Lo spirito che geme in tutti gli esseri
Tratto da: Adista Documenti n° 46 del 27/12/2014
Un’autentica spiritualità è essenzialmente ecologica, che sia religiosa o meno. Una spiritualità ecologica è necessariamente liberatrice e una spiritualità liberatrice è necessariamente ecologica. E solo una vita ecologica e liberatrice è realmente “spirituale”, indipendentemente dal fatto che sia o meno rivestita di credenze, norme e riti che definiamo religiosi.
1. LO SPIRITO CHE INTERCEDE E GEME
«Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26). Questa frase di Paolo indica gli elementi fondamentali di un’eco-spiritualità liberatrice.
Lo spirito, lo Spirito. Con la maiuscola o la minuscola poco importa, in quanto tali distinzioni, come tante altre, dipendono solo dai nostri schemi mentali. Lo Spirito lo riconosciamo in tutto, e le diverse culture lo chiamano con nomi diversi: la ruah ebraica, la dynamis greca, il prana vedico, il qi cinese, il musubi giapponese, il mana maori, il pu-am mapuche, il nyama africano… Riverenza e gratitudine per l’energia misteriosa, il respiro profondo, l’impulso inarrestabile che abita in tutti gli esseri!
Intercede per noi. Intercede per caso presso “Dio”? Paolo lo immaginava sicuramente così, ma è credibile un “Dio” sovrano separato dal mondo, a cui avremmo accesso mediante intercessori? Parlare è sempre limitare l’infinito e la spiritualità significa restituire all’Infinito la sua infinitezza, dando ampiezza e respiro a tutte le creature, e anche alle parole. Lo Spirito non “intercede per noi” presso un Essere Supremo, ma è, piuttosto, l’“intercessione”, la prossimità e la compassione che costituisce tutti gli esseri nel nostro essere più profondo, “divino”. Ma come intercederà lo Spirito per noi se non in noi e attraverso di noi? Come consolerà le creature nella loro desolazione se non attraverso la nostra consolazione? Come le libererà o ci libererà se non le liberiamo, se non ci liberiamo? Come sarà un’intercessione universale se non inter-siamo, inter-agiamo e inter-veniamo gli uni per gli altri? Come sarà “Dio” nel nostro mondo se non costruiamo l’umanità e il pianeta come una grande intercessione interrelata a immagine dello Spirito universale? Solo allora sapremo «cosa sia conveniente domandare», a immagine dello Spirito che respira, sente e prega in tutti gli esseri.
Con gemiti ineffabili. Prega e geme, più in là e più in qua delle parole, che sempre delimitano e molte volte soffocano. Lo Spirito prega gemendo con la vita stessa. A volte, come la vita stessa, gemiamo di piacere e a volte gemiamo di dolore.
Le parole spesso non arrivano, spesso sono superflue. Succede in particolare con le parole che chiamiamo “religiose”. La spiritualità ecoliberatrice non è questione di parole – dogmi, riti, norme –, ma del fatto di sintonizzarsi nel profondo – cuore e sentimento, pensiero e azione – con il gemito della creazione, dall’atomo alle galassie, dai batteri ai boschi, dal verme alle scimmie (che siamo). È lo stesso gemito, fatto di dolore e di piacere, che percorre tutta la creazione. Tutto il cosmo, e in particolare questo piccolo pianeta azzurro e verde, questo nostro meraviglioso pianeta vivente, è attraversato da un brivido di gioia profonda – quest’acqua ridente che scorre nel ruscello, queste foglie di betulla che dondolano nell’aria, queste rondini che volano ininterrottamente e anche – oh, anche! – da un brivido di dolore indicibile: gli animali uccidono per sopravvivere, l’essere umano uccide più di ogni altra specie; 24mila esseri umani muoiono ogni giorno di fame (quasi 9 milioni ogni anno), e non perché nel pianeta non vi sia (ancora) quanto basta per tutti, ma perché mille famiglie umane possiedono il 60% dei beni del pianeta, e tutto è nella stessa proporzione. Come può lo Spirito non gemere di piacere! Come può non gemere di dolore! E in cosa potrebbe consistere la spiritualità se non nel far proprio – con la religione o senza – il gemito ineffabile dello Spirito?
