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Vaccini e aborto:

Vaccini e aborto: "Civiltà Cattolica" fa il punto su ciò che è moralmente possibile

Con un intervento del gesuita Carlo Casalone, l’ultimo numero della Civiltà Cattolica fa il punto su una quesitone controversa che ha richiesto il pronunciamento vaticano e quello di diverse conferenze episcopali in varie regioni del mondo: ovvero il rapporto tra vaccini e aborto. Il nodo è quello che riguarda «l’uso di vaccini nella cui produzione si impiegano linee cellulari estratte da tessuti di feti abortiti volontariamente». «Un problema – rileva Civiltà Cattolica – sollevato anche per alcuni vaccini somministrati in età pediatrica: anzitutto quello contro la rosolia, ma poi anche quelli contro l’epatite A e la rabbia. In particolare è sotto accusa una linea cellulare (HEK293) ottenuta nel 1973 a partire dal tessuto renale dei resti di un aborto avvenuto in Olanda. Non è nota l’identità dei genitori né le ragioni precise dell’interruzione della gravidanza, che sembra comunque non avere legame con l’obiettivo di preparare linee cellulari per i laboratori».

Il tema è tornato ovviamente di attualità in questo periodo segnato dalla pandemia da Covid 19 in cui la corsa alla produzione di vaccini e alla vaccinazione di massa sono diventate priorità assolute. «Alcuni vaccini anti-Covid – si rileva nell’articolo – utilizzano tale materiale biologico in una o più fasi della loro preparazione. Quelli già approvati in Usa e in Europa, prodotti da Pfizer-BioNTech e Moderna con la tecnologia del RNA messaggero, non usano tali linee cellulari per la produzione, ma solo per alcuni test di verifica». Nel testo della rivista dei gesuiti, le cui bozze per ogni numero sono riviste dal Vaticano, si fa riferimento a una recente nota della Congregazione per la Dottrina (CdF) della Fede che di fatto ammette anche sotto il profilo etico la possibilità di usufruire del vaccino così ricavato.

L’istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede spiega inoltre come «con riferimento alla situazione attuale, poi la CdF spiega i motivi e le condizioni a cui «è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione». Si sottolinea, in tal senso, come sia necessario fare riferimento ad alcuni principi generali; in primo luogo, si precisa, utilizzando un certo vaccino non si condivide comunque «l’intenzione di chi ha compiuto l’azione principale: in questo caso l’uccisione, che si presume deliberata, di un innocente». Poi va detto che «non si partecipa attivamente allo svolgimento dell’atto, cosa peraltro impossibile, dato che l’evento è accaduto in un lontano passato, e – aspetto importante da ricordare, perché talvolta equivocato – non si richiede la ripetizione di altri aborti: per la preparazione dei vaccini si utilizzano infatti cellule già disponibili nei laboratori dagli anni Settanta-Ottanta».

«In terzo luogo, quindi – prosegue il testo – l’azione che si compie è remota, cioè distante nel tempo e periferica riguardo al nucleo di significato del comportamento a cui ci si riferisce. Questi criteri possono aiutare a situare e differenziare anche le responsabilità di altri soggetti che intervengono nell’iter richiesto dalla ricerca e dalla preparazione dei vaccini». In breve resta una valutazione negativa dell’aborto volontario: si fa presente che non ci deve essere nessuna complicità con esso; tuttavia l’utilizzo dei vaccini che utilizzano line cellari derivate da aborti è ammesso. «In mancanza di alternative e per la gravità della situazione – afferma Civiltà Cattolica – l’uso di questi vaccini viene considerato lecito. E nelle attuali circostanze può senz’altro accadere che venga meno una reale possibilità di scelta del vaccino, sia per la scarsità delle dosi disponibili sia per i vincoli posti dai sistemi sanitari sia per l’urgenza. Ricordiamo infatti che l’allungarsi dei tempi per le vaccinazioni comporta un aumento della probabilità che si sviluppino varianti più contagiose, più letali e/o più resistenti ai vaccini disponibili. Più tempo diamo al virus per replicarsi, più crescono le probabilità di mutazione».

Su un piano più generale, la Civiltà Cattolica prende in esame anche una seconda nota dedicata a vaccini e pandemia, questa volta messa a punto dalla Commissione Vaticana Covid-19 e della Pontificia Accademia per la Vita, nella quale si toccano altri aspetti etici legati alla questione.

Questo secondo documento della Santa Sede «appoggia l’impegno di rendere il vaccino un “bene pubblico”, secondo quanto hanno dichiarato diversi esponenti del mondo politico e scientifico». L’implicazione proveniente dal Vaticano è «che il vaccino non sia sottoposto alla libera concorrenza, ma che il prezzo sia concordato e fissato con criteri che consentano una distribuzione basata sugli effettivi bisogni, secondo criteri di equità e di universalità. Poiché il vaccino non costituisce “una risorsa naturale già data (come l’aria o i mari) o scoperta (come il genoma o altre strutture biologiche), ma […] una invenzione prodotta dall’ingegno umano, è possibile sottoporla alla disciplina economica che consente di retribuire le spese della ricerca e il rischio che le imprese si sono assunte. Data la sua funzione è, però, molto opportuno interpretare il vaccino come un bene a cui tutti abbiano accesso, senza discriminazioni”».

*Foto tratta da Pixnio.com, immagine originale e licenza

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