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Settore energetico, per le donne molta formazione e poco potere

Settore energetico, per le donne molta formazione e poco potere

Le donne italiane operanti nel settore energetico, pur con una elevata qualifica formativa, non hanno accesso alle posizioni apicali. E’ questa l’estrema sintesi del secondo rapporto sulla parità di genere nel settore, coordinato dall’ENEA nell’ambito di un’iniziativa dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) che ha preso in esame sei paesi: Australia, Austria, Canada, Cile Finlandia e Italia. «Il primo importante passo per cambiare è avere una solida conoscenza del panorama attuale» esordisce il rapporto pubblicato sul sito della IEA, puntualizzando sulla mancanza di una coerente aggregazione di dati nel ??settore energetico (dal punto di vista di genere) e la conseguente inadeguata conoscenza su come rendere il settore più equilibrato tra uomini e donne. Il rapporto mira a fornire «il supporto necessario per la creazione di un sistema informativo idoneo a monitorare lo stato corrente del settore, implementare azioni e monitorare i progressi» al fine di «supportare lo sviluppo di politiche e azioni che possano accelerare la parità di genere e consentire pari opportunità per uomini e donne in futuro».

I dati emersi dal rapporto parlano chiaro: il nostro Paese occupa un’ottima posizione nella formazione scientifica, con il 37% di donne sul totale dei laureati (contro un massimo del 40% raggiunto dalla Svezia), mentre nell’alta formazione si piazza in testa alla classifica con il 52% di donne che possiede un dottorato di ricerca.

Ciò nonostante, prendendo in esame le posizioni di potere nel settore pubblico e privato, l’Italia si situa a livelli molto bassi. La percentuale di ministri donne competenti in materia di Energia si profila con una media del 13% nel periodo 1980-2017 (contro il 31% della Svezia, che è al primo posto). La situazione non migliora se si considerano le attuali commissioni parlamentari dove l’Italia è ultima per la posizione apicale e si colloca poco meglio per quelle di vice (25%) o in generale nella composizione dei membri (25%).

L’Italia non ha amministratori delegati donne nelle società private più rilevanti del settore; in compenso ha il maggiore numero al femminile di presidenti (al primo posto con il 40%) e di membri di CdA (anche qui prima con il 35%, percentuale incrementata anche dall’applicazione della legge 120/2011 sulle pari opportunità nelle società quotate), ma nelle associazioni di industriali è al livello più basso in tutte le posizioni rilevate. Infine, nel settore della ricerca, le italiane sono ai vertici per le figure di direttore generale o equivalente (22%, al secondo posto dopo il Canada), ma nessuna ricopre la carica di presidente e siamo all’ultimo posto nel management (23% di posizioni di incarichi di struttura).

«Le barriere che le donne affrontano nel settore energetico sono simili a quelle che affrontano nei Paesi industrializzati in altri campi. Tuttavia, molti studi hanno dimostrato che una maggiore presenza delle donne nei diversi settori dell'economia porterebbe benefici economici e sociali a tutti. Pertanto, è necessario coinvolgere i decisori sia nel settore pubblico che in quello privato affinché si impegnino a rimuovere gli ostacoli per favorire la parità di accesso ai diversi percorsi professionali», spiega la ricercatrice ENEA Elena De Luca.

Il rapporto conferma quanto già emerso, a livello generale, nel ‘Global Gender Gap Report’ del World Economic Forum per il 2018, laddove si evince che, seppure l’Italia, nell’ultimo anno, abbia fatto qualche progresso nelle pari opportunità, resta tuttavia il fanalino di coda tra i maggiori Paesi avanzati, arrivando al 70esimo posto su un totale di 149 presi in esame. Preceduta da Honduras e Montenegro, è quart’ultima in Europa Occidentale, con una performance superiore solo a quella di Grecia, Malta e Cipro.

 

*Foto di ENI tratta da Flickr.com. Immagine originale e licenza

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