
Referendum: le ragioni del nostro “No”
Tratto da: Adista Notizie n° 11 del 19/03/2016
Su questo numero di Adista troverete il testo di un appello a difesa della nostra Costituzione, cioè in sostegno al “no” al referendum che vorrebbe modificarla. Lo hanno firmato cattolici e credenti con diverse storie ed appartenenze politiche. Lo ha sottoscritto anche la nostra testata.
Per qualcuno questa circostanza rappresenta forse una anomalia. Ma come, Adista si schiera così nettamente su una questione – per di più – che non riguarda temi “ecclesialmente sensibili”, né aspetti della vita collettiva su cui la gerarchia sia pesantemente intervenuta per tentare di orientare l’opinione pubblica cattolica?
Altri lettori, invece, memori di una storia che ha ormai quasi raggiunto i 50 anni, si ricorderanno le tante battaglie di Adista per il diritto dei cattolici di votare a sinistra, rompendo con il dogma dell’unità dei credenti nella Dc; la nostra mobilitazione a favore del divorzio e del diritto all’interruzione di gravidanza; l’appello al voto che nel 2005 cercò di contrastare la campagna astensionista promossa dal card. Ruini sulla legge 40. Ma – si potrebbe eccepire – erano tutte battaglie su cui la gerarchia cattolica si era nettamente schierata. E quindi in quel caso Adista rivendicava legittimamente l’autonomia nella sfera politica che sempre i cattolici e tutti i credenti devono custodire come un bene prezioso.
Ci sono state però altre circostanze in cui i temi più squisitamente ecclesiali non erano in discussione (la guerra in Iraq, la prima come la seconda; quella nella ex Jugoslavia, in Afghanistan, in Libia; l’installazione dei missili a Comiso; la legge 185/90 per limitare il commercio delle armi; la lotta alla legge Bossi-Fini ed al reato di clandestinità) in cui Adista si è schierata in maniera netta. Facendo una scelta di campo e di “parte”; giammai a senso unico, seppure da una prospettiva sempre dichiarata, illuminata dalle ragioni stesse per le quali il giornale è nato. In questo senso andava anche l’appello delle riviste di ispirazione cristiana a difesa della Carta del 1948, che Adista lanciò nel 2006.
Insomma, è dal 1967 che Adista si schiera, ogni volta che le ragioni costitutive della sua esistenza e del suo impegno sono messe in discussione. Accade anche oggi, come dieci anni fa, con le proposte governative di modifica della nostra Costituzione. Per questo pensiamo che il mondo conciliare e progressista, insieme a tante altre realtà fatte da laici e credenti, debba far sentire la propria voce. Perché il cattolicesimo politico e quello democratico hanno avuto un ruolo fondamentale nell’elaborazione della nostra Carta, che resta una delle testimonianze più alte e significative di come credenti e non credenti, laici e cattolici, liberali, moderati, socialisti, comunisti abbiano saputo trovare le necessarie mediazioni affinché tutte le culture, tutte le istanze, tutte le opzioni democratiche potessero avere la loro dignità e rappresentanza nel testo costitutivo del nostro vivere associato.
Oggi sentiamo che quel patto fondamentale è profondamente minacciato. La riforma che siamo chiamati a votare – se lasceremo che venga approvata – finirà per attribuire poteri enormi alla coalizione o al partito che risulti vincente alle elezioni. Non finisce il bicameralismo, ma la Camera che “conta” diventerà una sola, quella dei Deputati, nella quale una minoranza – che diventa maggioranza grazie alla legge elettorale – avrà un potere quasi assoluto, privo del necessario contrappeso finora garantito dal Senato. Questo sarà composto di pochi membri, nemmeno eletti direttamente, e con limitatissimi poteri.
Questa riforma s’inserisce in quel ciclo di interventi e riforme istituzionali, avviato nel 1993 con l’introduzione del sistema maggioritario che, “venduto” da oltre 20 anni come la panacea di ogni male, non ha fatto che moltiplicare frammentazione, instabilità, malcostume politico, ingovernabilità. La riforma voluta da Renzi non fa che completare questo percorso involutivo della nostra democrazia. In nome della “governabilità” e di una presunta “semplificazione”, si concede carta bianca agli esecutivi, liberandoli dai vincoli e dai controlli esercitati dal Parlamento. Chi non si schiererà col più forte conserverà forse un diritto di tribuna, non più una vera rappresentanza. Men che meno un potere di indirizzo. E quando sono in pochi a discutere e pochissimi a decidere, gli scenari non sono mai tranquillizzanti.
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