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No Vax e individualismo democratico

No Vax e individualismo democratico

Pubblichiamo qui di seguito l'editoriale di Sandro Antoniazzi, ex segretario regionale della Cisl Lombardia, comparso sulla home page del portale di cattolici democratici "C3dem". L'articolo non intende mettere in discussione la libertà personale, fondamento del sistema democratico, ma di affermare che sulla questione dei vaccini anti Covid accanto alle scelte individuali sono necessarie altrettante scelte collettive di valori comuni e di  ideali sociali condivisi.

L'articolo originale è consultabile a questo link

 

 

Ci sono varie motivazioni apportate dai no-vax a sostegno delle loro posizioni: motivazioni di carattere medico, di non sufficiente sperimentazione dei vaccini, di dubbi sugli effetti futuri e altre ancora.

Ma non si può non rilevare, anche da affermazioni esplicite di partecipanti alle manifestazioni, che, fra tutte, la motivazione fondamentale che emerge è quella della libertà personale. “Decido io”.

Rispetto a una decisione legittima di un governo democratico, si erge la posizione di singoli che la rifiutano, sostenendo la preminenza della loro autonomia personale.

Questo sembra porre un serio problema alla democrazia e spinge a una riflessione che riguarda i suoi fondamenti.

Nella classica opera di Alexis de Tocqueville sulla democrazia in America, si descrive la nascita della prima democrazia moderna: un mondo di persone tutte uguali, privo di strutture gerarchiche e di potere, proprie dei vecchi paesi europei, e con davanti un futuro aperto e favorevole, da costruire con le proprie forze.

Si può ben dire che questa democrazia si fondi sull’individualismo democratico, come lo definisce Nadia Urbinati: è la libera espressione di questi coloni, molto simili tra loro, la vera base di questa società.

Per motivi diversi, l’altra democrazia contemporanea, quella francese, si muove nello stesso senso; in questo caso non perché trova un’ideale situazione originaria di eguaglianza, ma perché attraverso la Rivoluzione abolisce le vecchie diseguaglianze (nobiltà, aristocrazia, corporazioni); ispirandosi alla volontà generale di Rousseau, non devono sussistere strutture divisive tra lo Stato e il popolo, i cittadini, i quali sono uguali nella libertà.

Tutto questo, sia in America che in Francia, avveniva in un clima di essenziale ottimismo: l’America si presentava come un enorme paese ricco di prospettive di sviluppo; la Francia si apriva a un mondo nuovo col contemporaneo avvento della rivoluzione industriale.

In altre parole, è vero che la democrazia si fonda sull’individualismo democratico, sulla libertà delle persone, ma è altrettanto vero che quelle persone sono legate da una condizione comune, da uno spirito condiviso, da una prospettiva che le unisce.

Come diceva Sieyès di fronte all’affermarsi del potere popolare: “Come vi capirete senza una ragione comune, una credenza comune, un dio comune, una base territoriale, intellettuale, sensibile, comune?”

Ma l’individualismo di allora, intriso di tanta speranza comune, non è quello di adesso; nel tempo, le condizioni di partenza si sono dissolte e l’individualismo è diventato più possessivo e più singolare.

La nostra democrazia italiana, ad esempio, si è affermata dopo il 1945, unita prima per superare le atrocità della guerra e poi dall’opera comune di ricostruzione, ma man mano i fattori di unità del paese si sono fortemente allentati.

Così a me sembra che oggi le democrazie, in mancanza di forti valori ideali che uniscano i cittadini, si trovino sempre di più a confrontarsi con un individualismo vigoroso.

L’affermazione dell’individualismo porta con sé, logicamente e inesorabilmente, l’erosione di ogni struttura gerarchica (la religione, la famiglia, i partiti e in genere ogni struttura intermedia).

E’ quello a cui assistiamo ogni giorno e che ha varie cause, che in fondo in fondo possono essere ricondotte a questa sostanziale: l’affermarsi sempre più radicale, sempre più esclusivo, di un individualismo quasi assoluto.

Anche ciò che scrive Pierre Rosanvallon in un recente libro, secondo cui diversi movimenti degli ultimi anni nascono intorno a diritti individuali, rafforza questa tendenza.

Mi permetto di ricordare una discussione di anni fa (il 1991) nel mio ambito sindacale, in cui commentavamo criticamente il programma congressuale della Cgil, dedicato alla valorizzazione dei diritti individuali; leggendo il testo del programma si trovava un elenco di molteplici diritti, anche di terza e quarta generazione.

Secondo noi era pericoloso sostenere tanti diritti individuali non inseriti ognuno in una solida visione e azione collettiva, come parte di una prospettiva di crescita comune.

Questo è sempre stato il valore e il merito del sindacato: sapere unire le giuste aspirazioni individuali in un moto collettivo che consenta un contemporaneo sviluppo della coscienza.

Ecco, non diverso mi sembra l’attuale problema della democrazia: non si tratta certo di rimettere in discussione la libertà personale, fondamento del sistema democratico, ma di affermare che accanto alle scelte individuali sono necessarie altrettante scelte collettive di valori comuni e di condivisi ideali sociali.

Se la democrazia non ha un risveglio, se non esce da una politica di pura gestione e non rilancia idee e ideologie, traguardi più avanzati, mete ambizione di trasformazione sociale, rischia veramente di trovarsi invischiata nella costante tensione di un serpeggiante individualismo autodistruttivo.

 

 

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