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Colpevole di ecocidio: la follia di un’umanità che distrugge la sua dimora

Tratto da: Adista Documenti n° 6 del 14/02/2015

DOC-2692. ROMA-ADISTA. Dall’Amazzonia all’Artico, la distruzione degli ecosistemi proietta un’ombra di morte sul nostro splendente pianeta bianco-azzurro. Per l’avidità, l’irresponsabilità e la cecità dell’essere umano, la più grande delle foreste tropicali rimaste sulla Terra, con la sua natura esuberante, i suoi alberi giganteschi, i suoi fiumi immensi, la sua lussureggiante biodiversità, rischia di lasciare il posto, entro 40 anni, a una triste savana appena interrotta da alcuni boschi. L’incantesimo spezzato dell’oceano verde produrrà danni incalcolabili, considerando le insostituibili funzioni svolte dalla foresta amazzonica, a cominciare dalla sua capacità di mantenere umida l’atmosfera anche a una distanza di 3mila chilometri dall’oceano, portando la pioggia fino alla Patagonia e alle Ande, o di scongiurare eventi atmosferici estremi. Ma neppure i ghiacci dell’Artico, in tutta la loro scintillante bellezza, sopravviveranno alla guerra degli umani contro il pianeta, con tutti gli effetti già abbondantemente descritti:  lo scioglimento innescherà un incontrollabile circolo vizioso, liberando enormi quantità di metano con conseguenze incalcolabili sul riscaldamento globale, ma anche producendo catastrofici effetti sull’albedo del pianeta (la frazione di luce riflessa da una certa superficie: in presenza di ghiaccio, la radiazione solare viene riflessa per l’80% nello spazio). Senza contare che la sparizione dei ghiacci sta già rendendo più accessibili le ricche riserve di petrolio, di gas e di minerali preziosi dell’Artico, su cui si stanno affrettando a mettere le mani Stati Uniti, Russia, Canada, Norvegia e Danimarca. 

E in questa folle opera di distruzione scatenata dagli esseri umani contro la loro stessa casa, nessun Paese è innocente: come scrive François Houtart riguardo alla devastazione dell’Amazzonia, se i governi neoliberisti mirano a sfruttare le risorse naturali «come via per l’accumulazione di capitale», quelli progressisti fanno lo stesso «per finanziare le politiche sociali», dando per scontato, di fatto, che non esista altra strada che quella di un ampliamento del modello estrattivista già dilagante in tutta l’America Latina, centrato sulla produzione, sull’estrazione e sull’esportazione di materie prime senza valore aggiunto, anche a spese degli ecosistemi. Cosicché diventa sempre più evidente che solo una profonda, radicale e urgente trasformazione del modello di civiltà, con l’abbandono del paradigma della crescita illimitata in direzione di una società “fuori crescita” (vedi documenti precedenti), renderà possibile la continuità della vita umana sulla Terra.

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, l’articolo del sociologo e teologo belga François Houtart sullo stato dell’Amazzonia, pubblicato su La Jornada del 3 gennaio, e quello di Julio César Centeno, docente dell’Università di Los Andes, a Mérida, in Venezuela, apparso su Rebelión il 27 gennaio. (claudia fanti) 

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