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Siamo in guerra

Siamo in guerra

BRINDISI-ADISTA. Siamo in guerra, è inutile nascondercelo! E tutto spinge verso un coinvolgimento ancora maggiore dell’Europa e dell’Italia : l’attentato al gasdotto Nord Stream, la richiesta Ucraina di accelerare la sua adesione alla Nato, l’invio di armi da parte dell’Italia, l’annessione di alcune regioni ucraine e il massacro di civili da parte di Putin. E mentre esecriamo il comportamento russo, si tace su quello del governo israeliano in danno dei civili palestinesi. Papa Francesco all’Angelus si è rivolto al presidente della Federazione Russa « supplicandolo di fermare questa spirale di violenza » e ha diretto « un altrettanto fiducioso appello al presidente dell’Ucraina ad essere aperto a serie proposte di pace »: un intervento così diretto ed esplicito da far pensare che sia sempre più concreto il rischio di impiego di armi nucleari. Ma si è anche rivolto –  e questo i media italiani non l’hanno sottolineato –  ai responsabili politici delle Nazioni ai quali ha chiesto « con insistenza di fare  tutto quello che è nelle loro possibilità per porre fine alla guerra in Ucraina ».

Ed è tramontata in Italia, non sappiamo per quanto tempo, una consistente rappresentanza parlamentare ispirata a valori di solidarietà interna e internazionale. Questo è l’esito per me più evidente delle elezioni politiche del 25 settembre.

Intendevo ricordare con questo scritto l’ottavo anniversario del Manifesto4ottobre, una lettera aperta che nel 2014 si indirizzò alla chiesa cattolica di Brindisi-Ostuni per esprimere una esigenza di rinnovamento e per formulare alcune proposte. Come potevo parlare di questo modesto impegno di coscientizzazione – prima di tutto di chi l’ha promossa e alimentata in questi anni – senza parlare di quello che ci sta accadendo ?   Come si può pensare di ispirarsi al vangelo e poi isolarsi dalla storia, chiudendo gli occhi sulle ingiustizie ovunque si annidino ? (v. Adista Notizie n. 41/14)

In quel  “Manifesto 4 ottobre” non chiedevamo tanto, ma si indicavano solo alcune priorità: a) le energie maggiori andrebbero spese per fare fronte correttamente alle delicate questioni d’oggi: il lavoro e l’ambiente; la situazione culturale e la presenza nelle istituzioni pubbliche; b) superare il sistema tariffario sostituendolo con altre forme di cooperazione economica che siano svincolate dalla liturgia e dall’amministrazione dei sacramenti; c) l’amministrazione dei beni diocesani o parrocchiali sia composta solo da laici competenti e diretta al miglior uso per il bene della comunità tutta” (Celam 1968); d) i bilanci preventivi e consuntivi della diocesi e delle parrocchie siano resi pubblici almeno sui siti web;  e) si cerchi di trasformare le opere di “beneficienza” in opere sociali fondate sulla carità e sulla giustizia, che tengano conto di tutti e di tutte le esigenze, come un umile servizio agli organismi pubblici competenti;  f) si operi in modo che i responsabili del nostro governo locale e dei nostri servizi pubblici decidano e attuino leggi, regolamenti e istituzioni sociali necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale dell’uomo tutto in tutti gli uomini, e, da qui all’avvento di un altro ordine sociale, nuovo, degno dei figli dell’uomo e dei figli di Dio; g) vescovi e preti si rifiutino di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eccellenza, Monsignore…); h) si invita ad assumere una prospettiva di sinodalità permanente, con la partecipazione di tutte le componenti ecclesiali, mediante forme concrete da mettere in atto (questionari, forum…ecc.) nelle scelte più importanti sia parrocchiali che diocesane. In particolare l’omelia domenicale sia preparata secondo le indicazioni della Evangelii Gaudium e, comunque, al termine della messa, il celebrante si fermi all’ingresso della chiesa per ascoltare gli eventuali commenti dei partecipanti e favorire anche in questo modo il dialogo con tutti; i) si sperimentino momenti di preghiera presieduti ed animati da donne come avviene ormai in molte chiese del mondo cattolico e si creino gruppi di ascolto per il sostegno contro la violenza alle donne in ogni parrocchia.

Certamente un Manifesto non basta a creare un cambiamento, ci vogliono uomini e donne disposte a prendersi il fastidio di una interlocuzione che voglia andare alle radici della proposta evangelica e metta in discussione ciò che è ormai in forte dissonanza con quelle, sia nella struttura clericale e monarchica sia nella dottrina, in molti aspetti superata dalle più recenti acquisizioni delle scienze umane e tecniche. Un compito difficile che richiede tempo ed energie morali non indifferenti, ma che darà i suoi frutti, ne sono certo anche se non posso prevederne le modalità e i tempi. In questi mesi ci sarà probabilmente un passaggio di consegne tra il vescovo uscente, Domenico Caliandro e il nuovo nominato. Sarà un passaggio deciso al vertice (del metodo ci lamentavamo sempre nel Manifesto) ma che potrebbe benissimo essere oggetto di consultazione del popolo dei cristiani. Non ci sarebbe nulla di male, anzi,   si   sente la necessità di ispirarsi alla Tradizione per un coinvolgimento indispensabile del popolo brindisino, che ha una tradizione, una storia e non è possibile ignorarle con la nomina di un soggetto calato dall’alto. Si  auspica un intervento di gruppi, associazioni, movimenti ma anche di consigli pastorali, di preti sensibili e conciliari, con un documento che racconti la storia degli ultimi vescovi della diocesi, indichi non nomi ma alcuni criteri a cui, in questa fase in cui non è possibile un metodo di un coinvolgimento diretto della comunità diocesana, dovrebbe ispirarsi chi deve decidere. In Italia ci sono già state alcune simili esperienze, a Genova, Napoli e Milano.

* Manifesto 4 ottobre

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