Conflitto israelo-palestinese. La violenza della forza contro la forza del diritto
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 15/09/2018
Apparentemente il conflitto israelo-palestinese è in una fase di stallo. In realtà ad essere bloccate sono soltanto le cosiddette trattative di pace. Rivelatesi un espediente astutamente utilizzato da Israele per ottenere concessioni dall’Autorità Nazionale Palestinese senza nulla concedere in cambio e per prendere tempo al fine di moltiplicare gli insedia-menti di coloni nei Territori Palestinesi Occupati (TPO), le “trattative” sono state interrotte e non vi sono segnali che preludano ad una loro ripresa. Riprenderle, in fondo, non conviene ad alcuna delle parti. Non conviene a Netanyahu, perché con la tecnica del fatto compiuto e l’aiuto di Trump riesce a conseguire quel che vuole senza trattare. Non conviene ad Abu Mazen, il quale sa che da esse non trarrebbe alcun risultato utile per la causa palestinese, stante lo squilibrio dei rapporti di forza e l’assenza di un mediatore auspicabilmente equo tutt’altro che equanime.
Il conflitto prosegue in sordina a tutto vantaggio di Israele che ha segnato negli ultimi tempi alcuni sostanziali passi in avanti nella realizzazione del suo progetto di annettere di fatto pressoché tutti i TPO e l’intera Gerusalemme. Il 14 maggio scorso, a seguito di un’arbitraria decisione di Trump che non trova alcun fondamento nel Diritto Internazionale, l’ambasciata statunitense ha portato a Gerusalemme la propria sede, sbandierando così che gli USA riconoscono quella città quale capitale di Israele. Il successivo 19 luglio il Parlamento israeliano ha votato una legge che definisce Israele «Stato della Nazione Ebraica» e dichiara «l’estensione degli insediamenti dei coloni di interesse nazionale». Nonostante ciò sia in flagrante violazione delle Risoluzioni dell’Onu che costituiscono il contesto che legittima l’esistenza stessa dello Stato di Israele, non vi è stata alcuna reazione minimamente efficace da parte dell’ONU, e la comunità internazionale è rimasta inerte, nella più assoluta indifferenza. Solo i palestinesi hanno protestato, in particolare a Gaza dove a partire da venerdì 30 marzo, in occasione della ricorrenza della Giornata della Terra, è stata organizzata la “Marcia per il Diritto al Ritorno” che ogni venerdì ha portato migliaia di «donne, uomini bambini anziani, disabili» a schierarsi al confine con Israele, che è stato raggiunto con i mezzi più diversi «a piedi in moto in macchina con il ciuco o il cavallo». Così Meri Calvelli, fondatrice ed animatrice del “Centro Italiano di Scambi Culturali – VIK” di Gaza, che da testimone oculare ha descritto la manifestazione sin dal suo primo giorno come «una grande forza popolare per la libertà. Volti sorridenti, fiori in mano, anche se spari e gas si intrufolavano ferendo e uccidendo decine di persone». La reazione di Israele è stata feroce quanto ingiustificata per la materiale impossibilità dei manifestanti di superare gli sbarramenti posti a difesa del confine e l’assoluta assenza di armi da parte loro. Ogni volta morti e feriti, tutti e solo nel campo palestinese. Nei 22 venerdì intercorsi dal 30 marzo al 23 agosto l’esercito israeliano, appostato dietro il confine con cecchini, armi pesanti e carri armati, ha ucciso 171 persone, tutte civili e senza armi, di cui 27 bambini, 4 donne, 2 giornalisti, 3 paramedici, e ne ha ferite altre 18.300, di cui 3.600 bambini, 1.750 donne, 261 giornalisti, 379 tra paramedici e medici.
Quel che è avvenuto al confine tra Gaza ed Israele in questo periodo, cioè la violenza feroce e indiscriminata delle armi contro l’invocazione del Diritto, è emblematico; rappresenta il paradigma del conflitto asimmetrico tra Israele e il popolo palestinese.
Il 24 agosto, proprio mentre i palestinesi manifestavano pagando un così duro prezzo per invocare il diritto loro riconosciuto dall’ONU a ritornare nelle loro case e nelle loro terre, l’ineffabile presidente Trump decideva di ridurre di altri 200 milioni di dollari, dopo il taglio di 65 disposto a gennaio, i fondi che gli Usa verseranno all’UNRWA.
Anche quest’ultima decisione di Trump è di particolare gravità. Dal momento che l’UNRWA è l’agenzia dell’ONU appositamente creata con la Risoluzione 302 dell’8 dicembre 1949 per soccorrere i profughi palestinesi, metterla in crisi riducendole il budget mira evidentemente a creare le condizioni perché i rifugiati nei campi profughi siano costretti a riparare altrove, allontanandosi ancora di più dai luoghi di origine (altro che ritornarvi!). L’intento di Trump è dunque evidente: secondare la realizzazione del Grande Israele voluto dal Governo e dalla maggioranza parlamentare israeliana. Anche in questo caso è la violenza della forza che prevale sul Diritto. Il che sta a dimostrare una volta di più che senza un “potere” che ne imponga il rispetto, il Diritto può facilmente ridursi a un flatus vocis. Questo è il nodo cruciale della vicenda.
