
Cop26: siglato un accordo in difesa della foresta del Congo e dei suoi abitanti
Un accordo di dieci anni, dal 2021 al 2031, per proteggere la foresta del bacino del Congo è stato approvato durante la COP26, in corso a Glasgow dal 31 ottobre, dal Presidente Félix Tshisekedi della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e dal Primo Ministro Boris Johnson del Regno Unito a nome della Central African Forest Initiative (CAFI), fondo fiduciario che sostiene gli investimenti diretti sul campo e piattaforma di negoziazione politica che mira a guidare il dialogo, fondata nel 2015 a ridosso dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
La foresta pluviale - la seconda al mondo dopo l’Amazzonia - copre il territorio di sei Paesi: Camerun, Guinea equatoriale, Gabon, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo e Repubblica Democratica del Congo. Rappresenta il 10% delle foreste tropicali del pianeta e, aspirando all’incirca 1,5 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno (il 4% delle emissioni mondiali), con più di 10.000 specie animali e vegetali, avrebbe il potere di invertire la crisi climatica. È quanto ribadito anche dal presidente Tshisekedi, il quale afferma che la Repubblica Democratica del Congo, coperta dal 60% della foresta, sarebbe grazie a questi accordi «un vero e proprio "Paese soluzione" alla crisi climatica» mirando a garantire che la deforestazione continui a diminuire, promuovendo la rigenerazione di 8 milioni di ettari di terre e foreste danneggiate e mettendo il 30% dei territori nazionali sotto protezione.
Tra i dodici obiettivi degli accordi tra la CAFI e la Repubblica Democratica del Congo, vi è l’intento di dimezzare nei principali centri urbani la proporzione di energia da legno non sostenibile (es. carbone di legna o carbone vegetale). Nel Paese la deforestazione è conseguenza di una crescita costante di una popolazione che, non avendo opportunità di sostentamento al di fuori della foresta, si affida alla legna da ardere per cucinare: attualmente ne fa uso il 97% dei 13 milioni di abitanti di Kinshasa, che consumano oltre 17 milioni di tonnellate di legno all'anno.
Si aggiunge anche l’obiettivo di migliorare la governance del bacino del Congo, attraverso un controllo maggiore e un ambizioso progetto di 5 milioni di ettari di foreste comunitarie, insieme a un quadro giuridico e normativo a tutela dei diritti delle popolazioni indigene. A tal proposito, secondo quanto riporta Radio Okapi (4/11), sempre durante la COP26, Patrick Saidi, coordinatore della Dynamique des Peuples Indigènes (DGPA, organismo di rappresentanza delle popolazioni autoctone pigmee), ha domandato la «messa in sicurezza giuridica delle terre dei popoli indigeni» in tutto il Paese, chiedendo, in particolare, di proteggere la terra del popolo indigeno dei Pigmei.
Quest’ultimi sono gli abitanti originari della foresta del bacino del Congo e sono completamente dipendenti da essa. Originariamente, grazie ad una profonda conoscenza dell’ambiente naturale, il 95% della loro sussistenza si basava su caccia, raccolta stagionale e pesca. Saidi sostiene che solo proteggendo i popoli pigmei si potrà lottare «efficacemente contro il cambiamento climatico» e preservare la biodiversità poiché essi difendono e preservano la foresta «grazie alle loro conoscenze tradizionali». Chiede anche che vengano istituiti dei fondi «che permettano a queste comunità di continuare a mantenere questo modo di vivere che è benefico per l'ambiente» e, nella lotta contro il cambiamento climatico, «anche vantaggioso per la conservazione delle nostre foreste, soprattutto quelle del bacino del Congo».
*Foto di Axel Fassio/CIFOR presa da Flickr, immagine originale e licenza
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