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Dalla legge della giungla all’Utopia dei Diritti Umani. L’Agenda Latinoamericana compie 24 anni

Tratto da: Adista Documenti n° 36 del 18/10/2014

DOC-2661. ROMA-ADISTA. Quanto i diritti umani siano quotidianamente e universalmente calpestati è sotto gli occhi di tutti. Eppure, persino in un’epoca di dilagante mercificazione, privatizzazione e finanziarizzazione dei beni e dei servizi essenziali per la vita, non si può non considerare quanta strada abbia percorso l’umanità sul terreno della coscienza - del sogno, della causa, dell’Utopia - dei diritti umani. Ed è proprio questo il tema scelto per il 2015 dall’Agenda Latinoamericana, opera aconfessionale, ecumenica e macroecumenica che, con questa edizione, raggiunge il 24o anno di vita, fedele, anno dopo anno, secondo le parole di José Maria Vigil, che ne è l’ideatore insieme a dom Pedro Casaldáliga, «all’appuntamento con la militanza di spirito con la Patria Grande, Patria Mondiale, verso la Patria Maggiore» (www.latinoamericana.org).

Impossibile, è vero, non nutrire qualche sospetto riguardo al discorso sui diritti umani, considerando che, come sottolinea il teologo brasiliano Marcelo Barros, ad invocarli più spesso, negli ultimi decenni, sono stati gli imperi occidentali («In nome della democrazia, dei diritti umani e persino della civiltà cristiana, il governo degli Stati Uniti - scrive - ha invaso Paesi, assassinato persone e distrutto culture e civiltà umane»). E considerando anche che, come sottolinea Michael Ramminger dell’Istituto di Teologia e Politica di Münster, i diritti politici individuali continuano ad avere nettamente la priorità sui diritti sociali: non a caso, è la mancanza di libertà a offrire il pretesto per interventi militari in alcuni Paesi, mai la mancanza di uguaglianza, come «per esempio la povertà o la carenza di assistenza medica». E ciò malgrado la libertà e l’uguaglianza siano «due esigenze e necessità simultanee», in quanto «dove manca l’uguaglianza manca anche la libertà, e viceversa», cosicché «più che due facce di una medaglia, esse sono “ugualibertà”». 

E se, come afferma ancora Ramminger, «la storia dei diritti umani è la storia della lotta per i diritti umani, per il loro allargamento, reinterpretazione e generalizzazione», di certo non si tratta di un percorso lineare: basti pensare al venir meno dell’obbligo di garantire «l’uguaglianza di tutti gli esseri umani rispetto ai diritti (che sono, per l’appunto, universali, indivisibili e imprescrittibili)» che, come ricorda Riccardo Petrella, fondatore dell’Istituto Europeo di Ricerca sulle Politiche dell'Acqua (Ierpe), gli Stati avevano assunto «nella quasi totalità delle Costituzioni del XX secolo». Obbligo sostituito dal principio, imposto dai poteri dominanti, che i costi di quelli che un tempo erano considerati diritti e che ora sono declassati al rango di “bisogni” devono essere coperti dai “consumatori” dei beni e dei servizi necessari a soddisfarli. Con conseguente passaggio «da una società fondata sui diritti di tutti i cittadini, il cui costo è finanziato dalla collettività attraverso la fiscalità generale e specifica, a un’economia fondata sui bisogni vitali variabili a seconda dell’utilità individuale e finanziati dai consumatori pagando un prezzo». E con conseguente affermazione di una nuova cultura dei diritti che, come sottolinea Emilio Molinari, presidente del Comitato Italiano per un Contratto Mondiale sull'Acqua (Cicma), «da umani diventano diritti delle imprese transnazionali»: non per nulla poco più di 10 multinazionali controllano gran parte di tutto ciò che mangiamo o beviamo, «espropriando i contadini e le comunità rurali, i cittadini e i Comuni di ogni funzione (anche quella di cucinarsi il cibo)». Con in più «la mistificazione culturale secondo cui nella tecnologia sta la chiave per risolvere i problemi della fame e della sete del Mondo e nei padroni della tecnologia i candidati ideali a svolgere tale compito»: mistificazione che nasconde il fatto che «produciamo 1/3 del cibo in più di quello necessario e ne buttiamo via 1/3. Che mentre manca nelle favelas l’acqua potabile e ai contadini l’acqua per coltivare, Coca Cola e le multinazionali d’ogni tipo si accaparrano l’acqua per i loro prodotti restituendola inquinata. Che Nestlè compra e distrugge foreste per produrre olio di palma e Las Vegas consuma 1400 litri al giorno per persona».

Tuttavia, «la ricerca di forme più giuste, più libere, più democratiche di vivere insieme» non si arresta mai, né può arrestarsi: troppo forte la spinta di quella forza misteriosa che, come ricorda Pedro Casaldáliga nella sua “Introduzione fraterna”, lavora nel profondo della storia, sollevando l’essere umano dalla legge della giungla, guidando l’evoluzione della nostra coscienza umana verso orizzonti di piena dignità, accompagnando la nostra consapevolezza che «non siamo arrivati, siamo in cammino e non smetteremo di avanzare». 

E la nostra stella polare in questo viaggio è proprio l’Utopia dei Diritti Umani, la cui piena e integrale realizzazione rappresenterebbe davvero il coronamento di tutte le lotte, le ribellioni, le rivoluzioni a cui il meglio dell'umanità ha dato vita nel corso della storia. Diritti umani e non solo, perché non è più possibile, oggi, in piena emergenza ambientale - dinanzi al rischio di una nuova estinzione di massa, causata stavolta dall’azione umana - pensare di difendere i diritti degli esseri umani e in particolare dei più poveri - i quali peraltro, evidenzia il sociologo brasiliano Ivo Poletto, pur non avendo quasi nulla a che vedere con il riscaldamento globale sono proprio quelli che ne pagano maggiormente il prezzo - senza riconoscere e rispettare i diritti della natura, della Madre Terra, della Pacha Mama. Di più: senza abbandonare il vecchio paradigma antropocentrico e occidentecentrico che ci ha trasformato in predatori planetari, per assumere una nuova mentalità biocentrica orientata al buen vivir e al buen convivir, la visione di un’alleanza globale dell’essere umano con il pianeta e con tutta la grande comunità di vita. Per riorientare, insomma, le nostre priorità e le nostre azioni e «reinventarci come specie», secondo le parole del grande ecoteologo Thomas Berry, prendendo atto che, come evidenzia la Carta della Terra, «siamo un'unica famiglia umana e un'unica comunità terrestre con un destino comune».

Di seguito, l’“Introduzione fraterna” di Pedro Casaldáliga, la riflessione del cileno David Molineaux sul diritto della natura e quella di Salvatore Settis sul diritto al paesaggio (l’Agenda, la cui edizione italiana è curata dal Gruppo America Latina della Comunità Sant’Angelo, da Adista e dal Sal, può essere richiesta ad Adista, tel. 06/6868692, e-mail: abbonamenti@adista.it, oppure acquistata online sul sito www.adista.it). (claudia fanti)

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