Il gioco di Israele e del suo principale alleato, gli USA, si avvantaggia poi, e non poco, delle divisioni del fronte avversario. Divisioni che lo indeboliscono ancora di più e non sono di poco conto, non limitandosi a rivalità di potere, ma nascendo dalla divaricazione degli obiettivi strategici che la comune finalità della creazione di uno Stato palestinese non può unificare perché è proprio sulla concezione dello Stato, sul tipo di Stato cui tendere che nascono le ragioni del contrasto tra chi lotta per uno Stato laico e democratico e chi fa leva sulla profonda religiosità mussulmana per caratterizzare in senso islamico l’auspicato Stato.
Su questa divaricazione si inserisce Israele e giocano anche molti dei Paesi arabi in cui vigono regimi che hanno poco o nulla di laico e democratico e quindi vedono di pessimo occhio la prospettiva che sorga in Medio Oriente una democrazia laica.
Ci si trova di fronte dunque ad un duplice rebus di difficile soluzione. Come dare al Diritto la forza necessaria per prevalere su quella delle armi e dell’arbitrio e come unificare il fronte palestinese. I due rebus sono intrecciati in quanto senza risolvere il secondo è ancora più problematica la soluzione del primo.
È da questo che bisognerebbe partire. Ma fin quando nel campo palestinese ognuna delle parti in causa resterà concentrata a considerare le proprie ragioni e i torti altrui, i contrasti non si supereranno. Occorrerebbe invece che tutte le parti si rendessero conto che, come insegna il Manzoni nei Promessi Sposi, i torti e le ragioni non si dividono con il coltello e trovassero il modo di far fronte comune per non regalare tutta la Palestina ad Israele.
* Nino Lisi è membro della Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese
* * Guerra a Gaza, giorno 18: foto [ritagliata] Al Jazeera Creative Commons Repository - scatto del 13/01/2009, tratta da Wikimedia Commons, licenza Creative Commons
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LO SCENARIO POLITICO PALESTINESE
ORGANIZZAZIONE PER LA LIBERAZIONE DELLA PALESTINA - OLP
Fondata nel 1964 per raccogliere tutte le formazioni politiche in lotta per la liberazione della Palestina,oggi non tutte vi si riconoscono. Suoi organi sono il Consiglio Nazionale Palestinese ed il Comitato Esecutivo. È stata considerata Rappresentante Legittimo del Popolo Palestinese, e come tale ha goduto dello Statuto di Osservatore all’Assemblea Generale dell’ONU e ha partecipato senza diritto di voto al Consiglio di Sicurezza.
AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE - ANP
Istituita nel 1993 per effetto degli Accordi di Oslo stipulati tra l’OLP ed Israele, per la cura dei vari aspetti della vita quotidiana della popolazione palestinese deiTPO, ha piena responsabilità dell’Amministrazione Civile e della polizia nella zona dei TPO denominata A; nella Zona B ha il controllo dell’Amministrazione Civile e non quello della sicurezza, che è di Israele; nella Zona C – ove sorgono abusivamente gli insediamenti dei coloni israeliani e sulla quale le forze militari di occupazione israeliane esercitano un controllo totale – mantiene solo una limitata autorità esclusivamente sui civili palestinesi. La risoluzione 67/19 dell'Assemblea Generale dell’ONU del 29 novembre 2012 le ha conferito lo status di osservatore permanente, come Stato non membro. È subentrata così all’OLP nella rappresentanza del popolo palestinese.
LE PRINCIPALI FORMAZIONI POLITICHE
•FATAH – LA CONQUISTA – Nato nel 1957, dal 1959 alla guida per anni della lotta armata contro lo Stato di Israele, ha avuto sin dall’inizio un’ispirazione laica,democratica e progressista sul piano sociale. Sostenitore strenuo dell’OLP e dell’ANP, legato alla formula “2 Popoli 2 Stati”, propugna l’idea di uno Stato Laico e Democratico.
•HAMAS – MOVIMENTO ISLAMICO DI RESISTENZA – Nato nel 1987, di ispirazione religiosa; malgrado nel suo statuto dichiari che la soluzione del conflitto con Israele non possa trovarsi che nel jihad, nel luglio del 2009 si è dichiarato disposto ad accettare uno Stato Palestinese nei confini del 1967, riconoscendo quindi di fatto l’esistenza di Israele. Nel 2007 a seguito delle elezioni del 2006 ha assunto il governo della Striscia di Gaza sottraendolo all’ANP.
•FRONTE POPOLARE PER LA LIBERAZIONE DELLA PALESTINA – Nato nel 1967 nel clima del “risorgimento arabo” guidato da Nasser e quindi con una forte impronta nazionalista, nel 1971 ha optato per una linea marxista-leninista.
•FRONTE DEMOCRATICO PER LA LIBERAZIONE DELLA PALESTINA – Nasce nel 1969 scindendosi dal Fronte Popolare ed assumendo una connotazione politica più marcata.
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