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Sotto il segno della profezia: l’incontro delle Comunità ecclesiali di base in Brasile

Tratto da: Adista Documenti n° 5 del 08/02/2014

DOC-2592. JUAZEIRO DO NORTE-ADISTA. È stata, come sempre, una grande festa di popolo, del popolo organizzato nelle Comunità ecclesiali di base (CEBs) di tutto il Brasile e non solo. E con una nota di ottimismo in più: il 13° Incontro interecclesiale (come viene chiamato il raduno nazionale delle CEBs) svoltosi a Juazeiro do Norte, nello Stato del Ceará, dal 7 all’11 gennaio, sul tema “Giustizia e Profezia a servizio della vita” - il più partecipato di sempre, con i suoi oltre 4mila delegati (rispetto ai 3mila del 12° incontro) -, ha infatti risentito, rispetto ai precedenti, dell’attuale e più aperto clima ecclesiale. Tant’è che, per la prima volta nella storia di questi incontri, è giunto anche il messaggio di saluto del papa, il quale ha ricordato come le CEBs portino «un nuovo ardore evangelizzatore e una capacità di dialogo con il mondo» tali da poter rinnovare la Chiesa, pur precisando come per questo sia necessario che esse «non perdano il contatto con questa realtà molto ricca della parrocchia locale e che si integrino di buon grado nella pastorale organica della Chiesa particolare». Precisazione, del resto, in linea con il Documento di Aparecida, quello della V Conferenza dei vescovi latinoamericani del 2007, il quale aveva espresso un convinto riconoscimento delle CEBs, ma ridimensionato, nella versione ufficiale con il placet di Benedetto XVI, dall’insistenza sul loro inserimento all’interno delle parrocchie. Non nuovo invece, ma sicuramente convinto, l’appoggio dei vescovi presenti all’incontro - ben 72, rispetto ai 56 del precedente Interecclesiale -, i quali, in una lettera al popolo di Dio, hanno rivolto alle CEBs la loro «parola di speranza e di incoraggiamento», riconoscendo in esse «il modo, antico e nuovo, di essere Chiesa».

 
La presenza profetica della Chiesa nel mondo

Nate all’inizio degli anni ’60 come piccoli gruppi di persone di uno stesso centro abitato impegnati a leggere la realtà alla luce della Parola di Dio, generando così una nuova coscienza nelle fasce popolari attorno alla necessità di trasformazione sociale, le CEBs si sono affermate come un modo di essere Chiesa segnato dalla priorità, secondo la celebre espressione di Leonardo Boff, del carisma sull’istituzione. E sono diventate presto una minaccia per il potere, che vedeva in esse il rischio di infiltrazione comunista nella Chiesa.

Il nuovo modo di essere Chiesa delle CEBs - nuovo e allo stesso tempo antico, richiamando esplicitamente il modello delle prime comunità cristiane - si esprimeva in una spiritualità incarnata, vissuta a partire dalle sfide del territorio; nella dimensione comunitaria, quindi nella corresponsabilità, nell’uguaglianza fraterna, nella partecipazione (compresa naturalmente quella delle donne, anche a livello decisionale); nella riflessione sulla Parola di Dio. E, soprattutto, nell’opzione per i poveri, traduzione necessaria del nesso inscindibile tra fede e vita, tra preghiera e militanza, tra mistica e impegno. Un confronto, quello tra i fatti della vita e i fatti della Bibbia, che, grazie al metodo del “vedere-giudicare-agire”, aveva trasformato le CEBs in una sorta di scuola di politica, rendendo possibile la nascita di una nuova generazione di militanti.

Finché, con l’involuzione ecclesiale e il conseguente abbandono da parte dei vescovi, non hanno cominciato a levarsi voci critiche sulla perdita di dimensione profetica, sull’apatia politica, sul progressivo allontanamento dal mondo degli esclusi: le CEBs – si è iniziato a dire sempre più spesso – sono in crisi di identità, meno impegnate politicamente, più dedite alla spiritualità, meno di frontiera. Le comunità, tuttavia, non hanno mai smesso di esercitare un ruolo attivo nella società, prendendo parte a lotte, mobilitazioni e campagne nazionali. E se c’è stato indubbiamente il tentativo di inquadrarle all’interno delle strutture ecclesiastiche tradizionali, esse hanno comunque assicurato uno spazio popolare di intensa partecipazione dei cristiani, di testimonianza di fraternità concreta, di impegno nella trasformazione della società, non senza operare anche un riscatto delle radici culturali indigene e nere, grazie a cui è stato possibile vivere con naturalezza e vitalità spirituale la cosiddetta “doppia appartenenza”, alla Chiesa cattolica e alle religioni afroindigene. E, pur avendo perso rilevanza e visibilità, le CEBs hanno mantenuto un vincolo talmente forte con le lotte popolari, con le organizzazioni sociali che esse stesse hanno contribuito a creare, da non riuscire più a distinguersi facilmente – e ciò spiega in parte la loro perdita di visibilità nei mass media – all’interno delle diverse mobilitazioni.

Resta ora da vedere se, nel clima nuovo instaurato da papa Francesco, le CEBs riescano a recuperare lo slancio necessario per conservare, come evidenzia Roberto Malvezzi (Alai, 13/1), «l’ispirazione originaria delle prime comunità in un mondo in incommensurabile trasformazione». Per tornare a essere, come ha scritto dom Tomás Balduino (per la prima volta costretto dalle sue condizioni di salute a saltare l’incontro) in una lettera ai partecipanti, la presenza profetica della Chiesa nel mondo, impegnandosi più profondamente nella politica di trasformazione del Paese. E diventare il modo normale di essere Chiesa, di una Chiesa plurale, partecipativa, fraterna, impegnata con la causa dei poveri, della Madre Terra, di tutta la comunità dei viventi.

Di seguito, in una nostra traduzione dal portoghese, alcuni stralci della Lettera finale del 13º Interecclesiale al popolo di Dio, un commento del teologo Marcelo Barros, il messaggio di dom Pedro Casaldáliga ai partecipanti, il saluto del papa e la lettera dei vescovi presenti all’incontro. (claudia fanti)

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