
Non è un Paese per donne
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 15 del 15/04/2017
In Italia, nonostante decenni di lotte sociali e politiche l'universo femminile si vede ancora oggi negare diritti fondamentali oltre che costituzionali. Pensiamo al diritto alla salute (art. 32) e di contro alla negazione del diritto alla salute psicofisica di una donna che decide di interrompere volontariamente la gravidanza, perpetrata dal perverso paradosso della legge 194/78 che permette a un medico obiettore di lavorare in ambito pubblico nei reparti di ginecologia e ostetricia. Oppure al percorso a ostacoli - ampiamente documentato dalle cronache - che deve affrontare chi ha bisogno di un contraccettivo d'emergenza. Oppure ancora, e questo è il caso più recente, al ticket di 28,50 euro che in Lombardia dal primo aprile devono pagare le ragazzine 14-18enni rivolgendosi al consultorio pubblico per una visita ginecologica, compreso il controllo post partum e quello post interruzione di gravidanza. E che dire della violenza esercitata nei confronti delle donne da alcuni articoli della sciagurata legge 40/2004 sulla fecondazione assistita? Come sappiamo, a distanza di 13 anni, questa legge risulta completamente smantellata dalla Corte Costituzionale anche perché manifestamente lesiva del diritto alla salute femminile.
Tutto ciò è accaduto nel tempo in cui la partecipazione femminile nella vita politica e istituzionale del Paese ha raggiunto almeno a livello numerico picchi inesplorati. Di sicuro è cresciuta progressivamente la consapevolezza delle donne, e non solo, della necessità di avere un’effettiva rappresentanza femminile nella politica, nelle istituzioni e nei corpi sociali intermedi. Eppure è ancora evidente un deficit nella parità sostanziale tra donne e uomini, e molti diritti sono ancora da considerare mere aspirazioni. Numerosi indizi inducono a pensare che arcaici pregiudizi morali e “di genere” in Italia trovino ancora terreno fertile. Come mai? Per provare a rispondere a questa domanda e a mettere in evidenza le radici ideologiche e culturali del pensiero che nega l'identità femminile, e che si traduce nelle prassi appena elencate, il 23 aprile (ore 16.30) insieme alla Garante per la protezione dei dati personali, Vanna Palumbo, e ai giornalisti Enzo Marzo (direttore di Critica liberale) e Simona Maggiorelli (Left) sono stato invitato dagli organizzatori delle Giornate della laicità (Reggio Emilia 21-23 aprile 2017) a una tavola rotonda dal titolo “L'Italia è un Paese per donne?”. Io illustrerò il caso di Giada Vitale. Quando era 13enne e per i tre anni successivi fu abusata da un sacerdote 55enne. Nel 2016 il Gip ha prosciolto l'uomo per i fatti accaduti dopo il compimento dei 14 anni che per la legge è l'età del consenso purché il minore non abbia subito delle pressioni tali da essere considerato incapace di intendere e di volere. La perizia psichiatrica di parte presentata da Giada, tra le altre cose orfana di padre, parla chiaro: lei era soggiogata. Ma il giudice pur non essendo un medico non ne ha tenuto conto. Per lui, come per il pm, quando è scattata la mezzanotte del giorno in cui ha compiuto 14 anni la ragazzina è diventata consenziente, avendo affermato davanti ai carabinieri di aver voluto bene al sacerdote. A vent’anni dall’entrata in vigore della legge, la credibilità della vittima di violenza è tuttora messa in discussione e quello di Giada purtroppo non è un caso isolato. Paradossalmente proprio nel luogo che dovrebbe restituire dignità alle donne vittime di stupro, spesso si consuma il tradimento della fiducia nella giustizia oltre che la lesione profonda di un diritto.
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