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Cresce la pressione sul papa per la ri-liberalizzazione della messa in latino

Cresce la pressione sul papa per la ri-liberalizzazione della messa in latino

CITTA’ DEL VATICANO-ADISTA. Il tema della messa in latino (e di una eventuale “riapertura” all’ala tradizionalista della Chiesa), pare avere acquisito nuova attualità con Leone XIV. Secondo quanto rivela la giornalista dell’Associated Press Nicole Winfield una fuga di notizie in Vaticano dimostrerebbe l’indebolimento della posizione “proibizionista” di papa Francesco, che durante il suo pontificato, nel 2021, con la promulgazione di Traditionis Custodes limitò drasticamente la liturgia antica abrogando il documento del 2007 di Benedetto XVI Summorum Pontificum che liberalizzava l'accesso alla messa tradizionale latina. I documenti emersi – un rapporto segreto dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede al papa - suggerirebbero che la maggior parte dei vescovi cattolici, in un sondaggio vaticano del 2020 sulla messa in latino, ha espresso un’opinione favorevole, affermando che limitarla avrebbe «fatto più male che bene», ma che Francesco, sgomento per questo preoccupante risultato, avrebbe preso la decisione di bloccarne la diffusione. (America, 2/7/2025). Per ora la richiesta di una conferma al Dicastero non ha avuto esito. All’origine della fuga di notizie la vaticanista del sito conservatore Aleteia Diane Montagna che il primo luglio, sul suo sito www.dianemontagna.substack.com, rivela «crepe nel fondamento della Traditionis Custodes».

«Quando, il 16 luglio 2021, Papa Francesco ha promulgato la Traditionis Custodes, ha affermato che le risposte al questionario “rivelano una situazione che mi preoccupa e mi rattrista e mi persuade della necessità di intervenire”», spiega Montagne. «“Purtroppo”», ha affermato in una lettera di accompagnamento ai vescovi di tutto il mondo, «l'obiettivo pastorale dei miei Predecessori… è stato spesso gravemente disatteso. Un'opportunità offerta da San Giovanni Paolo II e, con ancora maggiore magnanimità, da Benedetto XVI… è stata sfruttata per allargare i divari, rafforzare le divergenze e fomentare disaccordi che feriscono la Chiesa, ne bloccano il cammino e la espongono al pericolo della divisione”». Francesco «ha detto ai vescovi che era “costretto” dalle loro “richieste” a revocare non solo il Summorum Pontificum ma “tutte le norme, istruzioni, permessi e consuetudini” che precedevano il suo nuovo decreto».

Il rapporto della CDF affermarebbe insomma che «“la maggior parte dei vescovi che hanno risposto al questionario e che hanno generosamente e intelligentemente attuato il Summorum Pontificum, alla fine ne esprimono soddisfazione”. Aggiunge che “nei luoghi in cui il clero ha collaborato strettamente con il vescovo, la situazione si è completamente pacificata”».

Traditionis Custodes, insomma, avrebbe, secondo questo documento, «ingigantito e proiettato come un problema importante ciò che era semplicemente laterale nel rapporto ufficiale della CDF».

A redigere il rapporto di 224 pagine sul sondaggio somministrato ai vescovi dalla parimavera 2020 al gennaio 2021 è stata la Quarta Sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede, precedentemente nota come Pontificia Commissione Ecclesia Dei, responsabile della vigilanza sull'osservanza e l'applicazione delle disposizioni stabilite nel Summorum Pontificum. Montagna non lo ha visto nella sua integrità, ma afferma che la prima parte offre un'analisi dettagliata dei risultati dell'indagine, mentre la seconda è una sintesi che contiene un giudizio complessivo corredato da un campione rappresentativo delle risposte dei vescovi. Il giudizio, afferma la giornalista, è articolato in sette punti che evidenziano come la mancanza di pace e unità liturgica sia dovuta più alla minoranza dei vescovi, in particolare nelle regioni ispanofone e in Italia, che non ha accolto la dimensione ecclesiologica dell'ermeneutica della continuità con la tradizione, che ai seguaci della liturgia romana tradizionale. Questa minoranza teme una "divisione in due Chiese" e ritiene che i gruppi legati alla Forma Straordinaria del rito "rifiutino" il Concilio Vaticano II. Il rapporto riconosce che quest'ultimo punto è «in parte vero», ma afferma che «non può essere generalizzato». La maggior parte dei vescovi che hanno attuato il Summorum Pontificum sarebbe invece soddisfatta, per cui il Rapporto concludeva che «l’indebolimento o la soppressione del Summorum Pontificum avrebbe danneggiato gravemente la vita della Chiesa, poiché avrebbe ricreato le tensioni che il documento aveva contribuito a risolvere», spingendo i fedeli delusi tra le braccia dei lefebvriani.

Il rapporto evidenzierebbe poi l'attrazione dei giovani verso la liturgia antica, «attratti dalla sacralità, dalla serietà e dalla solennità della liturgia. Ciò che li colpisce di più, anche in una società eccessivamente rumorosa e prolissa, è la riscoperta del silenzio nelle azioni sacre, la sobrietà e l'essenzialità delle parole, la fedeltà alla dottrina della Chiesa, la bellezza del canto liturgico e la dignità della celebrazione: un insieme armonioso e profondamente attraente». «Molti giovani – continua il Rapporto della CDF - «scelgono di entrare negli istituti dell'Ecclesia Dei per la loro formazione sacerdotale o religiosa piuttosto che nei seminari diocesani, con evidente rammarico di alcuni vescovi». Nei seminari e nelle facoltà ecclesiastiche, raccomanda il documento, andrebbero trattate entrambe le forme del rito romano.

Perché proprio ora?

È lecito chiedersi perché la “fuga” di questo documento avvenga proprio ora. Se è immediato pensare a una pressione sul papa neoeletto, che ha esplicitato il suo programma di unità nella Chiesa, per una abrogazione di Traditionis custodes – soprattutto da parte dell’ala più conservatrice e tradizionalista della Chiesa statunitense - occorre anche tenere presente il peso che alcune diocesi statunitensi hanno in questo dibattito. Lo scorso 16 aprile l'arcivescovo di Detroit (USA) mons. Edward Weisenburger ha emanato delle linee guida sul tema, nel tentativo di «stabilire un percorso affinché la Messa venga celebrata secondo il Missale Romanum del 1962» ma «garantendo al contempo che la Chiesa locale rimanga conforme alle direttive della Santa Sede».

Traditionis custodes consente ai vescovi di concedere il permesso a determinati gruppi preesistenti e parrocchie personali (parrocchie istituite per servire i fedeli secondo un particolare rito, lingua o nazionalità, a differenza delle parrocchie territoriali) di continuare a celebrare secondo il messale del 1962, ma riserva esclusivamente alla Santa Sede la possibilità di consentire Messe in forma straordinaria nelle chiese parrocchiali, ha chiarito l'arcidiocesi: i vescovi locali non hanno più la facoltà di consentire questa particolare liturgia in una chiesa parrocchiale. In considerazione di ciò, le autorizzazioni precedenti per celebrare questa liturgia nelle chiese parrocchiali arcidiocesane, che scadono il 1° luglio 2025, non possono essere rinnovate, ha detto il vescovo.

* Foto di Shalone Cason su Unsplash

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