustizia. Si tratta di un tentativo di armonizzare due universi epistemologici senza eliminarne o modificarne nessuno (...)». Questo commento critico di Ivone Gebara ci aiuta a comprendere come, se negli anni ‘70 e ‘80 la Teologia della Liberazione ebbe bisogno di partire dai presupposti metodologici classici, solo trasferendoli nella realtà latinoamericana, ciò non possa più valere oggi.

(...) Oggi dobbiamo superare il carattere antropocentrico, eurocentrico, cristocentrico e anche patriarcale presente pure in molti testi della Teologia della Liberazione. E affermare un’epistemologia eco-femminista e olistica, un’epistemologia che deve ancora essere approfondita ed espressa. E qui entra in gioco una prospettiva di esegesi più narrativa ed erotica, una teologia costruita anche e soprattutto a partire dalle esperienze e dai sentimenti, uniti a una riflessione più sistematica.

Così come, negli anni ‘70, la Teologia della Liberazione è stata in grado di accettare la teoria marxista come strumento di mediazione analitica della realtà, malgrado criticasse vari aspetti di questa visione del mondo, è oggi fondamentale inserirsi nel processo delle trasformazioni sociali e politiche in corso in America Latina, facendo una nuova opzione per un socialismo in via di rinnovamento e promuovendo una spiritualità che sia alla base del processo bolivariano di liberazione, presente e operante in vari dei nostri Paesi.

 

3 – SUPERARE LE VECCHIE IMMAGINI DIVINE

Attualmente, tradizioni spirituali come quelle delle religioni monoteiste cercano di rinnovare il loro modo di parlare di Dio. In passato, Dio è stato presentato come una divinità guerriera o come un giudice severo impegnato a premiare i virtuosi e a punire i disobbedienti. (...).

Ai tempi della colonizzazione, la conquista è stata compiuta in nome di questo idolo chiamato “dio dei cristiani”. Un dio che sembrava più forte e più violento degli dei neri e indigeni, i quali si erano mostrati incapaci di difendere i loro popoli dalla schiavitù. Tali vergognose immagini di Dio, anche del Dio biblico, continuano a legittimare disuguaglianze di genere («la donna è ontologicamente incapace di ricevere il sacramento dell’Ordine», dicono i conservatori della Chiesa cattolica) e discriminazioni. Su tali modi di concepire la divinità vale ciò che affermava Anthony de Mello: «Su Dio, diciamo tranquillamente cose che non oseremmo dire di alcuna persona degna».

Di fatto, già nel IV secolo, San Gregorio di Nissa insegnava: «(...) crediamo che la divinità non possa essere colta da un semplice termine, da un’unica idea o da un qualunque strumento della nostra comprensione. Il mistero divino rimane al di là della portata non solo dell’essere umano, ma anche dell’intelligenza angelica e soprannaturale. È impensabile e impronunciabile. Il solo nome adatto per natura a Dio è il credere che sia al di sopra di ogni nome».

Allo stesso modo, nel Medioevo, Meister Echkart, uno dei più grandi mistici occidentali, affermava: «In tutto ciò che fai e pensi su Dio, ci sei più tu che lui. (...). Se avessi un Dio che potesse essere compreso da me, non vorrei mai riconoscerlo come il mio Dio. Per questo, taci, e non indagare su di lui. Non vestirlo di attributi e proprietà, ma accettalo come un essere superiore a tutto e come un Non Essere superiore a tutto» .

(...) La teologia eco-femminista è partita da questa via negativa, consacrata dai mistici antichi. Rinunciamo a parlare di Dio in termini assoluti e come certezza. Respingiamo immagini patriarcali di Dio che lo isolano dalla creazione e fanno di lui una specie di signore assoluto e tirannico. Purtroppo sono le immagini patriarcali di Dio ad aver fondato la teologia tradizionale e quei modelli di Chiesa e di gerarchia che oggi critichiamo.

Per costruire un socialismo nuovo per il XXI secolo, dobbiamo non soltanto rivedere queste immagini divine, ma anche essere capaci, in dialogo con altre tradizioni spirituali, di cogliere un altro modo di parlare di Dio che salvaguardi l’ineffabilità del mistero. Tutto ciò che potremo dire di Dio sarà sempre improprio. Ma alcune affermazioni, come quelle che hanno a che fare con il potere e con il mantenimento di un ordine sociale ingiusto, non sono soltanto insufficienti e incomplete, ma anche offensive e inique.

Per una teologia e una spiritualità che vogliano appoggiare un processo nuovo di socialismo latinoamericano, altre immagini divine sono fondamentali. Rubem Alves riassume la questione in questi termini: «Non dobbiamo pensare Dio al di sopra degli esseri umani, come spirito opposto alla materia, come trascendente rispetto all’universo e come Padre e creatore di tutto. Dio è dono e sfida. È dono in ogni esperienza che ci rende più forti e capaci. È nel grembo confortante della terra. Si manifesta nel sibilo del vento, nel canto degli uccelli. La divinità si annuncia nel “due in uno” dell’amore sessuale, nell’amicizia, nella comunione e in quella rivelazione sensoriale del significato che sono le opere d’arte”.

