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Convegno Uffici Catechistici. Corporeità e sessualità: le donne invisibili

Convegno Uffici Catechistici. Corporeità e sessualità: le donne invisibili

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 45 del 29/12/2018

Nel novembre scorso il benemerito sito Alzo gli occhi verso il cielo dava dava conto di un Convegno dei Direttori degli Uffici Catechistici Diocesani: “‘La Gloria di Dio è l’uomo vivente’. Essere annunciatori e catechisti in Italia oggi”, organizzato dalla Conferenza episcopale italiana e dall’Ufficio catechistico nazionale. Ciò che rende davvero una chicca questa iniziativa è la declinazione che il convegno ha imboccato: “Vivere la corporeità e la sessualità”, relatore Luciano Manicardi, priore di Bose. Nell’introduzione il relatore precisa che un tema così delicato sarà suddiviso in 12 punti. Per ragioni di spazio, mi limito ad alcuni. Va da sé che il mio commento è parziale; è inoltre animato da quella che Elisabeth Schüssler Fiorenza chiama «ermeneutica del sospetto». Il discorso non può essere imparziale, asessuato: ricercare è dialogo con l’altro/a.

Il testo integrale è disponibile nel sito di Bose.

Prima di inoltrarmi nella materia, rilevo che è una gran bella notizia quella che la CEI abbia dischiuso la sua indifferente impenetrabilità al tema della corporeità/ sessualità. Fiato allo shofar! Ma nello stesso tempo si tratta di un già e non ancora. Non si può non provare rammarico infatti già nella lettura dell’affiche, dove si legge: “Essere annunciatori e catechisti in Italia oggi”, tutto rigorosamente al maschile. Come rilevai in un mio testo (“Chiese, anime, corpi: di donne e di uomini”, Esodonline, 4/4/2015), il mondo catechistico vede una presenza massiccia di figure femminili. La guida degli uffici diocesani al 98% è affidata ad uomini, mentre il 90% dei catechisti sono donne (dati tratti dalla relazione di Serena Noceti a Camaldoli, durante il convegno: “Una Chiesa di donne e uomini”, 2014). Ogni commento è superfluo…

Stimo Manicardi per la lucidità e acutezza di tanti suoi interventi. E a maggior ragione è ammirevole che abbia assunto la sfida di scalare una cima così alta come è quella della sessualità nel contesto ecclesiale, decostruendo e scardinando molti assunti, invitando a rivalutare sensi e corpo: «Il corpo è appello e chiamata», «Impariamo la nostra lingua materna attraverso il corpo», «Se la sessualità umana non è tanto questione di carne, ma di desiderio, ecco che essa si profila come un lavoro, una fatica»; «C’è una dinamica pasquale nell’atto erotico: come nell’agape, così anche nell’eros la dinamica è quella di perdersi per ritrovarsi», egli annoda sviluppando il pensiero; grande giubilo a tali annunci. Nelle parti dedicate al Cantico dei Cantici (contenenti una preziosa citazione da Rosenzweig) ho trovato radianza. Ed esprimo gratitudine sincera di ciò.

C’è una produzione ampia e qualificata che pensiero/pratiche femministe (anche in campo teologico) hanno costruito negli anni su questi temi. L’autore però non la nomina (tranne una telegrafica citazione di Luce Irigaray); non è un caso che le sua argomentazione la ignori, semmai è la norma degli ambienti accademici.

Nondimeno i suoi contenuti sono qui abbastanza utilizzati, sebbene con un taglio che li deforma; atto di appropriazione? Più semplicemente viene a galla un pregiudizio sotterraneo che disconosce per lo più la produzione dischiusasi nel pensiero delle donne. Soprattutto in questa materia, un atto di gratitudine sarebbe stato un gesto onesto e fraterno. Non solo: il silenzio, l’omissione del dominio culturale e spirituale che gli uomini del clero hanno esercitato per secoli su corpo e anima delle donne è un aspetto che mi ha colpito: a maggior ragione dopo avere intercettato le autocritiche che pastori maschi, semplici cristiani, singoli uomini nel mondo laico hanno espresso mettendo in questione la loro mascolinità e il tradimento al Vangelo operato nelle relazioni di genere nelle loro comunità. Si vedano, per esempio, le Tavole Rotonde Interreligiose che si sono svolte a Bologna su questi temi (https://www.saebologna.gruppisae.it/index.php/osservatorio-interreligioso-contro-la-violenza-sulle-donne/documentazione).