2. AL DI LÀ DI UNA BIBBIA ANTROPOCENTRICA E PATRIARCALE
Le grandi tradizioni religiose dell’umanità ispirano e suscitano ancora una spiritualità ecologica, liberatrice, femminista, pluralista…? Ecco la sfida. Ecco il criterio di tutto ciò che chiamano rivelazione “divina” o verità ricevuta “dall’alto”. È vero solo quello che scioglie catene, permette di respirare, apre alla riverenza e alla comunione tra tutti gli esseri.
È vero che tutte le religioni sono nate, da un lato, dal riconoscimento profondo della sacralità e della comunione tra tutti gli esseri e, dall’altro, dalla coscienza dell’oppressione e della speranza di liberazione universale. Ma salta agli occhi il fatto che tutte le religioni, in diversi gradi e modi, sono state antiecologiche e antiliberatrici: antispirituali. Che tutte necessitano di una profonda autocritica, di una revisione dei dogmi e delle norme tradizionali di condotta, e soprattutto di una rilettura dei testi originari.
Mi riferirò più direttamente alla Bibbia, testo fondante della tradizione giudaico-cristiana che ha segnato anche l’islam. Molti ritengono che la tradizione biblica sia la responsabile principale del disastro ecologico provocato dall’umanità, avendo posto così radicalmente l’essere umano (...) al centro del cosmo, unico vivente creato a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,27), immagine unica del Dio unico, padrone e signore di tutti gli esseri (...), luogotenente unico dell’onnipotenza divina. Il Salmo 8 rappresenta la massima esaltazione dell’essere umano: «Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi» (Sal 8,6-7). (…).
Millenni fa, in Medio Oriente, gli esseri umani avevano imparato a coltivare la terra, per produrre di più e potersi “moltiplicare” (crescete e moltiplicatevi; Gn 1,28), trasformandosi in padroni e signori della terra. Ma tutto ha un prezzo. Quando gli esseri umani sono diventati signori della Terra si sono trasformati in schiavi gli uni degli altri. L’uomo ha sottomesso l’uomo e soprattutto la donna. (…). L’antropocentrismo si è tradotto spontaneamente in androcentrismo. (…).
Dovremmo allora lasciare da parte la Bibbia come testo antiecologico e oppressore, incompatibile con la spiritualità? Non ve ne è motivo. La Bibbia – e questo vale per tutti i “testi sacri” delle tradizioni religiose o spirituali in generale – può ancora essere fonte di ispirazione, ma solo a condizione di leggerla in altro modo. A condizione di assumerla come il testo umano e storico che di fatto è, un testo contingente di altri tempi e di altra/e cultura/e. A condizione di rileggerla a partire dai segni e delle sfide attuali dello Spirito. A condizione di lasciarci ispirare dallo Spirito che soffia nella lettera, al di là della lettera. E a condizione di riscattare le ragioni eco-spirituali – numerose – presenti nella Bibbia, al di là di formulazioni e interpretazioni che oggi risultano soffocanti e oppressive. È allora che la Bibbia potrà ancora ispirarci.
3. UN MONDO INTERRELATO IN COSTANTE AUTOCREAZIONE
I grandi monoteismi di origine biblica (giudaismo, cristianesimo, islam) hanno ereditato la cosmovisione dell’antico Medio Oriente (Mesopotamia, Egitto, Canaan), e i loro dogmi, riti e istituzioni fondamentali restano legati a quella antica immagine del mondo: un mondo creato da Dio in maniera definitiva, con l’essere umano al centro; un mondo caduto in disgrazia per la disobbedienza dei “primi padri”; un mondo retto da Dio attraverso profeti, mediatori o portavoci della verità e del bene assoluti; un mondo in cui Dio interviene quando vuole per punire o curare; un mondo che un giorno, quando Dio lo vorrà, scomparirà per lasciar spazio a un altro mondo eterno e duplice: il cielo dei giusti e l’inferno dei malvagi.
Non disprezziamo nessuno di questi miti del passato. Non siamo superiori agli antichi. Essi cercarono i modi possibili per dire il Mistero, alleviare le pene, proteggere la vita, conservare lo spirito. Non siamo più spirituali di loro o più rispettosi della natura o più liberi dall’ignoranza e dai poteri che ci opprimono. (…). Ma il loro mondo non è più il nostro e pertanto la loro religione non può essere la nostra. Come loro, abbiamo bisogno di spiritualità nella giustizia e nella pace con noi stessi, con gli altri, con tutti gli esseri, ma dobbiamo viverla coerentemente con la nostra cultura e la nostra visione del mondo.
