La Chiesa non è una dogana
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 2 del 18/01/2014
Anche se i termini per la consegna delle risposte al proprio vescovo sono scaduti lo scorso 31 dicembre, Adista prosegue la pubblicazione dei contributi che parrocchie, gruppi di base e singoli fedeli hanno elaborato a partire dal questionario predisposto del Vaticano in vista del Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia in programma per il mese di ottobre del 2014 (v. Adista Segni Nuovi n. 42/13). Riteniamo che la pubblicazione dei documenti elaborati dal “popolo di Dio” sia un contributo importante per la riflessione, il dibattito e lo sviluppo di una opinione pubblica nella Chiesa.
Dopo aver pubblicato i testi della Comunità San Francesco Saverio di Trento e del gruppo Chicco di senape di Torino (v. Adista Segni Nuovi n. 44/13), è oggi la volta della comunità parrocchiale della Resurrezione di Marghera (Ve). Nei prossimi numeri di Adista Segni Nuovi saranno pubblicati altri documenti. I lettori possono continuare ad inviare i loro testi a: info@adista.it.
Caro papa Francesco, abbiamo accolto con stupore e gioia il questionario che hai voluto inviare a tutte e tutti, senza escludere nessuno, per orientare meglio i lavori del prossimo Sinodo sulla famiglia, alla ricerca di quei “segni dei tempi” che ci aiutano a tradurre oggi il Vangelo di Gesù. È bello sentirsi non solo gregge ma soprattutto popolo, anche perché tu insisti che «il popolo è soggetto. E la Chiesa è popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. E l'insieme dei fedeli è infallibile nel credere» (19 agosto 2013).
Grazie per averci coinvolto su tante questioni impegnative che sono state spesso evitate, forse perché troppo complesse e soprattutto scomode. Ci sembra sia la prima volta che veniamo interpellati per interpretare quel sensum fidelium che ben cinquant'anni fa il Concilio ci raccomandava di non perdere (abbiamo capito che il sensum fidelium vuol dire che le decisioni e l'insegnamento della Chiesa deve sgorgare non solo dalla collegialità dei vescovi, ma anche dalla sinodalità dell'intero popolo di Dio, perché tutti insieme siamo la Chiesa!).
Ci siamo incontrati in parrocchia allargando l'invito a tutti, secondo lo spirito delle 38 domande e perché tu dici che «tutti devono sentirsi a casa in parrocchia».
Ma abbiamo capito che non bastava. Infatti stiamo imparando a conoscerti, e poiché ci ripeti che dobbiamo «uscire dalla parrocchia» e «accogliere e ascoltare tutti», abbiamo chiesto di parlarne a familiari e amici, per contribuire a questa risposta comune, in particolare avvicinando le persone che lo stesso questionario descrive, con partecipata sofferenza, «quelli che si sentono emarginati e vivono con sofferenza l’impossibilità di ricevere i sacramenti». Abbiamo portato il questionario nelle nostre case, dove questa sofferenza è ormai diffusissima ma purtroppo inascoltata. Dovremmo tutti avere quella tenerezza, anzi quella “rivoluzione della tenerezza” che impreziosisce ogni tuo gesto, da quel tuo prostrarti e lavare i piedi di due donne, di cui una musulmana, al tuo preferire di sederti ad ascoltare un giornalista ateo piuttosto che “pontificare” su folle cattoliche osannanti.
Ecco allora le nostre risposte, secondo un criterio di sintesi e accorpamento di alcune domande; soprattutto abbiamo cercato di dar voce a tantissimi che ci ostiniamo a definire “lontani” ma che, come ha detto Mimmo, «il Signore certamente ama senza porsi il problema se siano omosessuali o divorziati».
Con sincero amore per la Parola di Dio abbiamo risposto alle domande dalla n. 1 alla n. 14, rilevando che, se già si coglie una distanza tra il respiro del progetto d'amore di Dio annunciato nella Bibbia e la ristrettezza della sua traduzione nell'insegnamento ufficiale della Chiesa, da tempo è diventata ancora più profonda un'altra distanza: tra la dottrina ufficiale e il sentire e il vivere dei credenti, anche quelli più vicini. Ma ora prevale in noi la gioia di aver ricevuto te, Francesco, che stai inaugurando uno stile più attento e rispettoso, a cui ci auguriamo che si ispiri una nuova pastorale della famiglia.
