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Il cosmo come rivelazione. Un nuovo passo nel percorso “oltre le religioni”

Il cosmo come rivelazione. Un nuovo passo nel percorso “oltre le religioni”

Tratto da: Adista Documenti n° 15 del 28/04/2018

DOC-2908. SAN PIETRO IN CARIANO (VR)-ADISTA. Per la teologia, il dialogo con la scienza, più che una scelta, è diventato una necessità. Perché è indubbio che la conoscenza del cosmo e dei suoi processi offre uno spazio immenso all’eterna e irrinunciabile ricerca da parte degli esseri umani di un senso da dare alla loro esistenza, all’inquietudine di voler sapere chi siamo noi, da dove veniamo e dove siamo diretti, e perché siamo qui. Parte da qui la riflessione del libro Il cosmo come rivelazione. Una nuova storia sacra per l’umanità, seguito ideale del libro Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana e, come questo, frutto di una collaborazione tra Il Segno dei Gabrielli e Adista (2018, pp. 240, euro 17; il libro può essere acquistato anche presso Adista, scrivendo ad abbonamenti@adista. it; telefonando allo 06/6868692; o attraverso il nostro sito internet, www.adista.it).

Curato dalla nostra redattrice Claudia Fanti e dal teologo José María Vigil, il libro raccoglie gli interventi di José Arregi, Leonardo Boff, Ivone Gebara, Manuel Gonzalo, Diarmuid O’Murchu oltre che dello stesso José María Vigil, i quali si misurano tutti con le sfide poste alla teologia dalla rivoluzione innescata dalle nuove conoscenze dell’universo. Nella convinzione che se, come sosteneva Max Plank, «la scienza non può risolvere il mistero ultimo della natura» perché, «in ultima istanza, noi stessi siamo parte del mistero che cerchiamo di risolvere», la sua visione può senz’altro aiutare la teologia a purificare l’immagine di Dio e la sua relazione con il mondo. Così, se l’urgenza di una riformulazione del messaggio cristiano era stata già evidenziata con forza dagli autori di Oltre le religioni, Il Cosmo come rivelazione muove un passo oltre, cercando risposte alle sfide poste dal nuovo racconto cosmologico ai miti e ai dogmi delle religioni abramitiche.

È il caso, per esempio, della contraddizione tra l’immagine di Dio del cristianesimo, un Dio personale, distinto dal mondo e al di sopra di esso, che da lassù interviene regolarmente e miracolosamente nella storia, e una visione scientifica che considera tale azione inammissibile, consentendoci tuttavia di immaginare Dio come il potere interno dello stesso essere, Mistero di bellezza e di amore, un Dio che, scrive Diarmuid O’Murchu, «manifesta pienamente il proprio sé nel processo evolutivo della creazione». È il caso, ancora, dello scontro tra la concezione cristiana di una verità universale e immutabile e la descrizione, offerta dalle scienze, di una realtà fluida, aperta e in divenire. O della sfida che la scienza pone all’idea del peccato originale, così profondamente radicata nel linguaggio cristiano e così fuori luogo nella nuova visione evolutiva del cosmo. Una visione, tuttavia, a cui la teologia può ispirarsi per trasferire in un futuro possibile quell’ideale di perfezione collocato dalla religione in un passato immaginario.

È proprio il nuovo racconto cosmologico - la nostra vera storia sacra - ad offrirci del resto motivi per avere fiducia, se è vero che, pur in mezzo a forze contrapposte di distruzione e nascita, di involuzioni e avanzamenti, le energie creative dell’universo hanno ottenuto nel corso della sua storia successi tanto brillanti. Come infatti sottolinea Leonardo Boff, «tutto sembra essere stato predisposto affinché, dalla profondità abissale di un oceano di energia originaria, sorgessero prima le particelle elementari, poi la materia ordinata, quindi quella materia complessa che è la vita e, infine, la materia viva che diventa autocosciente, costituendo una suprema unità olistica: la coscienza». Perché noi potessimo stare qui, insomma, «è stato necessario che tutti i fattori cosmici, in tutti i 13,7 miliardi di anni dalla nascita dell’Universo, si articolassero e confluissero in maniera tale da rendere possibile la complessità, la pan-relazionalità, l’interiorità soggiacenti alla vita umana e alla coscienza».

E allora, nella misura in cui mette sempre più chiaramente in soffitta le vecchie formulazioni, lo spettacolare sviluppo delle scienze produce una visione interamente nuova della natura, di noi stessi, di Dio, consegnandoci un mondo incomparabilmente più grande e più ricco, misterioso e straordinariamente traboccante di vita. «Siamo - scrive Vigil - in un mondo illuminato, vitale, ricco di energia, dinamico, evolutivo, creativo, ultraconnesso e segnato da una costante traiettoria ascendente verso nuove forme e nuovi stati. Il solo fatto di sapere che stiamo in questo mondo, in questo tipo di mondo, accende in noi una fiamma, ci colma di energia e ci fa vibrare di emozione spirituale».

E ora che, grazie alle nuove scienze cosmologiche, sappiamo che l’universo non ha un sopra e non ha un sotto, che non ci sono dualismi né trascendenze, che non ha senso parlare di naturale e di soprannaturale, è nella realtà stessa che finalmente possiamo cogliere quella sacralità che avevamo trasferito in una divinità separata, esterna, collocata su un piano superiore. Come evidenzia Manuel Gonzalo, «è necessario assumere i cambiamenti legati alla visione del Cosmo offerta dalla scienza moderna», per scoprire che «anche la nostra immagine di Dio è in “espansione”». E per capire, secondo le parole di José Arregi, che «quando diciamo “Dio”, non spieghiamo cosa sia il mondo né perché esista, ma riconosciamo che tutto è un miracolo inesplicabile».  

Del resto, se, «contro Cartesio e Newton», la nuova cosmologia ci suggerisce, secondo José María Vigil, che l’immagine che siamo chiamati ad avere di questo universo «ha più a che fare con il pensiero che con una macchina», conducendoci «a percepire la mente come immanente a questo cosmo quasi-spirituale, quale inconveniente ci sarà mai a percepire anche Dio, in qualche modo, come immanente?». Così, suggerisce il teologo, in «questa grande Mente che ispira, guida e costituisce il processo evolutivo universale», in «questo Mistero che ci si rivela presente in tutti i livelli di auto-organizzazione, auto-regolazione e creatività emergente del cosmo» potremmo individuare «immagini nuove e più adeguate della sacralità di questa realtà misteriosa che chiamiamo cosmo».

E allora, commenta Ivone Gebara, «è forse arrivato il momento di iniziare a parlare meno in nome di Dio e più in nostro nome. È arrivato il momento di non collocare più la trascendenza in un essere perfettissimo e passare lentamente a percepire che sono l’Universo, la Terra e tutti gli esseri a trascendersi gli uni con gli altri». È arrivato il momento di una rivoluzione spirituale, oltre che scientifica ed epistemologica, in quanto legata, secondo le parole di Vigil, alla nascita di una nuova spiritualità eco-centrata che colloca se stessa e si auto-riconosce all’interno di un cosmo inteso come oikos, come casa, come nostra placenta spirituale.

Ed è proprio qui che si incontra il senso della celebrazione della Pasqua cosmica con cui si conclude il libro, un inno alla storia del cosmo come nuova storia sacra per l’umanità. Ne riportiamo il testo qui di seguito.  

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