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Burkina Faso: uno stop alla democrazia

Burkina Faso: uno stop alla democrazia

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 34 del 10/10/2015

Un colpo di Stato a sorpresa? Forse sì o forse, invece, annunciato dal fatto che il buon operato del Conseil National de la Transition (CNT) che stava guidando il Paese verso elezioni libere e democratiche, è stato bloccato con efferata violenza dal Conseil National pour la Démocratie (CND).

A meno di un mese dalle elezioni presidenziali che avrebbero dovuto dare al Burkina, dopo 28 anni, un nuovo presidente e la democrazia, l’intero Paese è stato trascinato nella violenza.

Quelli trascorsi dalla Rivoluzione dell’ottobre 2014 a oggi sono stati mesi d’intenso lavoro per il Governo della Transizione impegnato a ridare fiducia al popolo; a riaprire il caso Sankara e far luce e giustizia sulle responsabilità interne ed esterne, nazionali e internazionali; a ripulire la politica scegliendo scrupolosamente i candidati alla presidenza e marginalizzando i dirigenti del Congrés pour la Démocratie et le Progrés (CDP), il partito dell’ex-presidente Compaoré, considerati “espressione del vecchio regime”; a riassettare il Régiment de la Sécurité Presidentielle (RSP), la Guardia presidenziale addestrata da Esercito e servizi segreti francesi, resosi colpevole di numerosi crimini (dall'assassinio di Sankara a quello di Zongo, dalle torture inflitte tra il 1987 e il 1995 all'attacco all'Esercito regolare durante i disordini del 2011) e ancora troppo implicato in vecchie alleanze e vecchi poteri; a predisporre infine una capillare lotta alla corruzione che attanaglia il Paese e le sue istituzioni.

Nel Governo di Transizione due uomini di spicco: il presidente Michel Kafando, civile, diplomatico di grande esperienza, ambasciatore presso l’Onu; e il primo ministro Yacouba Isaac Zida, un militare di larghe vedute che ha saputo armonizzare diverse fazioni. Due uomini che hanno lavorato in stretta collaborazione sia con la realtà politica e militare sia con la società civile. In particolare, con il movimento Le Balai citoyen (Le scope dei cittadini), espressione della gioventù burkinabè, fondato nel 2013 dal cantante rapper Serge Bambara, detto Smockey, e dall’artista reggae Sams’K Le Jah, e che ha reso possibile la caduta di Compaoré.

Tutto faceva pensare che la fase della transizione sarebbe pacificamente giunta al capolinea delle elezioni. Ma le cose non sono andate così.

Cronaca di un colpo di Stato

Nelle ultime settimane diverse le tensioni, ma nulla che facesse pensare alla capitolazione del 16 settembre quando i militari del RSP, i più armati ed efferati del Paese, diretti dal generale Gilbert Diendéré, sequestrano il presidente Kafando e il primo ministro Zida, insieme ai ministri riuniti nell’ordinario Consiglio del mercoledì. Diendéré ha ricoperto la carica di capo di Stato Maggiore particolare di Compaoré e rappresenta gli interessi e i lati oscuri del vecchio regime: uccisione di Sankara, sostegno a Charles Taylor nella guerra civile in Sierra Leone, conflitto in Costa d’Avorio, per citarne alcuni.

Alcuni militari parlano d’inganno: dalla lotta per una legge che impedisse la dissoluzione del RSP, la sete di potere di Diendéré è andata oltre. Altri, soprattutto politici e rappresentanti della società civile, avanzano l’idea del complotto con la regia occulta di Francia e Stati Uniti. Altri ancora, di una subdola manovra di Compaoré.

Una cosa è certa: il popolo, provato da mille sofferenze, non vuole altro sangue. Ha sete di libertà e democrazia, non di potere e violenza. La grande campagna di maggio in preparazione alle elezioni presidenziali ha visto coinvolti tutti e in massa ci si è presentati per avere la carta elettorale e poter esercitare il diritto al voto. L’attesa delle elezioni era pregna di speranza, perché si è stanchi di vivere in un Paese paralizzato i cui capitali sono spariti nel nulla.

Il 17 settembre alle 7.30, all’indomani del sequestro, un militare del RSP annuncia alla Tv di Stato la sospensione del CNT e proclama la nascita del CND. In quella stessa mattina, lo studio “Abazon” di Smockey è incendiato: un segnale forte che il RSP lancia alla resistenza. La società civile non si fa intimorire e scende in strada per difendere il diritto alla democrazia conquistato l’anno prima. La reazione dei “berretti rossi” è drastica: pallottole sulla folla. Dicono di non voler un bagno di sangue, ma contrastano con violenza inaudita la mobilitazione del popolo.

Alcuni fatti fanno da corollario. 

Per il 17 settembre si aspettavano i risultati dell’autopsia di Thomas Sankara e al generale Diendéré, allora responsabile dei militari in custodia del presidente, si attribuiscono non poche responsabilità. 

