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Difesa... letale

Difesa... letale

Tratto da: Adista Notizie n° 14 del 13/04/2019

A tempo debito, molti anni fa, scelsi di optare per il servizio civile, come obiezione di coscienza a quello militare. Una decisione che, inizialmente, in famiglia non fu particolarmente apprezzata: direi piuttosto accettata con una certa rassegnazione, da parte di genitori con un figlio che, già mettendosi in testa di studiare teologia pur privo di alcuna vocazione presbiterale, mostrava una qualche originalità nel suo cammino esistenziale.

Agli inizi degli anni Ottanta fui il primo a Carpi a fare il servizio civile: per me, in realtà, senza alcun integralismo si trattava semplicemente di una scelta cristiana, l’unica, ai miei occhi, coerente con il Vangelo e lo stile di vita di Gesù, e con la sua radicale nonviolenza. Fra l’altro, non ebbi a pentirmene, perché trascorsi un anno presso l’Unità Sanitaria Locale, con bambini e ragazzi portatori di handicap, occasione per venire a contatto con sofferenze quotidiane di cui non sapevo nulla: quelle dei soggetti in questione, quelle di un’istituzione che stava faticosamente cominciando a rapportarsi al tema puntando a politiche di inclusione sociale, e quella, ovviamente, delle loro famiglie.

Guidati da due giovani educatrici, insieme a un amico che svolgeva il mio stesso servizio, ci demmo da fare per portare i ragazzi affidatici il più possibile in situazioni di socializzazione, dalla piazza al bar, e così fummo oggetto da parte di qualche benpensante di una pur favolosa battuta: «Quando quelli là vanno in giro, non si capisce mai quali siano gli obiettori e quali i disabili». Per me, naturalmente, una medaglia al valore…

Sono tornato con la mente a quella stagione lontana a causa della recente approvazione in Parlamento della Legge sulla (cosiddetta) “legittima” difesa.

Essere stato obiettore di coscienza al servizio militare mi impedisce infatti di detenere il porto d’armi, per cui quel provvedimento non mi riguarda direttamente.

Indirettamente, però, sì: e non posso che accodarmi, al riguardo, alle franche riflessioni del vescovo e presidente di Pax Christi, Giovanni Ricchiuti che, a pochi giorni dal voto in aula, l’ha giudicata «pericolosa, inutile e assurda».

Anche perché, nonostante il tardivo tentativo della maggioranza politica che l’ha voluta e votata di tentare di smorzarne i potenziali effetti devastanti, si correrà il rischio reale di far aumentare il numero di armi in circolazione e il loro sempre più agevole utilizzo.

Ricchiuti sostiene, e credo abbia ragioni da vendere, che si tratti di un provvedimento giuridicamente e costituzionalmente assurdo, oltre che contrario allo stato di diritto, alla gerarchia dei valori e dei beni, e alla giusta proporzionalità tra beni minacciati e beni offesi. Il rischio, evidentemente, è che in tal modo aumentino ancor più le paure sociali e la convinzione – errata, ma tant’è – che sia possibile farsi giustizia da soli, anche senza processo. «Non abbiamo bisogno di leggi-manifesto, di leggi promotrici di paura», ha sottolineato il vescovo.

Alla possibile guerra di tutti contro tutti sarebbe necessario, piuttosto, opporre l’idea di una sicurezza comune garantita dalle leggi, dagli strumenti del diritto, dalla prevenzione, da una cultura ben distante dalla logica amico/nemico.

I Paesi in cui sono state approvate leggi di questo tipo, «più che scoraggiare i malviventi, del resto, li hanno resi sempre più violenti e armati», si legge anche sul mensile Vita Pastorale di aprile (vedi anche qui). Esempio di scuola, lo Stato della Florida: dove il rilascio, in pochi anni, di trecentocinquantamila licenze per armi ha provocato non una diminuzione bensì un aumento dei crimini. Ma soprattutto, dove si è mandato un messaggio sbagliato e pericoloso. Come sta accadendo anche qui, purtroppo.   

Saggista, esperto di dialogo ecumenico e interreligioso, Brunetto Salvarani è docente di Teologia del Dialogo alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna

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