In appena 200 anni, le diverse scienze hanno smantellato la cosmovisione che per millenni ha sostenuto le grandi religioni e la spiritualità dei loro seguaci: l’uomo non è superiore alla donna, l’essere umano non è il centro della terra, la terra non è il centro dell’universo, e l’universo che vediamo forse non è l’unico, perché forse sono esistiti altri universi prima di questo o forse coesistono oggi con esso in dimensioni che non percepiamo. Questo universo che vediamo – tutto lo spazio e il tempo che possiamo osservare direttamente o calcolare matematicamente – proviene da una gigantesca esplosione di una massa infinitamente piccola e densa, e da allora tutto continua a espandersi. La materia è energia in movimento. Tutto danza. Nella misura in cui la “materia” si organizza o si relaziona in modo più complesso, da ciò che chiamiamo “inferiore” sorge il “superiore”. Così, dalla terra e dall’acqua “inerti” è nata la vita – che miracolo è la vita! Che miracolo è tutto! – su questo pianeta, e forse in un’infinità di altri pianeti. E continuano a nascere ininterrottamente nuovi organismi, forme più complesse e “superiori”: da esseri “inerti” sorgono esseri viventi, sensibili; da questi sorgono esseri “coscienti” e “liberi”. E così senza interruzioni. Tutto è in relazione con tutto – dalle particelle atomiche alle galassie più lontane, dai batteri alle balene azzurre – e grazie alla relazione tutto si sviluppa. La vita continuerà a svilupparsi verso nuove forme che non conosciamo, anche verso nuove forme – speriamo più piene – di relazione, di coscienza e di libertà fraterna, liberatrice.
In sintesi, tutto è relazionato con tutto e tutto è in permanente trasformazione. Il mondo continua a crearsi. E non sappiamo cos’è inizio e cos’è fine, né se c’è stato un “inizio del mondo” né se avrà fine. In appena 200 anni sono stati scossi i fondamenti dell’universo che le religioni ritenevano inamovibili. E per la grande maggioranza della nostra società, il “cambiamento di paradigma” ha avuto luogo in un lasso di tempo molto più breve. Molti di noi che siamo nati attorno agli anni ‘50 del secolo scorso siamo cresciuti sotto un paradigma agrario; intorno ai 20 anni, abbiamo dovuto assimilare il paradigma razionale e scientifico dell’era industriale; 20 anni più tardi, abbiamo dovuto rinascere alla spiritualità e imparare a “parlare” all’interno del paradigma postmoderno transrazionale, olistico e pluralista dell’informazione globalizzata. Tre ere culturali in 60 anni. Tre forme di spiritualità.
(...). Le scienze e la tecnologia erano necessarie, ma non sono bastate né basteranno per vivere in giustizia e in pace, per essere liberi, fraterni ed eguali. In quello che chiamiamo “Occidente”, in epoca moderna abbiamo avuto accesso a uno “stato del benessere” mai immaginato prima, ma a un prezzo terribile: la devastazione del pianeta, la sottomissione e l’umiliazione dei Paesi del Sud, il saccheggio dei loro beni. E noi stessi stiamo ora pagando il prezzo fatto pagare ad altri: la dura crisi del nostro Stato del benessere è il segno di una crisi umanitaria e planetaria assai più spaventosa, provocata dal capitalismo neoliberista in qualche decennio: una fame devastante, l’esaurimento delle energie fossili immagazzinate dalla terra per migliaia di milioni di anni, il cambiamento climatico dovuto al riscaldamento globale, l’estinzione di massa di specie viventi, la scarsità d’acqua…
Non si tratta, in fondo, di una terribile crisi di spiritualità dei nostri Paesi cosiddetti cristiani? È un fallimento clamoroso della Modernità “postcristiana”. Ma è anche un fallimento clamoroso del cristianesimo tradizionale, il quale non è stato in grado di evitare che i “Paesi cristiani”, quando ancora lo erano, commettessero tanti crimini e disastri sulla Terra. Dobbiamo, allora, tornare alle fonti della spiritualità. O alle fonti del Vangelo. O alle fonti della Vita. O alle fonti della Bibbia (e di altri testi sacri), se vogliamo. Ma non possiamo tornare ai dogmi e ai tabù, alle norme e alle forme di un mondo che non è più il nostro; non possiamo credere a “interventi miracolosi” di un “dio” arbitrario, né a mediatori divini, né a dogmi immutabili, né ad istituzioni “gerarchiche” inamovibili. Viviamo in un mondo interrelato e dinamico, in costante trasformazione.
