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L’ALTRA ITALIA CHE SCEGLIE DI “CANTARE” ASSIEME. UN LIBRO DI ARNALDO NESTI

Tratto da: Adista Notizie n° 40 del 15/11/2014

37866 ROMA-ADISTA. Un libro sul mancato ethos civile degli italiani, che l'autore tenta di individuare ricercandone le labili tracce nel sottile fil rouge che attraversa la storia del nostro Paese. E che propone all’attenzione dei suoi lettori per dare voce (e, soprattutto, gambe) alla speranza. Come a dire che se a oltre 150 anni dall’Unità d’Italia gli italiani non si lasciano ancora “fare”, molto da fare ancora resta. Anche se – come sottolinea Marco Politi nella prefazione – i nostri concittadini restano in gran parte persi dentro una visione frammentata e campanilistica (a volte personalistica) della realtà che impedisce loro di cantare all’unisono, insistendo a cantare ognuno per conto proprio, o al massimo a cantare la canzone del proprio clan sportivo, di affari, di micro-interessi politici. E allora, riprendendo il celebre brano di Toto Cutugno, Lasciatemi cantare. L'ethos diffuso degli italiani. Spunti di storia e antropologia sociale (Gabrielli Editori, pp. 162, € 13; il libro può essere acquistato anche presso Adista, scrivendo ad abbonamenti@adista.it; telefonando allo 066868692; o attraverso il sito) più che essere semplicemente il libro di uno studioso che tanta parte ha avuto nella storia degli studi sociali e religiosi del ‘900, costituisce soprattutto il tentativo di ripercorrere quelle ragioni storico sociali che hanno sinora impedito la realizzazione di uno spirito realmente unitario (in Aristotele ethos è infatti il “costume di un popolo” e comprende non solo le qualità morali, ma anche quelle conoscenze e competenze che costituiscono la tendenza di fondo a comportarsi in un certo modo). 

L’autore, Arnaldo Nesti, sociologo particolarmente esperto delle dinamiche religiose, guarda al passato non solo nel modo con cui lo farebbe il rigoroso e documentato studioso; piuttosto, con il piglio dell’appassionato osservatore delle vicende del Paese, di colui che cerca di capire, per meglio vincerla, quella mentalità diffusa e radicata che – afferma Nesti stesso nell’introduzione – vuole l’individuo come «ultimo criterio di validità di ciò in cui crede», in un contesto «di qualunquismo diffuso e di menefreghismo conclamato» di fronte al quale la semplice indignazione non è sufficiente. «Occorre – scrive infatti Nesti – tenere salda la spina dorsale, lucido il giudizio critico, resistere alle folate del vento delle lusinghe». Perché il riscatto, secondo l’autore, può partire proprio da lì, dalla lucida analisi delle piaghe (l’autore riprende in fatti la celebre immagine di Rosmini) della società italiana. Nesti conduce quindi la sua analisi individuando quelle personalità che dal Risorgimento in poi hanno viaggiato in direzione contraria al senso comune, all’atomizzazione ed alla frammentazione che ha impedito la reale nascita di un ethos diffuso, testimoniando un modo di vivere diverso, inteso «come stare assieme comunitario». Dall’ascolto di queste testimonianze, e dal giusto risalto che è necessario dare a quelle esperienze «affiora – sostiene Nesti – un’altra lettura della Storia: di quegli uomini e quelle donne che hanno sperato, combattuto, sofferto e qualche volta vinto, da anonimi, senza enfasi retorica, senza retorica. Ecco quindi che – mentre il libro di Nesti ripercorre rapidamente, per essenziali ma efficaci pennellate, le vicende che dall’Unità d’Italia portano al fascismo attraverso l’età giolittiana e la Grande Guerra (intense le pagine dedicate alle canzoni al fronte, anima del sentimento popolare che ha attraversato quella immane tragedia), per poi passare agli anni della Resistenza e della ricostruzione, della società di massa secolarizzata e del Concilio, della rivolta e del cosiddetto “dissenso”, fino agli anni della progressiva normalizzazione della società italiana sia a livello politico che ecclesiale – dal libro si stagliano via via personalità come quelle di D’Azeglio e Labriola, di Gobetti e Gramsci, di Dossetti e Maritain, di Pasolini e La Pira. Ma anche figure meno note, eppur non meno significative per la nostra storia politico-religiosa, che Nesti ha il merito di raccontare a chi non le ha conosciute. Come quella di Corrado Corghi, reggiano, classe 1920, partigiano e dirigente della Democrazia Cristiana, fino alla rottura, datata 1968, con il suo partito, a causa dei dissensi sulla politica di allineamento acritico verso gli Usa della Dc e della frontale contrapposizione della Guerra Fredda. Scelta da cui scaturì il progressivo avvicinamento di Corghi alla sinistra, analogamente a quanto stavano facendo o avevano già fatto altri autorevoli dirigenti democristiani, da Vladimiro Dorigo a Lidia Menapace. 

Coerentemente a tutto l’impianto del suo lavoro di studioso-militante Nesti, nelle sue conclusioni finali, rilancia il famoso grido-appello «su fratelli, su compagni, su venite in fitta schiera» (canzone partigiana e inno della Brigata Garibaldina Antonio Gramsci), chiama cioè all’impegno realmente comune delle tante energie e risorse morali ed intellettuali del Paese, «per ravvivare legami, memorie, passioni e speranze disseminate negli anni, nonostante tutto, per un’Italia altra». (valerio gigante)

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