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Ci lascia Antonio Thellung,  “dilettante in tutto”, tranne che in amore

Ci lascia Antonio Thellung, “dilettante in tutto”, tranne che in amore

Chi legge Adista, anche se non è un abbonato “storico” dell’agenzia, non può non essersi imbattuto in un libro, uno scritto, un intervento di Antonio Thellung, poliedrico e vivacissimo credente, dal multiforme e versatile ingegno.

Nato nel 1931, genovese, trasferitosi a Roma dal 1950, è stato un credente appassionato e ha attraversato esperienze diversissime. Perché aveva curiosità per tutto, e in molte delle cose di cui era curioso si voleva anche cimentare. Spesso con risultati ragguardevoli. «Dilettante in tutto, tranne in amore coniugale», amava definirsi. La moglie, Giulia (sua coetanea), l’aveva conosciuta giovanissimo. A 19 anni le disse che voleva mettere su famiglia insieme a lei. A 21 anni si era sposato, e da allora ha trascorso tutta la vita con lei, oltre 70 anni. Giulia è stata una presenza costante della sua vita, accompagnandolo, sostenendolo in tutte le attività in cui Antonio si buttava a capofitto. Negli ultimi anni lei aveva qualche problema di salute più di lui. E allora Antonio aveva iniziato a prendersi cura amorevolmente e quotidianamente della moglie, definendosi scherzosamente un “badamante”, originale crasi tra badante e amante.

Sin da giovane aveva cominciato a svolgere attività di ogni tipo. Quando si era sposato lavorava nel cinema. Aveva cominciato come attore, poi come aiuto regista. Ma erano impegni brevi e saltuari, e ogni volta che finiva la lavorazione di un film non era scontato trovarne un altro. Nel frattempo era arrivata una prima figlia. Era perciò divenuto ragioniere in un cantiere edile e, dato che aveva una certa competenza di automobili, si era messo a fare il perito per le assicurazioni, e anche per il tribunale. Nei week-end non rinunciava alla sua passione, quella di pilota di auto da corsa, tanto da diventare campione italiano di rally prima con la Lancia Fulvia e poi con la Fiat 124 sport. La moglie, spesso al suo fianco come co-pilota, aveva peraltro vinto anche una targa Florio, nel 1957.

Nel frattempo era nata una seconda figlia. Ed era cominciata anche l’attività editoriale di Thellung, cui l'Editrice dell'Automobile commissiona due libri-manuali: Come si vince un Rally e Come evitare gli errori di guida. Da quel momento Thellung decide di cominciare a sondare, attraverso la scrittura, la verità con la v minuscola, come si intitolava un suo libro del 1968. Cioè la verità che si incarna nella vita quotidiana, lontano da ogni astratto assolutismo. Del resto, Thellung si è sempre definito un cercatore di senso. Un senso cercato nella riflessione teorica, ma vissuto soprattutto nella ricerca esistenziale e nella prassi. E nei tanti mestieri svolti: oltre al perito, al pilota automobilistico, allo scrittore, arriva anche il mestiere di pittore, scultore, carrozziere (negli anni '70 aveva infatti rilevato una piccola officina).

Dagli anni '60 aveva cominciato anche a dipingere. E negli anni '70, per oltre un decennio, la pittura è stata la sua professione: denso di mostre, incontri, discussioni, oltre naturalmente al tempo passato a dipingere e ad ascoltare musica, sempre più presente nelle sue emozioni. Piccola curiosità: il logo di Adista, quello che vede abbracciati il diavolo e l’angelo, è opera di Thellung, di cui nel 2000 volle farci omaggio.