Con forte desiderio di partecipare alla sofferenza di tante sorelle e fratelli, abbiamo risposto alle domande dalla 15 alla 20 affermando che, anche se non si può stimare una percentuale numerica, una grande maggioranza dei giovani convive prima del matrimonio. Anche nella nostra comunità esistono le unioni libere di fatto, ma non sappiamo fornire un dato numerico né statistico. Sono comunque una realtà diffusissima. Ma Patrizia e Alessandro aggiungono che «sono molti di più quelli che potrebbero partecipare ma non lo fanno perché vedono la Chiesa non come comunità accogliente ma come un club di osservanti per entrare nel quale non sentono di avere i requisiti richiesti».
I separati e i divorziati risposati partecipano alla vita della parrocchia anche se in chiesa leggiamo nei loro volti la tristezza di sentirsi giudicati e non pienamente accolti. Tu, Francesco, sei stato chiarissimo nella Evangelium Gaudium, dicendo che «nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi».
Secondo noi è necessaria un’attenzione nuova nei confronti di ogni singola persona, accolta senza il giudizio di una morale che non può essere «un elenco di peccati e di errori» . Nelle comunità dovremo lavorare assieme moltiplicando le occasioni di dialogo.
Sì, caro Francesco, proprio così come scrivi alle domande 19 e 20, sappiamo bene quanto le persone divorziate e separate vivano con sofferenza la loro esclusione e con quanta sussurrata nostalgia vorrebbero avvicinarsi ai sacramenti. Ce ne accorgiamo soprattutto nei genitori dei ragazzi che frequentano la catechesi.
Tutti dobbiamo riscoprire il significato dei Sacramenti e anche in questo le tue parole sono già l'inizio di un inedito e attesissimo nuovo atteggiamento della Chiesa: «L'Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (Evangelii gaudium, 47).
Con trepidazione e in punta di piedi abbiamo provato a riflettere insieme sulle domande 21 e 22. Ovviamente non conosciamo tutte le lunghe procedure di questo penoso processo di annullamento ma, come ha detto Luciano, «ci sembra che la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale non risolva certo tutti i problemi».
In Italia non esiste una legge sul riconoscimento delle unioni di persone dello stesso sesso e ci sembra comunque che la priorità resti quella di considerare sempre come primaria la dignità di ogni persona. Nell'auspicio che siano eliminate alla radice tutte le insopportabili discriminazioni nei confronti delle sorelle e dei fratelli omosessuali, ci ha dato coraggio ricordare quel tuo chiarissimo punto interrogativo che ha sciolto secolari e pesantissimi giudizi: «Se uno è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarlo?» (28 luglio 2013).
Consapevoli di dover appena accennare a questioni complesse e soprattutto a drammi personali, abbiamo risposto alle ultime domande affermando che, nel caso di unioni fra persone dello stesso sesso che abbiano adottato figli, ci vorrebbe una grande attenzione all’educazione dei piccoli. Ci sono situazioni e richieste diverse da parte dei genitori che si rivolgono alla Chiesa e più che una regola uguale per tutti è urgente la misericordia che tu, Francesco, continuamente invochi, perché «Dio mai si stanca di perdonarci, mai! E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti» (17 marzo 2013).
Delicate ma necessarie sono le domande dalla 31 alla 36, alle quali rispondiamo augurandoci che un'anacronistica e insostenibile dottrina sugli anticoncezionali debba lasciare il posto alla più evangelica generazione responsabile e generosa, nel costante rispetto per la donna e con una più accurata educazione all'amore per i nostri giovani.
Insomma, caro Francesco, la nostra risposta più sintetica la rubiamo proprio dalla tua Esortazione apostolica, che hai voluto ricamata di gioia e speranza per tutti. Per questo Mimmo, sposo di Franca e papà di due giovani che hanno voluto contribuire a questa risposta comunitaria, che è finanziere e se ne intende...ci ha convinti ad intitolare la nostra lettera con la tua indiscutibile espressione: «La Chiesa non è una dogana!».
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