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Àntifa

Àntifa

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 16/09/2017

Mentre Harvey stava per abbattersi su Houston (il cui centro sorge a meno di 15 metri sul livello del mare), Donald Trump, con un nuovo decreto presidenziale, aboliva di fatto limiti e vincoli a costruzioni in aree alluvionabili. Nemmeno noi, in Italia, scherziamo, con il malcostume dei condoni all’abusivismo edilizio in zone per esempio a rischio sismico, ma rendere lecito preventivamente ciò che dovrebbe essere abusivo è qualità di pochi governi, anche nostrani.

Il disastro di Harvey, comunque, comporta anche uno scontro di teologie. Vari commentatori della destra più o meno cristiana, fra cui la qui famosa Ann Coulter, proclamano che il disastro è la punizione divina per il lassismo nei confronti degli omosessuali. Anche quando Manhattan era andata sott’acqua (uragano Sandy, ottobre 2012), proprio dal Texas erano partiti strali contro il permissivismo LGBTQ che inperverserebbe a New York. Tuttavia un paio di giorni fa, qui nei pressi di Chicago, un giovane di colore, davanti ad un supermercato, raccoglieva fondi e manifestava ad alta voce la sua protesta contro il governo, dicendo cose anche sensate. Ad un certo punto, però, il suo parlare assumeva toni profetici: tutti questi uragani sono la punizione di Dio perché abbiamo eletto Trump.

Capire da che parte stia Dio è un problema ricorrente nel pensiero teologico, oltre che nella riflessione quotidiana sulle nostre disgrazie, sempre in bilico fra teodicea e scetticismo. Presto, però, ci troveremo forse a dover decidere noi, oltre che Dio, da che parte stare.

Sta prendendo sempre più forza infatti un movimento chiamato “àntifa” (con l’accento sulla prima a) che è un’abbreviazione di “antifascismo, antifascista”. Un giovane docente precario al Dartmouth College di Hanover (New Hampshire), Mark Bray, ha appena pubblicato Àntifa: The Anti-Fascist Handbook. Ex attivista di Occupy Wall Street (sui cui aspetti anarchici ha pubblicato un volume nel 2013), Bray si pone il problema della resistenza violenta alla violenza fascista, partendo dall’Europa degli anni ‘20 e ‘30 per giungere all’America di oggi. Si può fermare il Ku Klux Klan e i vari gruppi di neonazisti che urlano “Heil Trump” per le strade e sprattutto gli enormi interessi economici di cui questi sono piccole avvisaglie superficiali, soltanto con prediche, belle parole, inviti alla non-violenza – o magari accettazione del sacrificio? Bray ritiene che, a casi estremi e a fronte della colpevole latitanza delle forze dell’ordine, l’autodifesa possa e debba essere anche violenta. Il libro appena uscito è già un best-seller; l’autore è comparso in numerosi talk show; ha sùbito incominciato a ricevere minacce di morte per e-mail e via Twitter; il suo rettore-presidente lo ha pubblicamente sconfessato; un centinaio di colleghi ha scritto una lettera aperta in sua difesa contro il rettore...

Certo, gli auguriamo di cavarsela senza ossa rotte, ma il problema esiste e ha molti aspetti. Quello politico è che la presenza di una resistenza armata permette la formulazione della teoria degli opposti estremismi, già utilizzata da Trump all’indomani dei fatti di Charlottesville, e permetterà sempre più decisi interventi repressivi che appariranno giustificati agli occhi della gente (di solito malinformata da media controllati dalla grande finanza). Quello storico-etico è ancora più grave: un’ingiustizia violenta e strutturata, come in passato il nazifascismo o la schiavitù, potrebbe essere fermata o abbattuta senza una controviolenza anch’essa sanguinosa? Si era posto con lucidità il dilemma Paolo VI nella Populorum Progressio, arrivando sino alla famosa “eccezione” del par. 31: dopo 50 anni esatti, che cosa è rimasto di quel testo, quintessenza del cattolicesimo postconciliare? 

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