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VESCOVI USA: NO ALLA CONTRACCEZIONE D’EMERGENZA. NEPPURE PER LE MIGRANTI VITTIME DI STUPRO

Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 14/03/2015

38034 NEW YORK-ADISTA. Nessun presidio medico per prevenire la gravidanza per le ragazzine migranti vittime di stupro: lo hanno chiesto i vescovi statunitensi in nome della libertà religiosa, in una lettera inviata all'ufficio del governo, dipendente dal Ministero della salute, che si occupa di offrire sostegno ai rifugiati. Dopo la strenua lotta contro il mandato obbligatorio per i datori di lavoro, previsto dalla riforma sanitaria di Obama, riguardante l'offerta ai dipendenti di un'assicurazione comprensiva di contraccezione e aborto, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), dunque, non fa eccezione nemmeno per le vittime di abusi. 

Secondo le stime riportate dal portale Think Progress (5/3), una percentuale oscillante tra il 60 e l'80% di donne e ragazze migranti subisce un abuso sessuale nel corso del viaggio attraverso il confine meridionale degli Stati Uniti (il più delle volte perpetrato da guide senza scrupoli chiamate coyote, ma anche dalle guardie nei centri di detenzione), ma molte delle organizzazioni che offrono assistenza medica rifiutano di offrire loro mezzi contraccettivi di emergenza. Non solo: spesso il motivo che spinge le bambine a fuggire dal proprio Paese è proprio lo stupro o l'abuso sessuale, secondo quanto rivelato dalla Commissione per le donne rifugiate. Una volta giunte negli Stati Uniti, la polizia frontaliera le “passa” ad organizzazioni, per lo più religiose, come i “Baptist Child and Family Services” (che l'anno passato hanno ricevuto 190 milioni di dollari dal Governo), o a strutture della Chiesa cattolica (destinataria di 22 milioni di dollari attinti dai fondi federali) che le ospitano in case-rifugio. Ora, la Conferenza episcopale statunitense ha mandato una lettera di obiezione alla normativa denominata “Prison Rape Elimination Act”, dell'Office of Refugee Settlement, che intende richiedere a quelle organizzazioni, finanziate dal governo, di fornire alle vittime di abusi sessuali l'accesso a cure mediche d'emergenza, tra cui la contraccezione d'emergenza e la profilassi per le malattie sessualmente trasmissibili; la normativa riconosce il diritto a tali organizzazioni di negare l'offerta di tali servizi, per motivi religiosi o morali, purché si coordinino con il governo federale, che si occuperebbe di fornirli. È qui che si inserisce la lettera dei vescovi Usa, che fa leva sul fatto che la normativa «imporrebbe all'obiettore di coscienza di fare riferimento alla procedura verso la quale ha un'obiezione morale o religiosa», e che le organizzazioni devono al contrario essere esenti da ogni obbligo di fornire o dare informazioni su procedure verso le quali hanno obiezioni morali o religiose. Inoltre, per i vescovi, le organizzazioni interessate non devono essere private di fondi federali se si rifiutano di offrire tali servizi, perché ciò contrasterebbe con il Religious Freedom Restoration Act (Rfra), che tutela l'esercizio della religione. Oltre ai vescovi , a firmare la lettera sono la National Association of Evangelicals, Catholic Relief Services, World Vision e World Belief. 

In un opuscolo del 2012, la Conferenza episcopale affermava che la soluzione migliore per le minori migranti vittime di stupro e incinte era l'accoglienza «in case-famiglia terapeutiche e comunità», senza alcuna menzione dell'aborto. Anzi: quattro persone dello staff di Catholic Charities (affiliata alla Usccb) furono licenziate per aver aiutato un'adolescente guatemalteca incinta ad abortire. (ludovica eugenio)

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