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La storia non si può fermare

La storia non si può fermare

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 36 del 22/10/2016

Quanto accaduto a Cagliari in una scuola di suore – due bambini arrivati da soli dall’Africa costretti a usare bagni separati e genitori che ritirano i propri figli per la loro presenza – è segno di un degrado etico e culturale prima ancora che politico che va affrontato in quanto tale ed è perfino più urgente del lato socio-economico del tema immigrazione. Anni di propaganda tecnicamente definibile solo come “razzista,” anche a livelli istituzionali, hanno “sdoganato” forme di intolleranza e discriminazione che non pensavamo di avere tra noi. È di vitale importanza ripartire, anche e forse soprattutto dal basso, per ricostruire un tessuto sociale disposto ad accogliere e a lavorare per la costruzione di un incontro positivo e di un’integrazione rispettosa delle diversità. I dati ISTAT chiaramente indicano l’importanza dell’apporto del lavoro (regolare) degli immigrati – 11 miliardi di contributi previdenziali ogni anno, 7 miliardi circa di Irpef, per il 2% sulla spesa pubblica italiana: è come se pagassero 640.000 pensioni degli italiani – e, d’altro canto, lo sfruttamento nel lavoro nero è arrivato a forme quasi “schiaviste”, con casi di morte per sfinimento, ricatti sessuali per le donne, ecc. Ma è sentire abbastanza comune che l’immigrazione sia per il Paese un costo da sostenere più che una risorsa e che… gli immigrati “ci rubano il lavoro”. Muoiono a decine, a centinaia nel tentativo di arrivare in Europa, in mare ma non solo – morti assurde, una ragazza schiacciata da un TIR alla frontiera di Ventimiglia – ma la soluzione civile e anche economicamente sostenibile dei “corridoi umanitari” non sfiora i governi e susciterebbe probabilmente una diffusa ostilità. In ogni città d’Italia i tentativi di accoglienza umana – in luoghi idonei dello “Sprar” (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), ma perfino nei centri della CRI – scatenano a livello locale intolleranza e azioni di minaccia anche fisica. È vero che la rete di solidarietà è sempre attiva e sopperisce per quello che può alle immani carenze istituzionali, ma nonostante le denunce e le inchieste alternative, il sistema dei Cara, dei Cie, degli Hot spot, istituzioni “totali” dove il tempo sembra fermarsi e sono sospesi i diritti base e dove, secondo denunce sempre più numerose, regnano la sopraffazione, il ricatto, la violenza, non è messo in discussione in vista di un superamento. E per le comunità già insediate perfino il diritto di culto è di fatto seriamente ostacolato: da più parti si denuncia la difficoltà di aprire o tenere aperte le moschee, che sempre più spesso nelle nostre città vengono chiuse per futili e strumentali argomentazioni burocratiche legate alla sicurezza dei locali.

Interessi economici colossali sono in gioco nelle dinamiche migratorie e sta emergendo con chiarezza il peso dell’industria delle armi e della sicurezza sulle politiche della UE. Un’associazione pacifista belga, Agir pour la paix, organizza regolarmente a Bruxelles un “lobby tour” di un paio d’ore e una decina di tappe in cui presenta fisicamente le sedi dei principali responsabili della militarizzazione dell’accoglienza. Un’Europa che ha perso il senso di se stessa dimentica i diritti e i suoi principi fondanti e respinge contro ogni regola migranti provenienti da Paesi dove vige il terrore ai quali deve conferire lo status palesemente non rispondente al vero di “Paese sicuro”. È l’Europa del vergognoso accordo con Erdogan: aiuti e sostegno politico nella repressione interna e nel massacro del popolo curdo in cambio del favore di bloccare i flussi con ogni mezzo. 

Ma i flussi non si possono fermare. È stata individuata una nuova tipologia di migrazione, la migrazione con motivazioni “ambientali”, che nel prossimo futuro farà crescere in modo rilevante il numero delle persone in fuga dalla loro terra. Verranno comunque, perché il viaggio e la mescolanza sono nel DNA del genere umano ancora prima che intervengano le necessità economiche. Vengono e verranno con le loro energie che sono alimento per la vecchia Europa. Favorire l’incontro significherebbe anche aiutare noi stessi.

Potete respingere, non riportare indietro/è cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata. (Erri De Luca)

Cristina Mattiello è insegnante e giornalista, americanista, autrice di “Le Chiese nere. Dalla religione degli schiavi alla Teologia della Liberazione” (Claudiana, 1993) e “Le frontiere della solidarietà: Chiesa cattolica statunitense e New Deal” (Bulzoni, 1994).

* Foto di Gianpiero Addis, tratta dal sito Flickr, licenzaimmagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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