Intanto, tra la fine degli anni '70 e l’inizio degli anni '80 arriva anche l’esperienza della vita comunitaria: si tratta della Comunità del Mattino, famiglie con figli, che vivono lo stesso tetto, condividono i beni in comune, testimoniano insieme la loro fede. La casa e il terreno che accolgono la comunità li aveva comprati Thellung negli anni '60: un ettaro in tutto a via della Pisana, all’altezza del Raccordo, compreso un mini parco fatto di pini e di salici. Spazi e vita comune; e i guadagni dei nuclei familiari in una cassa comune, perché le spese venivano decise insieme. All’unanimità, come per le altre decisioni. In quegli anni Thellung inizia ad assistere i malati terminali nelle loro case: la sua riflessione esistemziale si arricchisce anche di quelle straordinarie esperienze, che Thellung (che ha vissuto la prematura scomparsa di un terzo figlio per una rara malattia genetica), ha raccontato in un altro suo libro, Accanto al malato… sino alla fine.

Negli anni successivi, con l’esaurirsi della esperienza della Comunità del Mattino e il sopraggiungere dell'età della pensione, Thellung si dedica sempre più intensamente alla scrittura. Tra i suoi tantissimi libri, va segnalato almeno La morale coniugale scompaginata, che racconta la serena disobbedienza di una coppia profondamente credente al magistero papale sulla contraccezione. «Nel privato la maggior parte degli sposi cristiani si comporta in piena autonomia. Con tacita approvazione ecclesiastica, purché non se ne parli». Ma lui, era il 1999, ne voleva parlare. Come in un libro sucessivo parlò di eros e sessualità in una coppia anziana, nel libro Amarsi da vecchi.

Sul versante della fede, Thellung non si è mai accontentato di dogmatismi, né di affermazioni tanto categoriche quanto non convincenti, di regole astratte non “incarnate” nel vissuto quotidiano. In un altro suo libro racconta di accontentarsi di Un po' meno della verità, e ne spiega perché. Thellung, d’altra parte, non è mai stato nemmeno un animo rivoluzionario, anche perché considerava irrinunciabile, come cristiano, l'appartenenza ecclesiale: intendeva però la Chiesa non solo come istituzione, ma come Chiesa intera, comunità di persone in cammino. Del resto se il consenso stimola e va indubbiamente ricercato, anche nella Chiesa, Thellung, in un altro suo testo, l’Elogio del dissenso, si dichiara spaventato dall’idea di un consenso che si realizza anche attraverso il diritto di critica. Perché la “comunione ecclesiale” non è uniformità o conformismo, piuttosto la capacità di legare insieme – in modo creativo – tutti i dissensi, che esistono comunque, sia che vengano espressi o taciuti. Nel Vangelo spogliato (altro suo libro del 2019) cercava al di là dei tanti modi di leggere e di interpretare il messaggio evangelico; al di là della figura stessa di Gesù, ora ipostatizzato come “Cristo”, ora demitizzato e riconsiderato come Gesù storico, di «descrivere e sintetizzare quali sono i punti essenziali con i quali bisogna fare i conti, per coloro che vivono, come me, la fede nel quotidiano».

Tre figli, otto nipoti, quattro bisnipoti. Una vita ricca e intensa. E una morte che lo ha trovato pronto. Nel 2014 aveva scritto un altro libro, Sto studiando per imparare a morire, «Imparare a morire – disse in una intervista a Adista (v. Adista Segni Nuovi n° 22/2014) – è diverso da prepararsi, e mi sento stimolato a studiarne gli aspetti più tipici. Infatti, se s'interpreta la morte come evento tragicamente negativo, come molti fanno, allora prepararsi potrebbe assumere il senso di rassegnarsi all'inevitabile, con accompagnamento di scoraggiante tristezza. Ma io non intendo affatto rassegnarmi: vorrei imparare proprio per non morire rassegnato. Da quando ho scoperto che la parola defunto significa “compiuto” non vorrei morire senza essere defunto, senza che la potenzialità a mia disposizione sia compiuta». 

E in Al di là del buon senso scriveva: « Al mio funerale piangete pure, se vi fa piacere, ma non disperatevi, perché la mia felicità è ricca di una gratitudine infinita per aver vissuto, insieme a tutti voi, la meravigliosa esperienza che la natura, o Dio, o quel che volete, offre a chi si rende disponibile a ricercarne il senso». 

 

 

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