Possiamo trovare nelle tradizioni antiche ispirazione per l’eco-spiritualità liberatrice di cui abbiamo urgente bisogno? Senza dubbio possiamo, se impariamo a leggere, se sappiamo rileggere. Torniamo per esempio al racconto della creazione della Genesi: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). “In principio” non è un riferimento cronologico, non si riferisce a un tempo passato. “In principio” è la fonte permanente dell’essere e della vita. La creazione ha luogo oggi, qui, ora, ininterrottamente. Ogni istante è il primo istante della creazione. Non siamo conclusi. L’universo è aperto. La creazione segue il suo corso. La speranza – attiva, fiduciosa, disinteressata – resta in piedi.
“Fiat”, dice Dio ripetutamente. Egétheto. Non significa: “Appaia all’improvviso la creazione compiuta in maniera definitiva”. Significa: “Che si faccia”. “Si faccia il mondo dal suo interno, dal cuore di tutti gli esseri, da noi stessi, inventando il futuro, sciogliendo oppressioni, creando nuove forme di vita più libera e fraterna, forme di coscienza più universale, solidale, pacifica”. (…).
4. “IN LUI/LEI VIVIAMO, CI MUOVIAMO E SIAMO”
Tutto cambia, anche “Dio”, soprattutto “Dio”. Quando cambia la nostra immagine del mondo, cambia l’immagine di Dio. Deve farlo, perché il credo non soffochi la spiritualità. Non è “Dio” questo dinamismo trasformatore permanente che fa sì che tutto sia, che continui a essere, che si vada facendo?
Tutto cresce, anche “Dio”, soprattutto “Dio”. In che altro consiste la spiritualità se non nel far crescere Dio in noi, negli altri, in tutto ciò che è, finché Dio sia tutto in tutte le cose e tutte le cose siano del tutto? In che altro consiste la spiritualità se non nel liberare Dio (...) da catene ed esilii, finché Dio non raggiunga la sua piena liberazione nella liberazione di tutte le creature?
Cambiamento di Dio, crescita di Dio, liberazione di Dio. Ha senso parlare così? Tutto dipende da ciò che si intende con il termine “Dio”, il più polisemico ed equivoco di tutti i termini. (…).
È da millenni (…) che immaginiamo Dio come un sovrano supremo, re del cielo e della terra. Un dio separato, dualista, dotato di personalità ambivalente. Un Dio teista. Un’immagine che continua a essere presente nei tre grandi monoteismi (giudaismo, cristianesimo, islam). Lo Spirito, dal cuore di tutti gli esseri e della cultura attuale, ci invita ad andare oltre il teismo. Oltre ogni immagine dualista di Dio. Oltre, anche – bisogna dirlo apertamente – un’immagine “personale” di Dio, nella misura in cui il termine “personale” continui a suggerire un’alterità duale. (…).
Non si tratta di un Ente, ma dell’Essere di tutti gli enti. È lo “Spirito che aleggia” o che vibra nel principio attuale, eterno, di tutti gli esseri. È la Bellezza, la Tenerezza, l’Ascolto, l’Accoglienza. È la Vita. È il Tutto in tutto. È la creatività sacra, la “possibilità” sempre aperta del bene in tutto ciò che è. (…). Si rivela interamente in tutto: la goccia d’acqua, la foglia dell’albero, il canto degli uccelli. Si rivela particolarmente in tutti gli esseri che gemono, nel grido della Terra e nel grido dei poveri. Si rivela in maniera definitiva in ogni parola che consola e in ogni compassione che libera. (…). “Credere in Dio” è confidare nella Bontà come forza ultima di trasformazione e praticarla.
5. IL CRISTO GESÙ E IL CRISTO TOTALE
(…). La fede cristiana in generale e la cristologia in particolare sono state formulate nel quadro di una cosmovisione geocentrica, statica, antropocentrica e androcentrica, patriarcale. Non essendo più valida tale cosmovisione, è necessario riformulare la cristologia in un paradigma eco-spirituale o in un paradigma globale eco-liberatore. L’essere umano non è il punto di arrivo dell’evoluzione, e tanto meno lo è l’homo sapiens attuale che siamo noi e che è stato Gesù.