Un piccolo esempio del disconoscimento che percorre il testo in questione è rappresentato dalle note in margine, che sono – tranne una – indicazioni bibliografiche. I nomi che compaiono sono quelli di Agostino, Alexander Lowen, Franz Rosenzweig, Jean- Pierre Sonnet, Solomon Schimmel, Zygmunt Bauman, Eric Fuchs, Giannino Piana. Che dire?

Al suo esordio Manicardi pronuncia parole sacrosante. Riconosce che occorre declinare l’ argomentazione secondo i generi e mette in luce l’anomalia eclatante che si sta verificando nel qui e ora del colloquio in atto. «A parlare di questo tema vi è un maschio – afferma – per di più celibe che parla a una maggioranza di maschi, per lo più anch’essi celibi, perché preti e religiosi. Eppure il corpo e la sessualità femminile rappresentano la metà dell’umanità. Sarebbe necessario quindi, almeno un discorso a due voci, anche sul piano catechetico… L’Umano si esprime nella relazionalità e trova nell’espressione sessuale uomo-donna un momento di vertice». Presto ahimè questa preziosa attenzione evapora e si eclissa. Ed è davvero bizzarro che, solo pochissime righe dopo, si dica: «L’immagine e somiglianza di Dio che l’uomo è si manifestata nell’umano…» (corsivo mio): una amnesia o un pregiudizio resistente a ogni buon proponimento? Il termine uomo usato inclusivamente per maschio e femmina ricorrerà altre volte.

Al paragrafo 3 “Il corpo, soggetto della vita spirituale”, il relatore entra nel merito delle polarità che hanno contraddistinto la teologia e la dottrina cristiana. «La vita spirituale – afferma – si è troppo nutrita di polarità presto divenute antitesi inconciliabili: interiore-esteriore, io interiore-io esteriore, sensibilità-interiorità, spirito-materia, ascolto-visione, corpo-anima, ecc. Il rischio è quello di contrapporre e separare ciò che Dio ha unito…». Un passo avanti nella direzione di una teologia più evangelica, umana, rispettosa dei generi. Ma occorre fraternamente/sororalmente rilevare:

a) il silenzio sul fatto che questo punto ha rappresentato un cardine irriducibile nella critica teologica e filosofica delle donne. Tale smemoratezza riguardo al riconoscere la precedenza intellettuale delle donne in merito a questi concetti – che sono oramai un sapere solido nella teologia femminista – appare un’altra “stranezza”;

b) l’omissione riguardo al fatto che le citate antitesi, fondamento dei contenuti teologici, non solo sono fonte di disunione – come il relatore dice – ma anche strumento per gerarchizzare, e ne va dei generi ancora una volta. Uno dei due poli della antitesi è (stato) considerato non solo opposto all’altro, ma inferiore. E il deprezzamento attiene alla sfera dei sensi, del corpo, della materia, mentre spirito e anima abita(va)no la sfera alta. Come i pitagorici avevano insegnato, la donna era tutt’uno con il corpo, ed essendo il corpo deprezzato, parallelamente anche la donna non poteva che risultare un essere inferiore. Nel punto 5, il teologo reagisce alle critiche rivolte dall’universo laico in merito alla sessuofobia del cristianesimo. «…Occorre riandare ai testi fondatori, alla Scrittura, e poi, eventualmente vedere ciò che ha portato a distorsioni così clamorose della bontà e santità del corpo, da dar adito a critiche così impietose. A me sembra che si possa dire che il cristianesimo non sia colpevole di aver rifiutato la sessualità, ma forse di aver cercato con tutti i mezzi, anche repressivi, di dirne il senso etico… Nel cristianesimo il corpo non è solo redento, ma soprattutto “soggetto” della redenzione, come ricorda la celebre affermazione di Tertulliano... caro cardo salutis». Coup de théâtre: amnesia catartica? beffa? (così insinua Marinella Perroni a proposito di un episodio analogo, raccontato nel suo contributo al libro Non solo reato, anche peccato. Religioni e violenza contro le donne).

Se la dimensione corporea, umana di Gesù, la fisicità di alcuni suoi gesti (l’uso della saliva per un impasto con cui guarire il sordomuto, cf. Mc 7,33, per esempio) testimoniano il valore della corporeità, non sono però utilizzabili per nascondere le concezioni di mortificazione corporale e per sorvolare – con un’operazioni trasformistica – sulla pletora degli enunciati nella storia della dottrina della Chiesa che hanno denigrato (o disprezzato) la carne e il matrimonio.

