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RIFUGIATI, IL VESCOVO CHIEDE AIUTO AI FEDELI. CHE RISPONDONO: “PRIMA GLI ITALIANI”

Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 14/03/2015

38028 MONDOVÌ-ADISTA. In arrivo 300 nuovi migranti nella provincia di Cuneo. E già in molti storcono la bocca agitando lo spauracchio della trasformazione della zona in una «Lampedusa del Nord Italia». Intanto, su richiesta della Prefettura, che nel frattempo non sa più come reperire nuovi alloggi idonei, la Chiesa di Mondovì si è già mobilitata, ospitando i rifugiati nei diversi centri di accoglienza della diocesi monregalese. Il problema è che ora, con questa nuova ondata di arrivi, anche la Chiesa locale va esaurendo le proprie disponibilità di spazi. Così, a metà febbraio, a mons. Luciano Pacomio (vescovo di Mondovì) è venuta l'idea di lanciare, tramite le pagine del settimanale diocesano L'Unione monregalese, un appello di solidarietà, chiedendo ai fedeli di ospitare i rifugiati nelle loro case. Il tutto con l'assistenza legale e logistica della Caritas diocesana, che si farà coordinatrice del progetto di accoglienza, e dietro compenso di 30 euro al giorno di fondi comunitari per ogni migrante accolto (900 euro al mese) versato dalla Prefettura di Mondovì alle stesse condizioni, quindi, degli alberghi e delle altre strutture di accoglienza. Affatto pochi, si mormora tra gli oppositori dell'iniziativa, tanto che alcuni di quelli che hanno aderito al progetto – una decina di famiglie al momento in cui si scrive, ma il dato sembra in crescita – avranno certamente fatto quattro calcoli, pensando di dar vita ad un piccolo business, magari accogliendo i migranti nella loro seconda casa e guadagnando più di quanto avrebbero incassato dai tradizionali affitti ai prezzi di mercato correnti. Sembra confermarlo il responsabile della Caritas diocesana, Davide Oreglia, contattato il 25 febbraio da ilGiornale.it, quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, che ha raccolto le voci di protesta dei cittadini. «Credo che tra le disponibilità ad ospitare ce ne sia più di una figlia della crisi – ha detto Oreglia – ma non è lo spirito con cui si dovrebbe accogliere: prendere in casa un profugo è accettare un cammino di condivisione». Ed è sicuramente questo lo spirito che ha animato l'iniziativa del vescovo, secondo il quale una distribuzione capillare dei migranti sul territorio diocesano eviterebbe qualsiasi forma di ghettizzazione e di isolamento degli stessi, favorendo un loro contatto con la cittadinanza e l'integrazione nella comunità locale.

E intanto la notizia è rimbalzata sulla stampa locale e nazionale, suscitando un grande clamore. Al di là di quanti hanno accolto la proposta del vescovo, per solidarietà o per interesse, sono in moltissimi a contestarla aspramente e apertamente. È il caso – prevedibile – della Lega e dei movimenti dell'estrema destra come Forza Nuova, ma anche di comuni cittadini e “fedeli” della Chiesa locale che, soprattutto sui social network, hanno manifestato il proprio dissenso. Anche lo stesso sito del settimanale diocesano racconta, con la freddezza dei pochi numeri di un sondaggio online, le sensazioni dei propri lettori: «Profughi a Mondovì: il vescovo chiede di accoglierli in casa, in cambio dei 900 euro al mese previsti da fondi europei. Voi che ne pensate?», si domanda sul sito. Risultato? Al momento in cui si scrive, il 64% dei lettori si è detto «assolutamente contrario» e solo il 16% ha risposto che si è trattato di «un appello giusto». Anche i commenti sul profilo Facebook del settimanale – in coda ai vari post che trattano l'argomento – delinea lo stato d'animo di un popolo in difficoltà e arrabbiato, che sembra aver fatto proprio lo slogan “prima gli italiani”. «Vergogna! Quando hanno bisogno gli italiani non c'è nessuno disposto ad aiutare», scrive un utente il 25 febbraio. «Perché il vescovo non se li porta lui a casa sua?», commenta un altro. E poi, ancora, il giorno seguente, un altro: «Ci sono italiani, e tanti, senza lavoro, senza un tetto e senza cibo. Nessuno ci pensa. Spiace per loro [i migranti], ma è inutile farli venire qui, dove non ce n'è nemmeno per noi». Segnaliamo infine un amaro commento del 27 febbraio: «Faccio fatica a campare e sono italiano, sono malato e, lavorando in proprio, faccio i salti mortali per portare a casa il “pane quotidiano”. A me chi mi aiuta?».

Ai contestatori e a quanti hanno espresso diffidenza, ha risposto con un editoriale il direttore del settimanale diocesano, don Corrado Avagnina: stiamo parlando di «vite disperate alla ricerca di un appiglio, dopo drammi devastanti nei loro Paesi d’origine e poi nel percorso di avvicinamento a sponde di libertà e di dignità». La presenza dei rifugiati in Italia, prosegue il direttore, «viene affrontata con una certa fatica, dovendo purtroppo fare i conti con “resistenze” e “diffidenze” marcate, che si esprimono in reazioni di pancia da parte di un’opinione pubblica che sembra bypassare la posta in gioco umanitaria con spunti ideologici o egoistici in grado di squalificare, in modo deludente, un popolo, il nostro, tentato dall’indifferenza. Invece di pensare a come dare una possibile mano nell’accoglienza, ci si schiera subito pregiudizialmente contro, e basta». (giampaolo petrucci)

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