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Attento Piñera, stavolta non staremo a guardare. Il giudice Garzón scrive al presidente del Cile

Attento Piñera, stavolta non staremo a guardare. Il giudice Garzón scrive al presidente del Cile

«Non dubiti, signor presidente, questa volta non ci faremo ingannare né umiliare da quelli che vogliono nuovamente sopraffare e fermare la resistenza democratica e l'espressione del popolo». È l’avvertimento che lancia il magistrato spagnolo Baltasar Garzón, il giudice spagnolo che ordinò l’arresto di Augusto Pinochet a Londra il 16 ottobre del 1998, nella lettera aperta indirizzata al presidente del Cile Sebastián Piñera, il 24 ottobre scorso, a motivo - dichiara - del suo «affetto verso il popolo cileno» e per «la difesa che ho sempre assunto delle vittime, dei popoli originari e dei più vulnerabili».

Proprio perché “non ci faremo ingannare”, «non siamo dell’opinione del segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (Oea), che incolpa di tutto quello che succede in America Latina a Cuba, al Venezuela, a Rafael Correa, a Lula da Silva, Cristina Fernández de Kirchner o Alberto Fernández e a tutti coloro che non sono d'accordo con l'onda neoliberista che, di nuovo con il patrocinio del Nord America come accaduto negli anni ‘70, devasta il Continente». No. L’ aumento del biglietto della metropolitana che ha provocato la protesta prima degli studenti poi di tutto il popolo, «gravemente repressa dai Carabineros», è stata «la miccia che ha acceso la rabbia e l’ira accumulate in quasi trent'anni». Perché, seguita Garzón, «converrà con me, signor presidente», che «il presunto miracolo economico che molti attribuiscono a Pinochet, un modello di sviluppo sostenuto dalla transizione cilena e dalla successiva democrazia, risiede nella triste realtà di essere uno dei dieci Paesi più disuguali al mondo»: «è vero che c'è sviluppo e ricchezza, ma  solo per una piccola élite politica e imprenditoriale. Il Cile ha anche cifre macroeconomiche imbattibili, con una crescita sostenuta per decenni, ma con un progressivo e costante impoverimento e indebitamento della stragrande maggioranza dei cittadini, che quest'anno ha raggiunto il suo  massimo storico, secondo la stampa e la stessa Banca centrale». È vero che il Cile «è entrato anche anni fa nel club selezionato delle nazioni ricche - l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) - come un nuovo Paese sviluppato, con alti livelli di produttività e competitività», ma «ancora una volta, a costo di salari bassi» e di una inesistente «protezione sociale».

E questo perché la Costituzione, malgrado le riforme tentate dai governi più progressisti, è ancora quella degli anni di Pinochet, e «nella logica neoliberale lo Stato deve essere piccolo, più piccolo che si può, di modo che se qualcuno vuole accedere a servizi di qualità, deve pagarli con la propire risorse, convertendo così le cittadine e i cittadini in meri consumatori di servizi privati». «A quanto pare, signor presidente, le cilene e i cileni hanno detto basta. E lo stanno dicendo forte e chiaro». Non si faranno «ingannare né umiliare».

*Foto di Davidlohr Bueso, tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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