Se il cristianesimo è fede in un Dio fattosi carne, il Cantico dei cantici fu interpretato dalla Chiesa cattolica, fino a pochi decenni fa, come allegoria, scartando recisamente l’idea della celebrazione dell’unione di maschio e femmina. Basterebbe il celeberrimo remedium concupiscientiae, che stigmatizza la sessualità ed accetta il matrimonio solo per fini procreativi. Il teologo Eric Fuchs, in Desiderio e tenerezza – testo segnalato da Manicardi – ripercorre queste tappe. Eccone frammenti: «Quanto a me, penso che le relazioni sessuali vadano radicalmente evitate. Penso che nulla avvilisca lo spirito dell’uomo quanto le carezze di una donna e i rapporti corporali che fanno parte del matrimonio», firmato Agostino. Fuchs commenta: «È evidente che la perdita di sé nell’atto sessuale, vissuta come umiliazione, denuncia la connivenza che la sessualità intrattiene col peccato» (pag. 102). Anche Gregorio di Nissa brilla nel saldare peccato e sesso: «Il matrimonio “fu inventato per consolare dalla morte”, è dunque una conseguenza del peccato, un male minore, ma che finisce per collaborare con il regno della morte», pag.104. La frase di Tertulliano, poi, provoca un cortocircuito con un’altra dello stesso apologeta: «Voi [donne] siete la porta del demonio; con quanta facilità avete distrutto l’uomo, l’immagine di Dio. A causa della morte che avete attirato su di noi, persino il figlio di Dio è dovuto morire».

Nel paragrafo 9, persiste la trattazione che non differenzia tra i sessi. Stessa cosa per il paragrafo successivo, dove i fenomeni di «tecnicizzazione del sesso, la sua virtualizzazione mediante Internet, la sua regolamentazione da parte del mercato e dell’industria » e la figura del «collezionista di esperienze o di sensazioni» vengono descritti senza nessuna preoccupazione di sottolineare che i rapporti di potere presenti nell’ industria – culturale e non – sono di marchio maschile (basta osservare la rappresentazione femminile nel commercio). Gli stili e profili sessuali menzionati sono prevalentemente maschili; se alcune donne ora li ricalcano è perché sono state catturate dall’omologazione al modello vincente: ciò è una spiegazione, non una giustificazione.

L’oblio delle differenze di genere si sedimenta nel momento delle raccomandazioni alla tenerezza. Non sarebbe stato il caso di evidenziare che la disattenzione (o allergia) alla tenerezza costituisce, per l’appunto, un tipico tratto delle performance maschili? In questo paragrafo, comunque, rientra in scena, timidamente, quella differenziazione di cui si era persa traccia. Occorre «mettere freni alla propria forza – osserva il relatore riferendosi alle condotte maschili – e dunque arginare la possibile violenza che è comunque insita nell’esercizio sessuale, nella penetrazione, e soprattutto nella sessualità maschile che si caratterizza per una certa aggressività, una certa violenza per ottenere soddisfazione immediata». La tendenza all’aggressività maschile e alla soddisfazione immediata è nominata: il germoglio è dunque spuntato. La fuggevole pennellata sulla sessualità femminile si scolora nell’evanescenza, e dal riduttivo approccio Manicardi esce con l’inoppugnabile riferimento alla maternità. Inesistente il corrispettivo maschile: ancora una volta ignorate l’attitudine generativa dell’uomo assunta non come virilità ma come responsabilità alla paternità.

Un accenno alla ripetizione insistente nel testo sulla maschilità di Gesù, senza mettere in luce l’anomalia di questa stessa maschilità, che si distanza superbamente dagli stereotipi della virilità. Si affaccia alla mia mente quel «Se Dio è maschio, allora il maschio è Dio», di Mary Daly: un cattivo pensiero? Sì, lo confesso.

Concludo con due passaggi dell’Evangelii gaudium – 198 e 212 – che saldo in un unico. «Siamo chiamati a scoprire Cristo [nei poveri], a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause… Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti». Riconoscere i debiti che il clero ha nei confronti della sessualità calpestata delle donne (quelle povere sono quelle che pagano i prezzi più alti e sopratutto in questo campo) e ascoltarle è un modo per disporsi alla condivisione del banchetto offerto da Gesù- Sapienza. 

* Portavoce dell’Osservatorio interreligioso contro la violenza di genere, Paola Cavallari è socia del Coordinamento Teologhe Italiane e redattrice di Esodo.  

* * Melchiorre Cafà, Apoteosi di Santa Caterina (chiesa di Santa Caterina a Magnanapoli - Roma), prima del 1667 - foto [ritagliata] di Sailko del 2015 tratta da Wikimedia Commons, licenza Creative Commons

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