Gesù ha annunciato il Regno di Dio o la piena liberazione personale e strutturale, e non si è mai considerato come il Regno, bensì come il Profeta finale del Regno, convinto del fatto che con lui – e con i suoi/le sue seguaci – si stesse già realizzando l’inizio della liberazione finale. In seguito, la prospettiva giudaico-messianica è stata soppiantata da quella greca ontologica, e si sono avuti i dogmi di Nicea (325) e Calcedonia (451) (…), in base a cui, in tutto l’universo o in tutti gli universi, Dio si sarebbe incarnato pienamente per la prima e unica volta 2000 anni fa in un individuo homo sapiens, maschio ed ebreo, in uno stadio concreto dell’evoluzione della vita, della coscienza, della libertà…
È necessario liberare il dogma cristologico dal suo schema geocentrico, antropocentrico, androcentrico. L’evoluzione della vita resta aperta in questo o in altri pianeti. Ciò che deve ancora apparire è molto più di ciò che è già apparso, anche in Gesù.
Questa liberazione della cristologia è assai più semplice se torniamo al Gesù storico e alla sua coscienza. Non per adottare la sua immagine (antropocentrica) del mondo o la sua immagine (antropomorfica) di Dio, ma per lasciarci guidare dalla sua ispirazione. Non si è creduto “Dio”, ma profeta del Regno liberatore di Dio. E non ha incarnato Dio (…) tramite la sua “doppia natura” (umana e divina), ma attraverso il suo modo di vivere.
Ogni suo atomo e ogni sua cellula, l’aria che respirava, l’acqua e il vino che beveva, il pane e i pesci che mangiava… incarnavano Dio. La sua vita incarnava Dio: la compassione che toccava e curava, la libertà che sfidava il rischio e apriva al nuovo, la vicinanza samaritana che risollevava il ferito, la commensalità che accoglieva, la sua fiducia in Dio come bontà potente, la sua fede nella bontà di ogni essere umano. Questa è la forma umana del “divino” di Gesù. E di tutti gli esseri umani.
Dio non è un essere extracosmico, che si incarna quando – per un fatto singolare – la sua “natura divina” si unisce in Gesù alla “natura umana” o mondana. Dio è l’Essere di tutti gli enti e di tutte le forme: il bosone, il quark, l’atomo, la pietra, il geranio, la rondine, il delfino, il canguro, l’essere umano… sono carne visibile di Dio. Ma Dio o il “divino” non si esaurisce in alcuna forma particolare. Neppure nella forma particolare –incompiuta – di Gesù. (…).
Dio si incarnerà del tutto quando – al di là di computi e di parametri temporali – tutte le creature raggiungeranno la piena liberazione “interna” ed “esterna”, in una forma che non possiamo immaginare, ma solo anelare. Allora, oltre lo schema del “futuro cronologico”, tutta la realtà sarà messianica o “cristologica”, liberata. Ma tale speranza non si compirà per intervento di un “dio” esterno, bensì dal cuore dell’umanità e di quanto è. E Gesù? Gesù è, per i cristiani, sacramento di questa speranza anticipata, immagine del nostro essere e della nostra vocazione, del compito di ogni essere umano e di tutti gli esseri.
6. UNA NUOVA ALLEANZA CON TUTTI I VIVENTI
È difficile sapere se il collasso delle specie viventi più sviluppate – compresa l’umana – sia ormai irreversibile o se ci sia posto per una soluzione. Ciò che è indiscutibile è che tutti gli allarmi sono stati lanciati, che la responsabilità principale è dell’azione umana e che solo una svolta drastica della civiltà potrà evitare il disastro generale.
La specie umana, meravigliosa forma della Vita, risulterà un cancro per tutto il pianeta, questo meraviglioso pianeta? Il momento è grave. È in gioco la vita di tutti. È ora di stringere un patto solenne per la comunità della vita sul pianeta. (…).
È ora di ricordare che la Terra non ci appartiene. Apparteniamo alla Terra, che appartiene a tutti i viventi. (…). È ora di fermare la macchina – letale per tutti, soprattutto per gli esseri più vulnerabili – della crescita illimitata, della massima produzione possibile e della speculazione senza scrupoli: l’economia al servizio dell’arricchimento. È necessario che tutti apprendiamo a vivere meglio con meno. Ed è urgente che alcuni Paesi decrescano perché altri possano vivere. Il pianeta non potrà sopravvivere senza un autentico ecosocialismo planetario. (…).
La Vita ci spinge con urgenza verso un’ecologia profonda, o, che è lo stesso, verso una spiritualità eco-liberatrice, più in là di ogni frontiera culturale, politica e religiosa.
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