Il 7 aprile il CNT aveva votato a larga maggioranza la modifica del Codice elettorale rendendo “ineleggibile” chi ha «sostenuto un cambiamento costituzionale attentando al principio dell’alternanza democratica». I partiti dell’ex-maggioranza, in particolare il CDP, gridano allo scandalo, ma le candidature restano invalide. La Francia sembra non gradire l’esclusione del CDP. Il generale Diendéré, con il suo colpo di Stato, rimette in campo le pedine. Il presidente della Commissione di Riconciliazione Nazionale e delle Riforme (CRNR), nata all’indomani della Rivoluzione del 2014, mons. Paul Ouédraogo, arcivescovo di Bobo-Dioulasso, aveva appena presentato il rapporto sul lavoro svolto in cui si raccomandava, nel quadro della rifondazione dell’Esercito, di sciogliere il RSP e affidare la protezione del capo dello Stato a un’unità di élite composta da gendarmeria e polizia. A fine giugno si sfiora la crisi politica perché Zida chiede lo scioglimento del RSP. La CRNR, inoltre, propone un Referendum per adottare una nuova Costituzione che sopprima la pena di morte e l’amnistia agli ex capi di Stato, renda obbligatorio il servizio militare e sposti al diritto comune la competenza dei reati commessi da ministri e capi di Stato.

In questo scenario, il RSP abbraccia le armi e blocca tutto.

La comunità internazionale biasima il colpo di Stato, ma in un clima generale di silenzio e scarsa informazione pubblica.

La mediazione internazionale è affidata a due presidenti: Macky Sall (Senegal) e Boni Yayu (Benin). Le autorità della transizione e la società civile chiedono la dissoluzione del RSP e le elezioni l’11 ottobre. Diendéré chiede “protezione”, il mantenimento del RSP ed “elezioni inclusive”, vale a dire reinserire il CDP.

I burkinabè disobbediscono e, nonostante il coprifuoco, sono in strada a chiedere il ripristino della transizione. Resistono e costruiscono barricate. Incendiano pneumatici per impedire al RSP di entrare nei quartieri. Il RSP non ha pietà: non si limita a disperdere i manifestanti, li insegue, spara, li colpisce selvaggiamente. Nel frattempo sono liberati gli ostaggi.

La mediazione presenta 13 punti ritenuti da molti inaccettabili. Tra questi: l’allontanamento dei militari dal governo, quindi dello scomodo Zida nemico di Diendéré; la non dissoluzione del RSP; l’amnistia per i crimini compiuti durante il colpo di Stato.

La svolta sembra darla l’Esercito regolare burkinabè che il 21 settembre da ogni parte del Paese marcia su Ouagadougou e invita il RSP a deporre le armi. Il RSP ignora l’invito e l’Esercito entra a Ouagadougou con carri armati e mezzi blindati. L’attacco è pronto, anche se tutti sperano nella risoluzione pacifica. La situazione è tesa e il rischio dell’attacco imminente. Autorità tradizionali, come il Re Mossi, e autorità politiche e religiose giocano un ruolo importante. Mentre la mediazione internazionale spinge l’acceleratore sul perdono e sui 13 punti, si lanciano ultimatum al RSP.

Per la festa del Tabaski, 24 settembre, Kafando legge una dichiarazione in cui afferma che le decisioni della mediazione saranno prese in considerazione solo se incontrano il volere del popolo. Sembra che l’arcobaleno, dopo giorni incredibilmente bui, inizi a splendere sul futuro del popolo burkinabè che in questi giorni ha dato lezioni di vita a tutto il mondo. Giovani, donne e uomini, bambini e anziani hanno confermato di essere un popolo dignitoso che lotta pacificamente e con tenacia per la libertà e la democrazia.

Il Governo della Transizione sembra ristabilito. Il ministro della Sicurezza viene rimosso e inizia il disarmo del RSP. Il 25 settembre si tiene anche un Consiglio dei Ministri protetto da gendarmeria e polizia. Sembra che la normalità sia ritornata. Ma non è così: il 28 settembre un “colpo di coda” di Diendéré e del suo amico Bassole preoccupa tutti, compreso Kafando che lancia un comunicato in cui chiede alla società civile di restare vigile. Due giorni dopo, forse l’ultimo atto: l’Esercito regolare prende il controllo della caserma in cui si sono ritirati igolpisti, procedendo al loro disarmo.

Tutto fa pensare che l’obiettivo fosse quello di spegnere sul nascere lo scandalo di una democrazia non importata, ma tutta africana come quella che sta emergendo. Il Burkina, con la sua estrema povertà, è un tassello strategico nella geopolitica dell'Africa Occidentale perché è tra le sedi più importanti dello spionaggio occidentale antiterrorista in Africa e la base più attrezzata dei loro droni.

Ma il “popolo dignitoso” del Burkina ha voglia di libertà e non mollerà fino a quando la democrazia non sarà realtà. Nel cuore dei burkinabè un’unica speranza: che questo sia l’ultimo atto di forza di una classe dirigente attaccata al potere!

Grazia Le Mura è sociologa, missionaria in Burkina Faso, tra i fondatori dell’Associazione “Tante Mani Per... Uno Sviluppo Solidale” che porta avanti un programma di accompagnamento nutrizionale per 45 neonati che hanno perso la mamma di parto o che la mamma non può allattare (la sede dell’associazione è in via Grotta dell'Olmo 87/89 - 80014 Giugliano, Napoli)

* Immagine di Nicolas Raymond, tratta dal sito Flickr, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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