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La nuova Tangentopoli

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 20 del 31/05/2014

C’è un filo rosso che lega la pratica diffusa della corruzione, scoperchiata da Tangentopoli nel 1992/93, con gli avvenimenti delle ultime settimane che hanno fatto emergere a Milano una nuova cupola organizzata per il controllo degli appalti pubblici. A collegarci agli eventi di 20 anni fa, l’affiorare, nelle inchieste, degli stessi nomi di personaggi già allora inquisiti, arrestati e condannati, in quanto attori di quel sistema corruttivo che controllava gli appalti pubblici, deviando un fiume di denaro nelle tasche dei partiti politici e dei loro gruppi dirigenti. All’epoca, le inchieste della magistratura coinvolsero i vertici dei partiti che condividevano responsabilità di governo, e destrutturarono la classe dirigente, aprendo la strada ad un possibile risanamento delle istituzioni e dell’etica pubblica nel nostro Paese.

Oggi dopo 20 anni dobbiamo constatare amaramente che nulla è cambiato, che le funzioni pubbliche continuano ad essere usurpate, o quanto meno condizionate, per realizzare illecitamente profitti privati e rafforzare situazioni di potere del ceto politico-affaristico.

In realtà le cose non potevano andare diversamente. 

Se la magistratura ha (almeno parzialmente) spazzato via una classe dirigente corrotta, il risanamento della vita pubblica solo la politica lo poteva attuare.

Invece in questi 20 anni il mantra ossessivamente ripetuto dai “nuovi” dirigenti politici, emersi con la galassia di Forza Italia, è stata la ricerca di soluzioni di ogni tipo per alterare l’equilibrio dei poteri e rendere il capo politico e la sua corte impermeabile ad ogni forma di controllo politico, ma soprattutto al controllo di legalità. 

Così il Parlamento, grazie alle riforme elettorali, è stato trasformato in un’assise di pretoriani (o un bivacco di manipoli) che hanno incrociato i ferri con la magistratura, il presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale, per rivendicare l’immunità per il capo politico e la sua corte. E ciò è avvenuto, sia direttamente, attraverso le leggi ad personam che impedivano alla magistratura di procedere, sia indirettamente, con un coacervo di interventi sulle leggi penali e processuali, che, attraverso la riduzione dei termini di prescrizione ed il “taglio” di alcuni reati come il falso in bilancio, nonché seminando impedimenti vari (come il divieto del pm di proporre appello in caso di proscioglimento dell’imputato, o l’impedimento ad effettuare intercettazioni), avevano il solo ed unico scopo di appassire il controllo di legalità e ampliare l’area dell’impunità per i reati dei colletti bianchi.

Gli abusi delle funzioni pubbliche si sono spinti fino a costringere il Parlamento a sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti della magistratura fondato sul presupposto che Ruby fosse la nipote di Mubarak!

E l’insofferenza per ogni forma di regolamento amministrativo del regime degli appalti si è concretizzata con le vicende della Protezione civile che hanno visto crescere a dismisura l’area dell’intervento di emergenza che consentiva di realizzare opere faraoniche ed inutili (come quelle realizzate alla Maddalena per il G8 che non c’è stato) sottratte alle procedure che regolano l’affidamento degli appalti pubblici.

Del resto che ci sia un collegamento diretto fra la “nuova” classe dirigente emersa dopo le vicende di Tangentopoli e la vecchia, travolta dagli scandali, non lo dimostra soltanto la vicenda personale di Berlusconi che ha visto crescere il suo potere aziendale all’ombra di Craxi, ma è stato rivendicato apertis verbis dallo stesso Berlusconi.

Nella conferenza stampa di presentazione della cosiddetta “riforma epocale” della giustizia, annunciata nel marzo del 2011 dal suo governo (e per esso dal ministro della giustizia dell’epoca, Alfano), Berlusconi disse che se fosse stato in vigore questo nuovo ordinamento della giustizia non ci sarebbe stata «l'esondazione, l'invasione della magistratura nella politica e quelle situazioni che hanno portato nel corso della storia degli ultimi 20 anni a cambiamenti di governo, a un annullamento della classe dirigente nel '93».

In sostanza Berlusconi, con l’impudenza che lo contraddistingue, si è rammaricato che in passato l’autorità giudiziaria abbia smantellato un sistema di corruzione organizzato e gestito dal ceto politico dirigente dell’epoca ed ha proposto una riforma allo scopo di impedire che le nuove classi dirigenti politiche possano subire l’onta del controllo di legalità. 

Se oggi un ex ministro dell’Interno è in galera per aver favorito la fuga di un imprenditore, deputato di Forza Italia per tre legislature, condannato per concorso esterno con associazioni mafiose e se uno dei fondatori di Forza Italia, anch’egli condannato per concorso esterno, è in procinto di essere estradato in Italia per scontare la sua pena, ciò è accaduto perché la “riforma epocale” della giustizia non è mai entrata in vigore e vige ancora il regime dell’indipendenza della magistratura garantito dalla tanto vituperata Costituzione italiana. 

Ma non vengano a raccontarci che la nuova dimensione della corruzione che sta emergendo con le ultime vicende giudiziarie sia frutto di mere devianze individuali. 

Una politica infetta inquina le istituzioni e fa dilagare la corruzione ed ogni altra forma di malcostume che sia funzionale al ceto politico. La ripetizione, sotto altra forma, dello stesso sistema corruttivo, smantellato 20 anni fa, ci dimostra che, se è essenziale il controllo di legalità, non è dalla magistratura che può venire la salvezza, ma solo dalla politica. A patto di cambiare completamente registro.

* Giudice presso la Corte di Cassazione

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