
Dall'Africa alle campagne italiane: i nuovi schiavi interrogano il mondo missionario
I protagonisti dell’editoriale di settembre di Nigrizia sono giovani uomini come Adel (tunisino), Souleymane (nigeriano) e Ahmed (sudanese), in fuga dall’orrore della fame, dell’instabilità politica, del terrorismo, della povertà, e approdati in Italia, nelle campagne del Sud, dove incontrano spesso sfruttamento e miseria. «Per Nigrizia e per il Cantiere Casa Comune – si legge nell’editoriale dei missionari comboniani – calpestare la terra senza diritti dei braccianti nei ghetti d’Italia, veri e propri insediamenti informali degradati dove la vita scorre al limite dell’umano e lo stato non esiste o quasi, è affondare il passo e il cuore dentro il mondo sommerso e spesso invisibile degli schiavi di oggi (tra loro moltissimi africani) a due passi da noi».
Da queste terre – dalla lotta per la dignità e la giustizia negata sotto i nostri occhi – dovrebbe ricominciare, secondo il periodico missionario, il cammino missionario di una Chiesa che «fa tanta fatica a far propri il passo e i drammi dei dannati della terra» e che intende cimentarsi in un sinodo italiano. «Missione – titola infatti l’editoriale a firma di Filippo Ivardi Ganapini – è liberare i braccianti dal lavoro schiavo».
In un mondo sempre più dinamico, «come ai tempi di san Daniele Comboni ci sentiamo, come missionari, chiamati a liberare gli schiavi in una missione dal volto sempre più globale e interconnesso». «Là nel continente africano – spiega Ganapini – e qui in Italia e in Europa con una presenza che affianca le lotte dei movimenti popolari, del mondo dell’associazionismo e della società civile organizzata, il Dio della vita invita noi, suoi missionari, a scendere nei campi italiani, dove oltre 200mila braccianti sono sfruttati da mafie e caporalato, per liberare gli schiavi di oggi, come fu per Mosè nel suo tempo (Es 3,8)».
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