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USA: UN EPISCOPATO DIVISO ELEGGE IL NUOVO PRESIDENTE

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 23/11/2013

37395. BALTIMORA-ADISTA. È una riaffermazione della tradizione la scelta del nuovo presidente della Conferenza episcopale statunitense, avvenuta il 12 novembre durante l’assemblea in corso a Baltimora. I vescovi, infatti, hanno eletto come successore del card. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, l’attuale vicepresidente mons. Joseph Kurtz di Louisville (Kentucky), e come suo vice il card. Daniel DiNardo di Galveston-Houston (Texas), già a capo della commissione episcopale pro-life e da un anno alla guida della Commissione per il Culto Divino. Una scelta ampiamente prevista, quella di Kurtz, ma non scontata perché ottenuta con il 53% delle preferenze al primo scrutinio (con 125 voti su 236) quando i candidati forti erano ben dieci; così come lo è stata quella di DiNardo, il cui nome è stato in ballottaggio con quello dell’arcivescovo di Philadelphia, il campione del conservatorismo mons. Charles Chaput, fino al terzo scrutinio, e che l’ha spuntata alla fine con 147 voti contro 87. Tre anni fa, alle ultime elezioni, Chaput aveva già perso contro Kurtz con un numero di voti sovrapponibile a quello attuale.

Con questa elezione, i vescovi hanno ripreso la consueta prassi della scelta del vice come nuovo presidente, prassi da cui si erano allontanati tre anni fa, con l’elezione, da parte di un folto numero di conservatori che si erano coalizzati, dell’“outsider” Dolan rispetto all’allora numero due mons. Gerald Kicanas di Tucson, Arizona. 


Un moderato che piace a molti

Ed è, oggi, una scelta di assoluta moderazione, quella compiuta dai prelati Usa, che hanno eletto due persone certamente non destinate a portare avanti «un cambiamento radicale», come ha commentato un ex portavoce della Conferenza episcopale, Russell Shaw. Kurtz ha avuto la meglio su un altro candidato forte, l’arcivescovo di Los Angeles mons. José Gomez, di origini messicane, che sarebbe stato il primo vescovo ispanico a guidare i vescovi Usa. Una sua elezione sarebbe stata un riflesso della sempre maggiore rilevanza della presenza ispanica, in continua crescita, all’interno del cattolicesimo statunitense, oltre che un segnale di attenzione verso il Sud del mondo. Ma non è andata così. E i vescovi hanno anche scartato personalità progressiste che avrebbero potuto lanciare un messaggio più inclusivo e più attento alle realtà di emarginazione e povertà.

Kurtz, che ha citato i suoi 12 anni da parroco come l’esperienza più formativa della sua vita, è stato in prima linea nella lotta al matrimonio gay. Pur citando, tra le priorità, la difesa dei poveri e degli immigrati, così come temi più tradizionali come la lotta all’aborto e all’eutanasia, Kurtz non ha fatto riferimento a iniziative precise, attenendosi, per ora, a indicazioni di massima. In ogni caso, commenta il columnist del National Catholic Reporter Michael Sean Winters (12/11), i vescovi hanno fatto una scelta pragmatica più che ideologica: «In realtà non vogliono qualcuno che abbia posizioni troppo spigolose». Kurtz, spiega, è gradito a moltissimi: «Non è considerato interno a fazioni o partiti e quindi è idealmente perfetto per guidare una Conferenza dominata, negli ultimi anni, dai conservatori, che ora deve vedersela con il richiamo di papa Francesco a concentrarsi su temi più di “sinistra”, almeno nel momento in cui si intersecano con la politica».

Nato in Pennsylvania, Kurtz ha esercitato il suo ministero nel campo dei servizi sociali, nella diocesi di Allentown e come coordinatore delle questioni legate alla sanità, prima di essere consacrato vescovo di Knoxville (Tennessee) nel 1999. Dal 2007 guida la diocesi di Louisville. 


Le reazioni

Se si vuole leggere l’elezione come una risposta all’appello di papa Francesco ad uno stile pastorale più vicino alle esigenze degli ultimi, le reazioni del mondo cattolico statunitense non sono troppo positive. Non si sentono sollevate le associazioni cattoliche impegnate nel ministero alle persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender, come New Ways Ministry, diretto da Francis DeBernardo e co-fondato da suor Jeannine Gramick. «Se è vero che non è detto che il futuro debba essere identico al passato, è anche vero che né Kurtz né DiNardo hanno lasciato buoni ricordi a chi è impegnato per i diritti lgbt», si legge in un articolo sul sito dell’associazione. Kurtz, infatti, ha guidato la commissione ad hoc della Conferenza episcopale per la difesa del matrimonio fino al 2010 ed è stato tra i tre firmatari di una lettera al Congresso contro l’Atto per la non discriminazione nel lavoro (Enda, vedi Adista Notizie n. 40/13); a livello locale, ha creato, suscitando non poco sconcerto in diocesi, Courage, gruppo cattolico di sostegno per correggere le inclinazioni sessuali, allo scopo di aiutare gay e lesbiche a vivere in castità, con un approccio simile a quello utilizzato per le tossicodipendenze. Allo stesso tempo, si è tenuto ben distante dalle parrocchie gay-friendly. Nel 2012, non ha dato il suo appoggio ad un progetto di legge locale per la non discriminazione di genere e identità sessuale. «Papa Francesco rappresenta un punto di svolta – ha detto DeBernardo al Pittsburgh Post-Gazette (12/11) – e i vescovi statunitensi sembrano invece applicare strategie superate».

«Su un fronte più ampio – scrive Rocco Palmo sul noto blog Whispers in the Loggia – dopo due presidenze risolute e di alto profilo che hanno amplificato esponenzialmente la voce dell’organismo episcopale a livello nazionale, il duo ora al comando è decisamente più pacato e bisognerà vedere che impatto avrà questo cambiamento sul livello e sul tono degli interventi della Conferenza». «La cosa più singolare – prosegue Palmo – è che sia il presidente che il suo vice sono stati parroci prima di diventare vescovi, ed è difficile ricordare l’ultima volta in cui ciò è accaduto».

Allo stesso tempo, osserva Winters sul National Catholic Reporter (12/11), l’insuccesso del campione del conservatorismo Chaput è solo relativo, dal momento che sia alla scorsa tornata che in quest’ultima, ha accumulato comunque una novantina di voti: «Ne consegue che c’è un numero rilevante di vescovi che ama l’approccio da guerra culturale. E se il nunzio vuole sapere quanti vescovi negli Stati Uniti non amano papa Francesco, ora lo sa con precisione: 87». (ludovica eugenio)

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