Come insegnava San Gregorio di Nissa: «Trovare Dio è cercarlo ininterrottamente. Non è che cercare è una cosa e trovarla un’altra. Il risultato di trovare è cercare ancora. Il desiderio dell’anima è accresciuto dal fatto stesso che essa rimane insaziabile. Vedere Dio è non essere mai sazi e desiderarlo sempre».

 

4. LA RICERCA DI UN SOCIALISMO SPIRITUALE

In questo inizio di secolo, i movimenti sociali hanno riscoperto il valore e l’importanza della dimensione spirituale dell’essere umano e della sua storia. Questa ricerca della profondità e del significato più alto della vita non può essere lasciata come privilegio o prerogativa delle persone religiose che potremmo definire “di destra”. Pur valorizzando la dimensione collettiva e comunitaria rispetto a quella individuale, non possiamo opporre una all’altra e ancor meno trascurare la soggettività, come se questa fosse necessariamente qualcosa di scartabile o di reazionario. Con molti/e martiri del cammino di liberazione latinoamericano e con i nostri mistici poeti, come Pedro Casaldáliga, Zé Vicente, Ernesto Cardenal e tanti altri, abbiamo scoperto che la ricerca collettiva di un consolidamento del progetto popolare passa anche per la realizzazione profonda della persona in quanto essere spirituale e sacro. Qualunque progetto sociale e politico liberatore deve aprirsi alle dimensioni dell’arte e dell’estetica, dell’affettività e dell’interiorità.

È necessario rafforzare la nostra fede nell’umanità come sfida profetica. (...).

1 – Dobbiamo lavorare per un modello di socialismo che recuperi la dignità degli oppressi e degli esclusi. Senza questa prioritaria cura dei poveri, non si potrebbe neppure parlare di rivoluzione. Un criterio fondamentale della fede e della spiritualità è questo impegno a favore dei diritti umani e della trasformazione del mondo in una società di giustizia. (…).

2 – Questo socialismo nuovo, prendendosi cura della dignità dei piccoli, deve impegnarsi sempre di più a riscattare la dignità della Terra, dell’Acqua e di tutto l’universo. La nuova rivoluzione socialista deve essere profondamente ecologica. Non si tratta appena di uno “sviluppo sostenibile”. Deve essere più di questo: una sostenibilità radicale e spirituale nel senso di un’apertura affettiva allo Spirito che riempie di amore e di tenerezza tutto l’universo.

3 – Già abbiamo sottolineato il fatto che la rivoluzione bolivariana potrà essere nuova solo se sarà aperta a tutte le razze ed etnie, a partire da un’opzione prioritaria per gli indigeni e per gli afrodescendenti che sono sempre stati esclusi dal processo latinoamericano. (...).

Credo che, per raggiungere tale scopo, qualunque processo socialista debba insistere sulla trasformazione delle strutture sociali e politiche, ma anche su un lavoro serio di conversione personale. Questo sforzo di conversione interiore è proposto a chi vive un cammino spirituale di carattere religioso o legato a una qualche tradizione spirituale, ma anche ad ogni persona umanizzata e impegnata ad umanizzare.

 

5 – UN SOCIALISMO SPIRITUALE E MACRO-ECUMENICO

(...) Tutti gli studiosi delle comunità indigene e nere del continente concordano nel sottolineare l’immensa importanza che nella loro storia di resistenza sociale, culturale e politica hanno assunto le religioni ancestrali. (...). È stato questo uno dei più importanti fattori grazie a cui, alla fine del secolo scorso e all’inizio dell’attuale, questi gruppi e comunità indigeni e neri, in varie regioni del continente, hanno assunto un protagonismo sempre maggiore, lottando, in maniera quanto più possibile pacifica e nonviolenta, per la loro liberazione e per la vera indipendenza socio-politica ed economica dei loro Paesi.

(...) Attualmente, una fascia considerevole dei pastori e dei membri delle Chiese cristiane si mostra solidale nei confronti di questo movimento popolare legato alle comunità indigene e nere. Questi movimenti autoctoni offrono un contributo proprio e inestimabile a quello che, pur a livello embrionale, può essere definito come un “nuovo processo socialista latinoamericano e dei Caraibi”. La partecipazione attiva dei movimenti comunitari neri e indigeni a questo cammino socialista imprime all’insieme del processo un carattere fortemente ecologico in termini di amore per la natura, di rispetto per gli antenati e per gli anziani, di recupero delle medicine naturali e di riscatto dei valori sociali trasmessi fin dall’antichità. Evidentemente, è difficile che ciò venga recepito da società apparentemente dominate dalla cultura della televisione. Ma è presente in maniera forte e visibile nella resistenza culturale di comunità e di gruppi che si sono tecnologicamente “attualizzati”, che studiano le scienze della modernità occidentale, ma che non per questo hanno rinunciato alle proprie culture originarie. Al contrario, queste vengono riscoperte e valorizzate. Tanto nella regione andina e nell’Amazzonia, in relazione alle religioni indigene, quanto nel litorale brasiliano, in relazione ai culti afrodiscendenti, si coglie una rivitalizzazione di queste comunità religiose, con una forte ricaduta sul piano sociale e politico.

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